Roberto Albisetti- L’altra faccia del divario digitale
Investment banker e Consulente d'impresa

L’uso della tecnologia digitale fa ormai parte delle nostre abitudini quotidiane che quasi non ci facciamo piu’ caso. Nei nostri telefonini intelligenti le nuove app fioriscono come la mimosa in primavera. L’industria 4.0 genera giorno per giorno nuove start-up digitali. Il 90% di queste non sopravvivono al test di mercato o non superano il primo anno di vita. Una su mille prende la strada della Silicon Valley e diventa unicorno, il fregio del successo per chi si quota in borsa a Wall Street con valutazioni superiori al miliardo di dollari. Abbiamo imparato a utilizzare le applicazioni digitali di ecommerce, che ora chiamiamo marketplace, che ci portano a casa di tutto e da tutto il mondo, usiamo i software che ci fanno ricevere certificati sul pc, ci permettono di fare riunioni virtuali, di pagare utenze e fare bonifici bancari dal nostro cellulare e di vedere nuovi film e partite in diretta con lo streaming.  Il maggior impatto economico delle piattaforme digitali non è solo la disintermediazione nel mercato, con l’informatizzazione arrivano i vantaggi di ridurre i tempi, i costi di transazione e – a volte – di semplificare i processi.  Dico “a volte” a proposito, perche’ i processi digitalizzati complicano l’accesso ai servizi per milioni di persone. Basti pensare al pensionato che arriva allo sportello postale o di una banca e per risposta gli dicono di andare a casa a scaricare una app per prenotare un appuntamento in linea, per poi tornare nello stesso posto dove è appena andato. Distorsioni come questa evidenziano che molte applicazioni e software non sono facili da usare (in inglese si direbbe “non user friendly) e creano disagio, frustrazione, costi sociali ed esclusione generazionale.  La pandemia ha accelerato la frenesia di digitalizzare quasi tutto, ha favorito uno storico e rapido cambio di rotta alle politiche pubbliche per rompere con il passato. Le banche sono state la punta di lancia della digitalizzazione dei servizi; hanno investito molto e informatizzato quasi tutti i processi. Ricordiamoci pero’ che la tecnologia è uno strumento, non un fine.  Le societa’ di consulenza e di software sono occupatissime, si arricchiscono a digitalizzare imprese pubbliche e private perche’ questa è LA soluzione per ottenere maggiore produttivita’ e migliorare l’efficienza. I giovani avveduti dovrebbero studiare programmazione, calcolo e statistica per poter lavorare con l’intelligenza artificiale, se vogliono salire sul treno del successo. Ma non possiamo dimenticare quella fascia vulnerabile della societa’ che è rimasta indietro, sia per motivi economici, sia per non avere la capacita’ di imparare ad usare la tecnologia.  La definizione di divario digitale (digital divide in inglese) è la barriera alla possibilità di accedere a internet. L’accelerazione ai servizi digitali ha messo in difficolta’ chi non ha dimestichezza con la rete, principalmente molte persone anziane che devono chiedere aiuto ai figli, ai patronati o pagare per farsi aiutare ad usare le app. Queste persone aspettano giorni per eseguire operazioni semplici che avrebbero potuto risolvere subito, almeno sino a quando hanno funzionato gli sportelli. Tra chi è rimasto indietro ci sono persone piu’ giovani ma meno reattive al cambiamento o incapaci di imparare il linguaggio digitale necessario a modificare i comportamenti quotidiani. La tecnologia non serve a chi non ha imparato a usarla, vuoi per pigrizia, per obiettiva incapacita’ oppure semplicemente perche’ non ha i soldi per comprarsi uno smartphone. Questo fenomeno rappresenta l’altra faccia del digital divide. La soluzione include convincere le istituzioni a spendere qualche soldo in uffici di assistenza al cliente (diversi dai call center) per facilitare e istruire chi non è riuscito ad adeguarsi in fretta alla chiusura degli sportelli.  Pertanto, equita’ digitale è anche offrire alternative concrete ed eque a chi non ha accesso a internet e ridurre il disagio delle persone piu’ vulnerabili alle quali la tecnologia ha reso la vita piu’ difficile invece di semplificarla. La soluzione alle urgenze create dalla crisi sanitaria non è la scusa per aver creato una nuova burocrazia digitale, complessa e densa di errori di pianificazione. Aver accelerato la transizione dal sistema tradizionale al digitale senza gradualita’ e a tutti i costi ha evidenziato difetti nei sistemi per la scarsa preparazione dovuta alla fretta di passare dal vecchio modello al nuovo sistema di piattaforme digitali. Peccato che i piu’deboli siano rimasti esclusi.

 

 

Investment banker e consulente d’impresa. Ha studiato economia e commercio all’Università di Genova, finanza alla Stern School of Business della NYU e management alla SDA Bocconi di Milano. Ha lavorato per 20 anni con l’IFC Banca Mondiale, nel campo della origination e negoziazione di investimenti in diversi settori. Esperienze lavorative rivestendo ruoli dirigenziali in Ansaldo-Finmeccanica, Elsag-Bailey, IRI (nella sede di Washington), Banca Mondiale di Washington e SACE. Ha ricoperto incarichi in vari consigli di amministrazione di banche, fondi e imprese industriali di diversi paesi. Nel 2019 ha fondato la società di consulenza strategica AlbisettiConsulting per le PMI e per acquisizioni e ristrutturazioni. Dal 2010 collabora come mentore e membro di comitato per l’acceleratore Endeavour in America Latina e in Italia. Ha scritto tre libri di finanza e strategia: Finanza Strutturata, 2000 con Rizzoli CDS, Finanza Empresarial nel 2018 in Colombia con Javeriana e la seconda edizione di Finanza Empresarial nel 2021 in Messico con Folia UAG. Già professore a contratto in programmi  MBA in Italia, Moldova, Serbia, Messico e Colombia.

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