Vivere il bello per apPREZZArlo

In attesa di capire cosa succederà nella fatidica data del 15 di giugno al Consiglio europeo, questa settimana mi prendo una pausa per “parlare del bello” e quanto oggi sia difficile stabilirne il suo valore. No, non è diventata una rubrica di filosofia. Rimane una rubrica di finanza, dove però parlerò di finanza dell’arte, un mio vecchio pallino , (lo ammetto), che porto avanti da più di dieci anni con varie pubblicazioni e monografie dedicate. Ho presentato (in modalità webinar con gli amici di Deloitte) la scorsa settimana l’ultima mia pubblicazione “I beni da collezione da investimento nel 2019”, (per chi vorrà sarò felice di inviarlo), ma il focus del mio intervento è stato capire quanto il post Covid impatterà sui mercati del lusso non regolamentati, come quello dei beni da collezione. Ci sono allora 3 aspetti salienti da mettere in luce e che contraddistinguono questa precisa fase storica a livello internazionale. Il primo riguarda la non correlazione esistente tra mercato dei beni da collezione e gli altri mercati regolamentati, alla stregua di quanto già visto negli anni scorsi. Negli ultimi quattro anni, le performance tra mercato dell’arte e mercati finanziari e delle materie prime sono state spesso di segno opposto, essendoci scarsa influenza reciproca, ma neanche un rapporto di correlazione inversa. In secondo luogo, in questo momento di grande incertezza economica, dove è difficile intuire dove sia più opportuno investire i propri danari, l’arte si conferma non essere un bene rifugio, (e io sorrido, per essere diplomatico, quando leggo questi titoli sui giornali..), in quanto vengono meno alcune caratteristiche alla base di questa tipologia di beni, come mantenere inalterato il proprio valore nel tempo e avere modesti rendimenti reali. La volatilità (nel bene e nel male) è caratteristica insita al mercato dell’arte e non la si potrà evitare, a meno di riuscire a regolamentare in maniera più stringente il mercato stesso.

Tuttavia, e arrivo al terzo punto, volendo fare un confronto con la crisi finanziaria del 2007-2008, ritengo che da allora il mercato dell’arte sia diventato meno “sottile” e quindi meno soggetto alla speculazione tout court che ha contraddistinto quel periodo. Oggi il mercato è più maturo, e il fatturato delle aste online rappresenta un buon  livello di supporto. Ma non è una soluzione definitiva e neppure sostenibile. Mia nonna diceva che “i problemi vengono in carrozza e vanno via a piedi”.(saggezza contadina). Riusciremo presto a scacciare il virus, ma non immediatamente anche la sua psicosi. Ecco perché,  il mercato dell’arte ( ma si può estendere anche a molti mercati esclusivi del lusso) soffrirà la mancanza di tutto quell’universo di eventi collaterali alle grandi aste e dedicati ai collezionisti elitari e/o ai top spenders, che permettono a questi di vivere collettivamente l’aspetto più emozionale della vendita e agli operatori di tornare ad avere robusti fatturati. Il bello per poter esser valorizzato, va vissuto, sperimentato, toccato. Stiamo parlando di arte.. non fraintendiamo.. O no?…

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