Il costo della transizione energetica ( 2 di 2)
Rocco Borella, Cromemi Rosso-arancio 1964. Courtesy: Matteo Bellenghi Modern&Contemporary Art

La scorsa settimana si è parlato dei costi della transizione energetica e si è ribadito che i sacrosanti desiderata di riduzione dell’inquinamento avranno inevitabilmente un costo economico importante sulle nostre tasche.

Più prosaicamente e forse difettando di romanticismo: è bello immaginare un mondo ad emissioni zero, ma è un po’ utopico, le soluzioni adottate da qualsiasi potenza economica non saranno mai efficaci, se non prevedono un totale coinvolgimento in termini di tempo, sensibilizzazione e restrizioni economiche per la popolazione.

Qualche dato a sostegno. Entro il 2050 le maggiori potenze mondiali si sono impegnate a ridurre del 80%-95% il fabbisogno dei combustibili fossili (petrolio, carbone, gas). Ad oggi questi combustibili soddisfano ancora quattro quinti del totale fabbisogno energetico.

Il passaggio alle energie rinnovabili sarà di certo una rivoluzione e ammesso e non concesso che avvenga nei tempi prospettati, come tutte le rivoluzioni determinerà vincitori e vinti, soprattutto a livello industriale, con una serie di filiere produttive che tenderanno a scomparire.

E questo è un primo impatto di carattere sociale. Negli ultimi 15 anni, l’investimento globale nelle energie rinnovabili (solare ed eolico) è costato 3.800 miliardi di dollari circa, per coprire circa il 10%-15% del fabbisogno complessivo. Guardiamo solo in casa nostra: in Italia negli ultimi anni sono stati erogati numerosi sussidi (130 miliardi di euro) per la promozione delle rinnovabili, ma la riduzione delle emissioni di CO2 è stato solo del 20% circa. (Ultimi 10 anni). Ergo, per rispettare quanto scritto nel PNRR, dovremmo aumentare in maniera strepitosa il ritmo di inserimento di nuovi impianti di energia rinnovabile e il ritmo di riduzione di gas inquinanti.

Ci riusciremo? Per carità, dopo aver stravinto ogni competizione questa estate, è giusto non porci dei limiti, ma forse, l’unica possibilità per accelerare in maniera così clamorosa nel percorso prefissato è ridurre le polemiche sull’impatto paesaggistico degli impianti (sciùscià e sorbi no se peu.. per la traduzione chiedere a qualche ligure), o, meno utopisticamente, accettare forme energetiche alternative. Valutando anche il nucleare di nuova generazione.

Per finire, anche acquistare una auto elettrica non salva il pianeta e forse neppure la coscienza.

Il pianeta lo salveremo se e solo se rivedremo le nostre esigenze energetiche e le nostre abitudini di cattivi consumatori, anche quelle più scontate, come riciclare per bene i rifiuti, evitare gli sprechi alimentari e il consumo di acqua, ridurre o abolire diete carnivore etc etc: tutti altri impatti sociali che (speriamo) ci attendono a breve.

Questo non è un manifesto ambientalista. Ma quello che (a mio avviso) dovrebbero insegnarci subito a scuola. E non, come comune tendenza, che a spiegarci come salvare il pianeta, sia fatto da chi va a scuola per imparare (o almeno dovrebbe…).

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