Tiziana Lazzari-Imprenditoria femminile, la lunga strada verso l’equità
Chirurgo e Presidente di AIDDA (Associazione Italiana Donne Dirigenti d’Azienda)Delegazione Liguria

Da ormai molti anni ho il privilegio di osservare il mondo dell’imprenditoria femminile da un punto di vista unico. Prima come medico chirurgo, poi come amministratrice d’impresa, come Vice-Presidente della Fondazione per la Cultura del Palazzo Ducale di Genova e, infine, come Presidente di AIDDA (Associazione Donne Imprenditrici e Dirigenti d’Azienda ) Delegazione Liguria.

Ognuno di questi ruoli, apparentemente eterogenei, è accomunato da un fil rouge, riassumibile nella parola dedizione, cui si uniscono impegno, sacrificio, passione e ambizione.

Prima di proseguire occorre però fare un passo indietro e contestualizzare il mondo dell’imprenditoria femminile.

Secondo le statistiche e le ricerche del Global Entrepreneurship Monitor 2018/2019, Asia e Africa si posizionano, per performance, al di sopra del vecchio continente. E, a dire la verità, gli USA non se la passano meglio. Di quasi 50 Paesi solo 6 mostrano un pari tasso di partecipazione di uomini e donne ad iniziative imprenditoriali. Parliamo di Indonesia, Thailandia, Panama, Qatar, Madagascar e Angola.

Si tratta di macro dati, che vanno interpretati rispetto al mondo dell’imprenditoria e che poco dicono sulle reali condizioni di vita della donna nei relativi Paesi. Quello è un tema diverso che esula dal focus di questo intervento. Se diamo un’occhiata al ruolo delle donne nelle startup innovative, i dati non sono incoraggianti. Negli USA, infatti, il 71% di esse non ha donne tra i fondatori e quasi il 60% non ne presenta nelle posizioni di vertice. Eccezion fatta per due Paesi tanto distanti quanto diversi come Cina e Gran Bretagna.

Venendo al Bel Paese la presenza di startup a conduzione femminile si assesta circa su un timido 13% secondo i dati InfoCamere a Gennaio 2019, in altre parole 1.300 su 9.758 startup registrate, mentre se si guarda alla presenza nella compagine sociale la percentuale sale al 43,1%.

In ogni modo è circa la metà rispetto alla presenza di donne in società di capitali (22.2%).

Questo ci porta ad un dato di primaria importanza su cui riflettere. In Italia, in sostanza, appena un’azienda su cinque è diretta da donne.

Per ampliare il respiro della riflessione ho intenzionalmente riportato dati pre-Covid. Questo perché fosse chiaro un punto. L’impatto della pandemia sull’imprenditoria in generale, e su quella femminile in particolare, è stato devastante. La riflessione, qui, voleva però sottolineare un ritardo culturale europeo già fortemente radicato prima del Covid.

La disparità di genere rispetto alla disparità di trattamento e retribuzione, il cosiddetto “gender gap”, è stato allungato di almeno 50 anni secondo Accenture, Quilt.Al e Women20, in seguito alla pandemia, spostando al 2071 l’anno previsto per l’annullamento del gender gap a livello globale.

Qui risiede un altro punto secondo me molto importante su cui intervenire: sul piano culturale, questi dati si traducono in un impatto economico negativo sulle economie nazionali. Fa fatica, infatti, a circolare l’idea che le aziende con donne nel top management ottengono in media più ritorno per gli azionisti ( almeno secondo il Credit Suisse Research Institute) e che l’occupazione femminile potrebbe tradursi in un aumento del Pil complessivo dell’11% (secondo Eurofund).

La responsabilità di associazioni come AIDDA è dunque duplice e ancora più urgente.

Da un lato si tratta di stimolare l’imprenditoria femminile come motore economico, anche nel campo dell’innovazione tecnologica, ancora ampiamente sottostimato, dall’altro di portare avanti un cambiamento culturale che potrà portare un beneficio tanto individuale quanto collettivo alle future generazioni di donne imprenditrici, combattendo stereotipi e immagini precostituite rispetto al ruolo della donna nella società.

Ritengo che un grande sforzo per accelerare i tempi di una ripartenza post-Covid sia essere alfieri di un messaggio di cambiamento volto a stimolare nelle giovani generazioni la voglia di cambiare le cose, avviando progetti con coraggio e determinazione. Per questo credo che sulle donne che fanno impresa gravi una responsabilità ancora maggiore e che uno dei valori principali sia raccontare storie di donne che hanno intrapreso una carriera per inseguire le loro aspirazioni, fungendo da role model per giovani donne e studentesse in tutta Italia.

Lo dico nella convinzione che ci sia in gioco qualcosa di più delle rivincite di genere e che l’imprenditoria al femminile, attraverso l’esempio, sia un’importante premessa per ridisegnare una società più equa e arricchente, per tutti.

 

Laurea in Medicina e Chirurgia presso l’Università di Genova con lode, si specializza in Dermatologia e Venereologia presso lo stesso Ateneo.

Master e corsi in Medicina e Chirurgia Estetica in Italia e all’Estero.

Già titolare e direttore sanitario di polimbulatori, svolge attualmente la libera professione in dermatologia clinica, chirurgica e cosmetica e chirurgia estetica a Genova. Assegnataria del Premio ARMR  per i meriti e l’impegno nel campo della ricerca tecnologica al servizio della chirurgia dermatologica, è relatrice in numerosi convegni in Italia e all’estero e docente in medicina del benessere.

E’autrice di libri dedicati alla medicina preventiva e del benessere.

È Presidente di AIDDA (Associazione Italiana Donne Dirigenti d’Azienda) Delegazione Liguria, nonché coordinatrice del Tavolo Sanità AIDDA nazionale.

È membro della ASLMS (American Society for Laser Medicine and Surgery) e della AACS (American Academy of Cosmetic Surgery).

È socio aggregato AICPE (Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica).

Vice Presidente della Fondazione per la Cultura di Palazzo Ducale, già Presidente del comitato promotore del Festival Internazionale di Nervi.

E’madre di due ragazzi: Federico e Alessandro.

Fortemente impegnata nel sociale, è stata Governatore del Distretto Rotary 2032 (Liguria e Basso Piemonte).

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