“Presto che è tardi”
Massimo Fossa, La forma del tempo, 2018, Cortesia dell'autore

In questi mesi stanno uscendo numerosi studi sul livello di ricchezza raggiunto dalla generazione dei baby boomers (nati tra il 1946 e il 1964) e del travaso di ricchezza a cui (presto o tardi) assisteremo a favore delle generazioni appena successive, ovvero la generazione X o “di transizione” (nati tra il 1965 e il 1980) e Y o “Millenials” (1981-1996).

Nelle società occidentali il boom economico postguerra ha creato una ricchezza clamorosa: oggi è massima la percentuale di persone con abitazione di proprietà, come pure i diversi sistemi di welfare adottati nel dopoguerra hanno ridotto la povertà nella classe tradizionalmente più fragile (quella degli anziani).

Negli ultimi anni stiamo però assistendo ad un calo demografico pronunciato, che non solo metterà a repentaglio la tenuta dei sistemi pensionistici, ma determinerà anche grossi cambiamenti in termini di concentrazione della ricchezza. Un mio professore universitario sosteneva che il destino delle società occidentali sarebbe stato quello di assomigliare al Brasile, dove il divario sociale tra le classi è evidente da anni (auguriamoci per lo meno di riuscire a giocare a calcio altrettanto bene…).

È un aspetto che tocca tutte le società occidentali, anche se in Italia, complice il miracolo del boom economico degli anni ’60 e la successiva stagnazione della nostra economia nei decenni successivi, questo divario rischia di essere tragico.

Provo a spiegarmi meglio, facendo un confronto con l’economia americana.

Negli USA grazie ad una economia in salute da decenni, con una forte connotazione all’innovazione e allo sviluppo tecnologico si è sempre generata nuova ricchezza. Esemplare il caso Covid che ha favorito l’emergere di nuovi imprenditori digitali, divenuti estremamente ricchi nel giro di pochi mesi e mediamente giovani. Questo ha ancora una volta favorito una ridistribuzione della ricchezza complessiva.

In Italia invece, l’economia cresce da troppi anni ad un livello più basso della media europea e questo ha ancora di più cristallizzato la stratificazione sociale, con un grande squilibrio patrimoniale tra “benestanti” e il resto della popolazione.

Se ciò non bastasse, il Belpaese palesa anche allarmanti livelli di cultura finanziaria, ha mercati finanziari (e dunque opportunità) ridotte rispetto al livello assoluto di ricchezza detenuta e soffre di una burocrazia asfissiante che limita nuove iniziative imprenditoriali.

Il rischio che le nuove generazioni che si arricchiranno per via successoria si limitino ad un mero esercizio di amministrazione (nel migliore dei casi) e non di investimento è piuttosto evidente.

Non solo. Secondo recenti studi, la ricchezza media pro-capite di un over 65 in Italia si aggira sui 300 mila euro (valore degli immobili compreso), mentre quella dei giovani under 35 e già inseriti nel mondo del lavoro si aggira sui 150 mila euro (il picco è raggiunto nella fascia 45-54 anni, ovvero persone già da anni in attività con 330 mila euro pro-capite).

La sproporzione che si sta palesando nella generazione dei millenials tra (i pochi) che beneficeranno del passaggio generazionale e (i molti) che non riceveranno nulla, fa crescere enormemente la probabilità di spingere (nel tempo) una grossa parte di questi soggetti ai livelli di povertà.

E la cosa è particolarmente pericolosa perché il funzionamento dell’attuale sistema pensionistico, ad esempio, è basato sulla capacità reddituale delle classi lavorative: se i giovani non hanno la possibilità di mettersi in gioco perché non hanno capitali o hanno difficoltà di accesso perché chi li ha non li mette in circolo… beh, non serve una laurea in economia per capire dove voglio arrivare…

Se poi la base di lavoratori sta anche diminuendo per ragioni demografiche e la forza lavoro disponibile non è allineata ai nuovi standard di economia digitale richiesti… beh, non serve una laurea in sociologia per intuire la reazione di chi assisterà inerme al suo impoverimento.

Come se ne esce? Difficile prevederlo.

Una ricetta sicura di benessere non esiste, o meglio, quelle che potrebbero comportare una maggiore probabilità di ripartenza economica rischierebbero di essere molto impopolari: le “soluzioni patrimoniali” sono sempre state mal digerite in questo Paese e una prova di questo è anche rappresentato dall’attuale sistema successorio, particolarmente favorevole per gli eredi.

Personalmente, vedrei di buon occhio qualunque soluzione che faciliti e tuteli i giovani per entrare più velocemente nel mondo del lavoro, (allargheremmo subito la base dei contribuenti) e un ripensamento sull’attuale livello del nostro risparmio, che troppo spesso si cristallizza in giacenze e non crea valore in investimenti nell’economia reale.

Prendendo a prestito uno slogan televisivo di successo, direi però “presto che è tardi”. Il rischio di trovarci in un sistema completamente paralizzato tra qualche anno e affondare dunque tutti è evidente.

Cui prodest?

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