La cultura comprende un insieme di attività attraverso cui vengono elaborate le espressioni artistiche, intellettuali e morali della vita umana, ma le sue relazioni con l’economia appaiono tutt’altro che semplici. Anzi, cultura ed economia sono stati a lungo considerati antitetici perché la prima è simbolica, mentre la seconda è orientata alla produzione materiale. In realtà le attività culturali stanno assumendo un peso crescente nelle economie contemporanee e possono addirittura svolgere un ruolo strategico nelle politiche di sviluppo locale.
Mentre lo sviluppo tecnologico e la riduzione dei costi di transazione internazionale determinano la de-localizzazione delle attività manifatturiere, per la cultura vale invece il contrario, proprio perché le economie di localizzazione continuano a svolgere un ruolo fondamentale. Sembra intuitivo, ma ecco che il bene culturale da elemento meritorio evolve a risorsa collettiva per la competitività. Questi mutamenti pongono la dimensione culturale tra i fattori strategici delle politiche di sviluppo dell’Unione Europea per il cui futuro diventano risorse cruciali proprio quei beni non riproducibili e localizzati come il patrimonio storico, le stratificazioni culturali e le identità territoriali.
Il settore culturale, insieme a quello creativo, generavano – e auspicabilmente torneranno a generare – prima dell’infezione pandemica un giro d’affari, un contributo al PIL europeo, superiore a quello prodotto dal settore delle costruzioni o da quello alimentare, superiore di poco a quello prodotto dalla chimica e la plastica insieme, dando lavoro a oltre 5 milioni di persone, valore superiore a quello dell’intero settore del tessile e abbigliamento.
In Italia il valore aggiunto del settore culturale era in crescita costante, prima della pandemia. Nella generale indifferenza dei media si è realizzato da circa una dozzina d’anni un significativo sorpasso delle attività teatrali su quelle sportive sia in quanto a presenze dirette agli spettacoli, sia per spesa pagata con riferimento alla presenza diretta dei cittadini italiani agli eventi culturali e sportivi, non considerando, perciò, il numero di spettatori televisivi, su cui, per diverse ragioni, si sta sempre più orientando lo spettacolo sportivo. Fatto sta che oggi in Italia più gente va a teatro di quanta ne vada allo stadio.
Diverse esperienze di successo nell’ambito dei progetti di sviluppo culturale, specialmente all’estero, mettono in luce come un fattore fondamentale per la creazione di circuiti economici virtuosi sia l’integrazione delle diverse risorse locali in una logica di filiera. Anche da questo nasce l’idea di guardare allo sviluppo delle attività culturali dalla prospettiva dei distretti produttivi, caratteristica del tessuto industriale italiano, all’interno dei quali le diverse attività economiche producono esternalità positive che si alimentano, attraverso relazioni reciproche, sul territorio, rappresentando un sistema di organizzazione della produzione specializzato in una particolare attività, per il quale il territorio svolge una funzione fondamentale nel processo di creazione del valore. Il “distretto culturale” quindi si definisce come un sistema territorialmente delimitato di relazioni, che integra il processo di valorizzazione delle dotazioni culturali, sia materiali che immateriali, con le infrastrutture e con gli altri settori produttivi che a quel processo sono connesse. Lo sviluppo del distretto culturale, in questa accezione, fa leva sulle principali risorse culturali di un territorio, come il patrimonio storico, artistico, architettonico, ma anche eventi e capacità di promozione culturale, per valorizzare anche le altre risorse locali in una logica di “cluster”. Il turismo culturale, ad esempio, può diventare occasione per fare conoscere i beni ambientali di un territorio, i suoi prodotti tipici, gli eventi e le manifestazioni espressione della cultura locale. E può essere lo strumento per sviluppare le infrastrutture locali, i servizi di accessibilità e del tempo libero, i servizi di accoglienza, facendo altresì crescere l’indotto collegato al processo di valorizzazione. Tali attività diventano lo strumento per contrastare il declino occupazionale dei settori industriali maturi e per promuovere una nuova immagine della città, o del territorio, che