Non c’è termine accostato alla parola “ARTE” più usato o ab-usato in questi ultimi due anni come quello di “BLOCKCHAIN”.
La spinta rivoluzionaria che la crypto-tecnologia ha infuso in moltissimi settori è arrivata a coinvolgere anche il campo arte.
Ma mentre in altri casi, come quello della finanza, ha avuto l’effetto di un forte temporale su un territorio avvezzo e preparato a questo tipo di cambiamenti, nel mondo dell’arte si è trattato di un vero e proprio tsunami che ha investito il settore, creando scompiglio e confusione.
Tale effetto è particolarmente evidente quando si affrontano conversazioni su prodotti artech. La prima domanda che viene proposta è:
“Scusi, ma ha la blockchain?”
Sebbene la domanda per i tecnici del settore risulti comprensibile, e possa anche strappare un sorriso di tenerezza, è davvero senza senso e formalmente scorretta.
L’inesperienza e la difficoltà di comprendere una struttura tanto complessa e ancora in piena evoluzione, crea dunque tale sgomento che viene inserito il termine e l’utilizzo di questa tecnologia tendenzialmente a caso e ovunque, senza però capirne i meccanismi e senza trarne un reale beneficio.
Il settore arte è tutt’oggi uno dei meno avanzati nella digitalizzazione: i collezionisti fanno fatica ad avere sistemi di catalogazione digitale, le istituzioni italiane difficilmente hanno sistemi tecnologici per la gestione opere e magazzini, le assicurazioni lavorano ancora con metodi analogici su molti dei processi legati alle esposizioni temporanee e permanenti assicurate.
Con questo background è arrivata l’ondata blockchain, che più che una soluzione si è trasformata in una moda. Provando a fare un minimo di chiarezza, possiamo paragonare la blockchain ad una serie di casseforti di informazioni in fila una dietro l’altra, praticamente immodificabili nel tempo e nello spazio, che tutti possono utilizzare a pagamento e che nessuno possiede.
Con questa premessa è semplice capire che all’interno di ogni cassaforte ciascuno di noi può mettere ciò che vuole. Il valore delle informazioni immesse sta nella loro conservazione ed immutabilità e nella certezza dei tempi di immissione, come una marca temporale.
La realtà è che salvare un’informazione come l’autentica digitalizzata relativa ad un’opera d’arte, crea lo stesso identico effetto di chiudere il pezzo di carta in una cassaforte fisica. Qualche beneficio c’è, certezza del salvataggio delle informazioni e della loro immutabilità, ma fino a che non si crea un legame tra l’opera fisica e l’informazione immessa, come un’impronta digitale univoca, non sarà possibile essere certi che quelle informazioni sono legate a quell’opera e dunque non sarà espresso il vero potenziale della tecnologia legata all’arte.
La tecnologia va usata sensatamente, non utilizzata a tappeto, perché crea un inutile aumento dei costi e dei tempi di gestione, senza parlare della formazione che serve per saperla gestire.
La tecnologia che riesce a trovare un legame tra opera fisica e informazioni digitali, la cosiddetta “impronta digitale dell’opera d’arte”, è dunque il segreto per far funzionare la macchina, è il tassello mancante di quell’immenso puzzle che riesce a conferire un senso al tutto.
Questo tassello che l’arte fisica necessita e che trova ancora poche ma valide soluzioni nel mercato, l’arte digitale invece lo può creare con molta più immediatezza direttamente in blockchain.
La tecnologia NFT (Non Fungible Tokens), una delle più all’avanguardia nel settore, è in grado di coniare dei token non fungibili, e dunque non replicabili ed univoci, per qualsiasi file nativo digitale o digitalizzato, per renderlo immodificabile nel tempo. Gli NFT hanno dunque molto senso nel circuito blockchain legato al settore arte e vengono conservati e scambiati attraverso dei portafogli digitali detti wallet, alla stessa stregua delle monete digitali.
Concludendo si può dire che l’arte stia facendo esperienza di un percorso inverso, e più doloroso di altri settori nei confronti della tecnologia. Ma se riuscirà a colmare con l’informazione questa ferita sempre aperta che divide e la mette a confronto con la tecnologia, metterà le basi per un grandioso futuro, aprendo le braccia a tutto ciò che il mondo digitale sta generando e salvaguardando il passato con criterio e trasparenza.
Un’ultima previsione per il futuro per scommettere su NFT e blockchain: ci sono molteplici piattaforme che agiscono e interagiscono sul sistema blockchain, la maggior parte delle quali è incapace di comunicare con le altre, e subiscono questa medesima limitazione gli NFT e dunque l’arte ad essi legata. Quando queste tecnologie parleranno la stessa lingua e permetteranno di scambiare oggetti tra loro senza limitazioni, saremo certi avranno la capacità di sopravvivere nel tempo, ma per ora è solo un calcolo di probabilità.
Fondatrice e CEO di SpeakART. Ingegnere con una specializzazione in ingegneria petrolifera e un master in business coaching, da giovanissima parte per lavorare offshore come field engineer, poi torna in Italia per occuparsi di cantieri e gestione immobiliare fino a quando decide di unire la passione per l’arte a quella per l’informatica per farle diventare il suo lavoro. Realizza un algoritmo che lega indissolubilmente certificati e documenti all’opera d’arte, riuscendo anche a riconoscere i falsi, i danni e il decadimento naturale che l’opera potrebbe subire in un lasso di tempo. Partendo da questo algoritmo, Angelica riesce quindi a mettere a disposizione del settore un software completo che si occupa di impronta digitale dell’opera, catalogazione e condition reporting.