Overtourism: aiutamoli a casa nostra
Immagine: Paolo Manazza, Untitled 2025. Cortesia dell'autore

Autunno, i primi refoli di un gelido vento di origine polare confermano la fine dell’estate, che per l’Italia ha significato l’ennesima stagione turistica trionfante, con il tutto esaurito sulle spiagge, in montagna, sui laghi e in tutte le strutture ricettive.

Se da un lato esultiamo per questa patente di gradimento del Belpaese, dall’altro lato questo massivo spostamento di genti genera spesso una distorsione sulla sostenibilità dei nostri piccoli o medi borghi, che si trovano presi d’assalto da una orda turistica disorganizzata e (talvolta) poco rispettosa.

Il fenomeno del turismo eccessivo viene definito “Overtourism” e ci spiega come un eccesso di domanda turistica può deteriorare la qualità della vita della popolazione residente e la perdita di autenticità della cultura locale.

Attenzione, non vorrei essere frainteso, qui non si tratta di demonizzare i flussi turistici, anzi, per una nazione come la nostra, caratterizzata da un’economia asfittica, il turismo rimane tanta manna, ma bisogna evitare distorsioni che in Spagna, ad esempio, balzano già agli onori della cronaca, con organizzazione di ronde anti-turisti, o pistole ad acqua utilizzate come atto di “benvenuto”. (Vivendo in Liguria da più di dieci anni come “foresto”, non vorrei mai che prendessero ispirazione…).

Facciamo allora un passo indietro e analizziamo il contesto della attuale domanda turistica.

Ci sono una serie di fattori che stanno facilitando, negli ultimi anni, un afflusso disordinato di turisti in località con limitata capacità ricettiva.

Uno di questi è la moltiplicazione in Paesi come Italia o Spagna di strutture alternative, come airbnb, b&b o case vacanze. Contestualmente, la proliferazione di compagnia aeree low cost ha permesso a una sempre più vasta moltitudine di avere nuovi collegamenti. Questo vale soprattutto per la classe media di tanti Paesi emergenti, che oggi possono accedere a standard di turismo di massa a buon mercato, prima impensabili. I flussi del turismo cinese ne sono un buon esempio.

L’attuale contesto geopolitico internazionale ha poi sicuramente ridotto la rosa dei Paesi sicuri su cui orientare questo turismo “mordi e fuggi”, intasando così, la domanda sull’Italia, la Spagna e il sud della Francia, seppur siano state scoperte nuove rotte, ancora marginali, quali Croazia e Albania.

C’è anche un fattore psicologico che infiamma la domanda: dopo un anno e mezzo chiusi in casa per la pandemia, la gente vuole riprendersi la libertà di viaggiare e la curiosità di scoprire posti nuovi e in tal senso lo stock di risparmio accumulato durante il “lock down” è una fonte a cui poter facilmente attingere. E fin qui sembrerebbe tutto perfetto, basterebbe solo essere accoglienti e frotte di turisti potrebbero/dovrebbero far ripartire l’economia tricolore.

Ma un proverbio insegna che il “troppo stroppia” e l’overtourism finisce per essere un costo per la collettività e in generale un peggioramento della qualità della vita.

Come è possibile? Vediamolo.

L’overtourism satura gli spazi e questo determina limitazioni agi accessi ad alcuni siti, almeno in alcuni periodi dell’anno. Giusto per dare qualche numero, secondo l’istituto di ricerche REF, il 15% dei Comuni totalizza l’86% del totale delle presenze turistiche in Italia. La manutenzione di un territorio così sovrappopolato comporta degli extra costi o una lievitazione dei costi per servizi di pubblica utilità, (spazzatura, sicurezza, sanità, manutenzione strade, etc…) che vengono sostenuti dagli abitanti del luogo. Il consumo eccessivo di risorse è un altro grave problema da associare al sovraffollamento turistico. Il turismo aumenta la domanda di acqua, energia e materiali da costruzione, spesso in aree dove le risorse sono già limitate. Rimini (per fare un esempio) ogni anno accoglie fino a 7 milioni di turisti  e le sue aree costiere sono sfruttate fino al 95%  Non solo. Un numero considerevole di abitazioni turistiche stagionali genera un aumento del prezzo del mattone e degli affitti nei centri più richiesti, con una contestuale proliferazione di attività a basso capitale umano ( ristoranti, rivendite di gadget, alcune tipologie di bar) e uno spostamento dei cittadini residenti verso le periferie. Sono tornato a Siena dopo averci vissuto per anni e ritengo che la città toscana sia un fulgido esempio in tal senso.

Una maggiore presenza di turisti dovrebbe stimolare per lo meno l’occupazione, peccato che i nuovi posti siano spesso creati per le gestire le punte di sovraffollamento e i contratti siano, di conseguenza, a termine, (se va bene),  se non addirittura irregolari e dunque per nulla significativi per contrastare la disoccupazione.

E allora come se ne esce?

La soluzione del contingentamento in alcuni centri a vocazione artistica come Venezia, Roma e Firenze, può essere una soluzione efficace per alcune grandi città, ma non può di certo essere applicata al Mezzogiorno, in cui il turismo rappresenta la filiera più importante, anche in ottica futura.

Per ridurre l’eccesso di pressione,  bisognerebbe riorganizzare l’offerta,  mediante eventi ad hoc, o altre attrattive spalmate su un calendario più profondo.

L’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite (UNWTO) ha stilato un decalogo di 11  punti per gestire l’extra flusso turistico nelle destinazioni più ricercate. Il problema non è quindi solo italiano, anche altrove è forte il rischio di depauperare nel lungo termine una località turistica per massimizzare un guadagno immediato.

Degli 11 punti individuati, uno mi sembra quello più cruciale e riguarda “educare i turisti” al rispetto culturale e ai principi della sostenibilità, scoraggiando determinati segmenti di visitatori, in base alle specifiche esigenze e contesto locali.

Che poi è quello che facciamo quando invitiamo degli ospiti a casa: per garantire l’ospitalità, li selezioniamo in numero limitato e li coccoliamo. Del resto, mica si può essere accoglienti in un posto se non lo sentiamo più “casa nostra”.

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