Fireworks e Opacity: mercato dell’arte scoppiettante, ma rimane una scia di fumo nero
Copertina Report "Il mercato dell'arte e dei beni da collezione 2023", Deloitte Private

Puntuale anche quest’anno, arriva l’appuntamento con il Report, relativo all’anno 2022, “Il mercato dell’arte e dei beni da collezione: una ricerca a cui tengo molto e che porto avanti da più di quindici anni (ahia…), pubblicata con gli amici di Deloitte Private. Ricordo che il primo report era nato durante la grande crisi del 2008, dove provavo a capire se “l’arte fosse davvero un bene rifugio” e se potesse salvarsi dal crollo dei mercati dell’economia reale e finanziaria, allora in atto.

Ci sono evidentemente alcune analogie tra il 2022 e il 2008, entrambi definibili come “annus horribilis”, ma andiamo con ordine.

Mi spiace subito dare una brutta notizia a tutti coloro che si avvicinano con animo perennemente romantico all’arte: l’arte non è tecnicamente un bene rifugio, in quanto se è vero che in epoche di grandi tensioni sui mercati regolamentati, potrebbe mantenere o addirittura incrementare il suo valore, non è vero che questo valore “intrinseco” tenda a mantenersi pressoché costante nel tempo (condizione imprescindibile per essere definito bene rifugio). Anzi, l’investimento in arte è assolutamente volatile. Nel bene e nel male.

E nel 2022 (spoiler della ricerca) è stato decisamente un bene: mentre tutti i mercati crollavano sotto il peso dell’inflazione e delle tensioni geopolitiche, il mercato dell’arte registrava il suo fatturato (in termini assoluti) più alto di sempre.

Certo, sul risultato eccezionale, hanno avuto un peso determinante alcuni elementi non ricorrenti, quali i sensazionali risultati di alcune “single owner collection” (collezioni appartenute a un solo collezionista), tra cui spicca quella del co-fondatore di Microsoft, Paul G. Allen (battuta per oltre 1,6 miliardi $), e che complessivamente sono state pari a circa 2,6 miliardi di $.

Ma non solo: il perfezionamento delle strategie ibride e digitali avviate nell’immediato post Covid da un lato ed il rafforzamento delle partnership con operatori locali nei mercati emergenti, nonché il ritorno alla piena normalità nei mercati più maturi dall’altro lato, hanno favorito il raggiungimento di questi risultati record.

Provo a dirlo in maniera più semplice: gli operatori del mercato hanno saputo “coccolare” i collezionisti più consolidati che popolano usualmente le aste di maggior rilievo internazionale con una offerta di assoluta qualità (c.d. museale) e al contempo “strizzare l’occhio” a tutta una platea di nuovi collezionisti “Millennial”, arricchiti dal boom della economia digitale e caratterizzati da un diverso gusto e interesse su elementi iconici, (borse, sneaker, orologi…). Questa nuova nicchia di collezionisti è molto sensibile all’uso della tecnologia (solitamente comprano nelle aste online) e costituisce, per gli operatori di mercato, il nuovo potenziale target da fidelizzare e sviluppare per il futuro.

Se l’arte contemporanea dopo anni di primato ha ceduto lo scettro all’arte moderna (largamente rappresentata nelle collezioni record dell’anno) è anche vero che si assiste a un boom del segmento “ultra-contemporaneo”, rappresentato da artisti giovanissimi, accomunati da una pittura figurativa molto colorata, di facile richiamo sui social e particolarmente ambita da acquirenti più giovani.

È tutto oro che luccica?

Non proprio, perché se con la co-autrice del Report (Roberta Ghilardi) abbiamo individuato nella parola “fireworks” (fuochi d’artificio) la vivacità che ha caratterizzato i risultati del 2022, abbiamo altresì definito nella parola opacity” l’altra faccia della medaglia.

Un po’ come il fumo rimasto dopo l’esplosione del fuoco d’artificio, così è avvenuto nel 2022 nel mercato dell’arte: già nelle ultime aste dell’anno sono affiorati elementi di criticità, sia nel lato dell’offerta con un sostenuto uso delle garanzie; sia nel lato della domanda, in termini di maggior prudenza dei collezionisti, una complessiva riduzione della propensione al rischio ed un brusco raffreddamento dei risultati.

Inoltre, molte dinamiche sociali ed economiche in atto sembrano, almeno al momento, solo aver sfiorato il mercato dell’arte, per cui si consiglia una lettura dei risultati 2022 meno enfatica e più cautelativa.

Si rischia infatti di assistere a un “dèjà vu”: nella crisi globale del biennio 2008-2009 il mondo dell’arte aveva inizialmente resistito alla crisi che aveva messo in ginocchio le economie internazionali, per poi registrare un clamoroso tonfo appena dopo.

È anche vero che ci sono oggi alcuni elementi di salvaguardia che potrebbero decisamente attutire (l’eventuale) contraccolpo, ma per questi e altri approfondimenti, mi riservo una analisi supplementare nel prossimo N&M, lasciando ovviamente aperta la possibilità, per chi vorrà, di scoprirlo già partecipando all’evento in presenza o in streaming la prossima settimana:

https://cloud.marcom.deloitte.it/ArtFinancePresenza

Non ci saranno magari i fuochi d’artificio, ma neppure il fumo “opaco” che ne deriva…

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