È morto il calcio, anzi no è risorto. Evviva il calcio!
Ugo Nespolo, Foot-ball game, 2001. Cortesia dell'artista

Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci” ( Pierpaolo Pasolini, 1963).

Chissà cosa avrebbe detto il poeta dinnanzi alla iniziativa temeraria nella sua comunicazione e disastrosa nella sua evoluzione di una Super Lega tra potenti: di certo sarebbe suonata come un vero sacrilegio. Bontà sua (e forse anche nostra) che la rivoluzione annunciata in pompa magna sia evaporata nel giro di una notte. I 12 ribelli sono riusciti a compattare, di colpo, i governi europei, come neanche la più terribile pandemia del nostro secolo era riuscita a fare: un coro di no, un tifo istituzionale di protesta (come quello da stadio) per abolire il progetto di chi, dello stadio, farebbe anche a meno, a loro basterebbe uno schermo, meglio se il più grande possibile. Una battaglia veloce, ma cruenta, che ha lasciato sul campo vinti e vincitori e strascichi che dureranno per anni. Tanto rumore per nulla? Mica tanto. Forse l’errore dei 12 promotori è stato concentrarsi solo sull’attuale scenario: il calcio si è globalizzato (allargamento ai mercati nord americani prima e asiatici poi) e questo ha determinato negli ultimi anni la esplosione dei fatturati, decuplicati nell’ultimo decennio. Ma per alimentare una giostra sempre più veloce ed esclusiva, sono servite energie (ricavi) sempre più consistenti. E allora nel tempo oltre ai ”primitivi” incassi da biglietti (sempre meno redditizi con stadi sempre meno capienti), si è puntato decisi sui diritti tv, sugli sponsors, sul merchandising. Niente, neppure questo bastava. Si è raffinato allora il sistema delle ricche plusvalenze (sia per giocatori in rosa, sia per quelli creati dal vivaio, ma nessuno ha ancora capito come mai tutti guadagnino a scambiarsi giocatori dalle valutazioni simili…) : bisognava “creare” nuovi ricavi per coprire costi sempre più esorbitanti. Ma la giostra girava ancora più forte ed era ancora più attrattiva: i tifosi sognavano i colpi milionari fatti da un novero sempre più ristretto di squadre, le uniche, del resto, ammesse a salire su questa giostra. E qui, forse, ci sono stati anche errori a catena da parte della UEFA, che per paura di perdere i suoi “clienti privilegiati” e intimargli di scendere dalla giostra, (non avendo più abbastanza i soldi), ha favorito e permesso l’introduzione del formato di una Lega, (una giostra per stare in metafora) sempre meno meritocratica, derogando anche il Finacial Fair Play: spendi (quasi) quanto vuoi, purché rimani sulla giostra. Nel frattempo, le squadre top avevano individuato nei “followers digitali”, meglio se d’oltre oceano e smoderatamente ricchi (definirli tifosi mi parrebbe brutto) il target ideale a cui vendere magliettine, gadgets e prodotti vari di lifestyle nelle varie tournée “circensi” organizzate in posti così strambi e nelle finali di competizioni nazionali disputate in loco. E con buona pace del tifoso dell’hinterland milanese, magari da generazioni innamorato di Milan o Inter: la sua passione valeva necessariamente di meno dinnanzi al “like” svogliato sulla pagina ufficiale del club, di qualche ricco follower di Doha o Shangai.

Ma poi è arrivato il Covid. E questa gigantesca giostra non ha avuto più energie. Di colpo sono mancati i ricavi: i cinesi, i mediorientali, gli americani hanno avuto altro a cui pensare, che seguire le gesta di squadrette europee dalle graziose maglie a strisce. I ricavi latitano, i debiti scoppiano (ben 7 squadre della annunciata Super Lega, sono tra le 8 più indebitate del continente) e sostenuti da una nota banca mondiale,  si arriva alla notte del grande strappo: “l’unico modo per sopravvivere è creare nuovi ricavi!” (tuona Perez, presidente del Real Madrid, lunedì scorso).

Come sia andata a finire è sotto gli occhi di tutti: le comunicazioni ufficiali dei “pentiti del giorno dopo” oltre ad essere in alcuni casi grottesche, sarebbero di certo fonte di grande ispirazione nella nostra cinematografia di commedie all’italiana.

C’è un proverbio di saggezza popolare che potrebbe tuttavia aiutarci: “se hai avuto 100 lire e le hai spese male, quando ne avrai 1.000 non le spenderai meglio”.

Più che concentrarsi sui ricavi, allora, basterebbe concentrarsi sui costi, ormai insostenibili, introducendo “salary cap e limiti alle iperboliche valutazioni dei giocatori e alle spropositate commissioni dei loro procuratori. Riduciamo i costi, anziché gonfiare i ricavi. Ma ci vuole coraggio per questo. La giostra sarebbe bella comunque e forse sarebbe persino più democratica, premiando i club “poveri di mezzi, ma ricchi di ingegno (cit. Cardinale Carlo Borromeo, ) e confermando la sacralità del gioco più bello al mondo, come espresso proprio da Pasolini in apertura. Mal che vada, il ricco follower di Shangai o Doha di prima, tra poco tempo comincerà a seguire qualche nuovo sport, o qualche nuova serie televisiva reclamizzata con dovuta enfasi sulle tv. Ce ne faremo tutti una ragione: non è mica un sacrilegio.

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