può avere rilevanti effetti nella capacità di attrazione degli investimenti. Il modello distrettuale può diventare utile per promuovere lo sviluppo attraverso la cultura anche nel nostro paese, ma a condizione che esso diventi un progetto di medio-lungo periodo in grado di coinvolgere l’economia e la società locale, non solo basato sulla valorizzazione turistica del patrimonio storico. A differenza di un distretto industriale infatti un distretto culturale non si forma spontaneamente, ma è il risultato di un progetto promosso consapevolmente dagli attori locali, in assenza del quale difficilmente la cultura può diventare uno strumento per la crescita economica. Occorre anche sottolineare che l’esistenza di sistemi culturali locali non comporta automaticamente la loro trasformazione in distretti. La disponibilità di beni storici, artistici, architettonici, infrastrutturali e ambientali è infatti una condizione necessaria ma non sufficiente per l’avvio di processi virtuosi di valorizzazione delle identità e delle tipicità culturali e di promozione dello sviluppo territoriale. E proprio lo scarso numero di esperienze compiute di costituzione di distretti culturali in Italia, a fronte di un’estrema ricchezza e varietà di culture locali e di risorse, rappresenta una conferma del fatto che le potenzialità espresse dai territori richiedono uno sforzo progettuale e ideativo per accompagnare le comunità nella elaborazione di obiettivi di sviluppo culturalmente sostenibili e condivisi, al di là della spinta alla mera commercializzazione dei contesti e delle tradizioni locali e dei richiami generici alla auto-imprenditorialità diffusa.
Concludendo, occorre sottolineare due elementi critici che rischiano altrimenti di condurre a una concezione che banalizza e ingessa la cultura nel tentativo di renderla turisticamente appetibile: in primo luogo, i rischi di accettazione acritica di visioni dello sviluppo locale, per le quali il patrimonio artistico e monumentale costituisce semplicemente il materiale su cui basare una economia della rendita; e, parallelamente, i vincoli posti da un contesto di sistema poco innovativo (come purtroppo è attualmente l’Italia) in cui si tende a concepire la cultura come una sorta di “giacimento” da sfruttare in chiave commerciale e turistica. La sfida che i distretti si trovano a fronteggiare nell’immediato futuro sta dunque nel tentativo di declinare la cultura, non come mero prodotto da vendere, bensì come produzione da alimentare e mettere in circolo, valorizzando le risorse esistenti senza trascurare quei processi di innovazione e di fermento che stanno alla base dell’economia della conoscenza e della produzione culturale e che, stratificandosi nei secoli, hanno contribuito a produrre proprio quei beni che oggi si intendono valorizzare.
In un’economia sempre più basata sulla conoscenza, la cultura costituisce una risorsa collettiva che contribuisce ad alimentare la creatività, a stimolare l’innovazione e ad accrescere la qualità del capitale umano. Si tratta di un vero e proprio circolo virtuoso, e tuttavia torna sempre di attualità nel dibattito nostrano la locuzione latina “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur” … mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata.
Avvocato, esperto di diritto commerciale, immobiliare, societario e del lavoro, con particolare attenzione ai temi della corporate governance e del real estate, e, in ambito giuslavoristico, del turismo, dello sport e dei beni culturali, a supporto di imprese e istituzioni in Italia e all’estero.
E’ stato consigliere di amministrazione indipendente di tre importanti istituti di credito nazionali, nonché consigliere di indirizzo di una delle maggiori fondazioni bancarie del Paese, attualmente vicepresidente di una delle principali fondazioni lirico-sinfoniche italiane, quella del Teatro Carlo Felice di Genova.
Incoraggiato da amici e colleghi, ha ideato un blog sportivo molto apprezzato, dove gli piace raccontare, con l’attenzione dello storico e la sensibilità del narratore, quelle storie di uomini e donne che, nell’incrocio con la Storia più grande, passano del tempo a discutere, emozionarsi e incitare la loro squadra del cuore, in una spirale di meta-narrazione che i francesi chiamano “à colimaçon”, come il vortice di una scala a chiocciola, appunto.