Italia-Francia: liaison “très” difficile
Jiri Hauschka, Fallen Suns, 2024. Courtesy: CRAG Gallery, Torino

C’è un “fil rouge” (spesso incandescente) che lega Italia e Francia: un rapporto secolare contraddistinto da amore-odio, da profonde e comuni radici culturali e linguistiche da un lato, e da una continua competizione, scherni e sfottò dall’altro lato, ogni volta che i due Paesi si ritrovano contrapposti in campo civile, economico, culturale e sportivo.

Noi sorridiamo ancora beffardamente pensando alla finale che ci ha decretato “Campioni del mondo” e – ammettiamolo – abbiamo anche un po’ gioito per la loro recente eliminazione agli europei di calcio. Loro, invece, non finiscono di meravigliarsi quando devono commentare le nostre annose vicende politiche, che con marcato distacco amano sintetizzare con l’espressione “Ah, Les Italiens!”: un giudizio tagliente che riassume non solo la nostra imprevedibilità e capacità di cacciarci spesso nei guai, ma anche la distanza che i francesi amano prendere da noi, in quei casi.

Il problema è che ultimamente questo mondo sembra si stia ribaltando: sul calcio è meglio ancora non confrontarci, ma con sguardo benevolo (ed un po’ di legittima rivalsa) guardiamo ai loro problemi interni, alla loro situazione politica a dir poco ingarbugliata e alle polveriere delle loro “banlieues”.

Non è mia abitudine commentare i fatti politici e non lo farò neanche questa volta. Tuttavia, da un punto di vista economico, quello che è successo – e, peggio, quello che potrebbe ancora succedere in Francia – avrà delle conseguenze rilevanti anche per noi.

Che piaccia o no, l’Italia è il Paese maggiormente esposto a una (eventuale) crisi istituzionale francese.

Qualche dato può aiutare. Negli ultimi 10 anni le importazioni francesi sono aumentate del 22% in area Euro, mentre quelle dalla sola Italia del 48%. Il nostro surplus commerciale verso la Francia è raddoppiato nello stesso arco temporale (circa 14 miliardi di euro, grazie al traino della meccanica, dell’agroalimentare e dell’ automotive).

Con la Francia esiste una consolidata ossatura industriale comune, fondata sulla presenza di società bi-nazionali (circa 4mila) e tra i 2 Paesi abbondano le fusioni cross borders (es. Stellantis ed EssilorLuxottica), come pure le grandi collaborazioni industriali in settori chiave come la componentistica elettronica (STMicroelectronics), la cantieristica militare (Fincantieri e NavalGroup) e il comparto aero-spaziale (Avio e ArianeGroup).

 

Le grandi imprese francesi hanno sempre trovato nella flessibilità e nell’alto livello tecnologico delle PMI italiane degli ideali fornitori per le loro produzioni: la seconda e la terza economia continentale, al di là delle inevitabili contrapposizioni e rivalità, dipendono l’una dall’altra.

Ecco perché qualunque situazione, che possa destabilizzare la Francia, rischia di destabilizzare anche noi.

Già, ma cosa sta destabilizzando la Francia? La politica è evidentemente lo specchio di radici più profonde.

La prima ragione è che la Francia sta vivendo da circa vent’anni al di sopra delle proprie possibilità (ha una bilancia commerciale negativa), e ha finito per indebitarsi sempre di più.  Il debito di un Paese lo si può leggere da molti indicatori. Quello che spaventa è che non solo cresce a dismisura il debito pubblico francese, ma anche quello di imprese e famiglie. A differenza di Germania, Spagna e – udite, udite – Italia, che rimangono Paesi molto più virtuosi.

E allora, in questa situazione di incertezza i mercati potrebbero cominciare a fare quello che sanno fare meglio, ovvero speculare.

E così, se la situazione politica francese non riuscisse a dare abbastanza garanzie, potrebbe, nei prossimi giorni, pretendere tassi più alti per continuare a finanziare le attività francesi e, di conseguenza, far salire lo spread francese con il bund tedesco.

Qualcuno potrebbe dire: è un problema loro. Purtroppo, non funziona così, perché una Francia agitata da ondate di speculazione comporterebbe un restringimento della sua domanda (e abbiamo già visto quanto pesi sul nostro export), ma, soprattutto, un allargamento degli spread di credito tra Paesi virtuosi e Paesi viziosi.

E indovinate chi ha uno spread peggiore di quello francese? Esatto!…

E allora: “bonne chanche” ai nostri cugini d’Oltralpe.

Urliamolo forte. Se non altro perché… tifiamo tutti Italia!

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