Mentre in Francia la prima vera edizione di ArtBasel Paris+ al Grand Palais si è chiusa in positivo e portato una ventata di ottimismo per il mercato dell’arte, in Italia, in questi giorni abbiamo assistito al braccio di ferro tra diversi poteri dello Stato: possiamo affermare che l’unico ambito in cui giustizia e politica sono da oltre un secolo in perfetta armonia sono i beni culturali.
La recente sentenza della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. V, 15/07/2024, n. 19363) ha confermato, infatti, la correttezza della tassazione della plusvalenza derivata dalla vendita in asta di un dipinto di Monet a distanza di sette anni dal suo acquisto in quanto forma di “speculazione occasionale” ai sensi dell’art. 67, comma 1, lettera i) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) perché prestata a una mostra.
Secondo la Corte, un collezionista può essere soggetto a tassazione se vende opere d’arte che ha precedentemente prestato per esposizioni museali, poiché contribuiscono ad aumentare il valore delle stesse, anche quando un collezionista non è un commerciante d’arte professionale.
Il collezionista, generalmente, acquista opere d’arte per motivi personali, estetici o culturali, senza un intento primario di rivendita o guadagno. Tuttavia, nel momento in cui l’opera viene esposta in una mostra e successivamente venduta a un prezzo superiore a quello d’acquisto, la giustizia fiscale ritiene il prestito un’operazione economica funzionale ad una “speculazione occasionale”.
La Cassazione, ancora in questo caso dimostra di non conoscere le molte e diverse sfaccettature del sistema dell’arte e giunge a una conclusione affrettata.
Il prestito può essere gratuito o oneroso, più correttamente definito noleggio oneroso, in cui l’utile per il collezionista, non è il maggior valore di rivendita, ma il canone percepito. Si rimanda al recente giudizio deciso dal Tribunale di Monza si dibattuto se il corrispettivo per il prestito della Bella Principessa di Leonardo ammontasse a € 50.000,00 oppure € 70.500,00 (TRIBUNALE DI MONZA N. 672 del 26.02.2024)
Il prestito gratuito, per una mostra scientifica e culturale, invece, contrariamente a quanto afferma la Cassazione, concorre a promuovere lo sviluppo della cultura attraverso la fruizione delle opere e contribuisce a “promuovere lo sviluppo della cultura”, come previsto dall’art. 9 delle Costituzione.
I Musei pubblici, infatti, circondano di molte cautele i prestiti in ragione del rischio connesso alla movimentazione e della perdita temporanea della fruizione dalla propria collezione, e lo accordano solo “ove la presenza di tale opera in mostra potrà dare alla completezza organicità e profondità dell’insieme delle opere nell’illustrare un artista, una scuola un periodo, un tema e nell’operare inedite ricostruzioni storiche e culturali”, nonché portare beneficio all’accrescimento di apprezzamento critico che la mostra potrà dare a livello territoriale. Ciò è espressamente previsto nella circolare del Ministero del 29 gennaio 2008.
Tale resistenza è, tuttavia, colmabile solo grazie alla generosità dei collezionisti privati, nonostante i rischi che questi corrono per favorire il beneficio collettivo.
Una mostra scientifica collettiva, che non sia in un Museo importante e principalmente straniero, come il Louvre, la National Gallery, la Tate o il Metropolitan, per citarne alcuni, non comporta affatto un accrescimento di valore di un’opera per effetto della sua esposizione.
Sono pochissimi i casi in cui ciò è avvenuto e riguardano opere di paternità controversa che sono stati esposte in musei stranieri con comitati scientifici con un’autorevolezza così forte da certificare l’attribuzione e condizionare il mercato.
Pensiamo al Salvator Mundi, per gli old masters, esposto come opera di Leonardo alla personale sull’artista Leonardo at the Court of Milan alla National Gallery nel 2011-12 e alla susseguente vendita da Christie’s del 2017 per 450 milioni, o, per l’arte contemporanea, a un giovane artista, sconosciuto ai più, invitato a partecipare alla Biennale di Venezia.
Per contro la Corte ha omesso di considerare che per la stragrande maggioranza dei collezionisti a cui le opere sono pervenute in successione o acquistate senza un contratto, l’esposizione è un percorso obbligato, una costrizione, per poterne rivendicare la piena proprietà per usucapione.
L’esposizione in mostra, infatti, ormai per una poco condivisibile giurisprudenza costante e consolidata, è indice di buona fede. Lo conferma la recente sentenza della Corte d’Appello di Torino n. 98 del 05. 02.2024 che ha definito il caso sul caso del Ritratto della sorella Elvira di Felice Casorati cassato con rinvio, che richiama il precedente di Cassazione sulla Santa Caterina di Bernardo Strozzi del caso Loeser e quella successiva su un dipinto di Hayez.
La Suprema Corte ha, infatti, teorizzato il principio che il possesso dell’opera non clandestino nella ratio dell’art. 1163 c.c., sussiste solo quando “chiunque” è in grado di acquisire conoscenza che il dipinto sia nella materiale disponibilità del possessore e poter eventualmente contestare tale possesso e precisato che “in ambito di opere d’arte solo l’esposizione a mostre, ovvero l’inserimento in pubblicazioni specializzate”, consenta la conoscibilità delle stesse (Sez. 2, Sent. n. 16059 del 2019).
Non possiamo non considerare che l’esposizione in mostra è anche il momento in cui la Soprintendenza visiona l’opera e quindi avvia il procedimento di dichiarazione di interesse culturale e così polverizza il valore dell’opera, con conseguente grave danno economico per il collezionista.
Ci sorge il dubbio che Kaspar Utz, nell’immaginario di Chatwin, avesse ragione quando scriveva che “un oggetto, chiuso nella teca di un museo, deve patire l’innaturale esistenza di un animale in uno zoo. In ogni museo l’oggetto muore – di soffocamento e degli sguardi del pubblico – mentre il possesso privato conferisce al proprietario il diritto e il bisogno di toccare. Come il bambino allunga la mano per toccare ciò di cui pronuncia il nome, così il collezionista appassionato restituisce all’oggetto, gli occhi in armonia con la mano, il tocco vivificante del suo artefice. Il nemico del collezionista è il conservatore del museo. In teoria, i musei dovrebbero essere saccheggiati ogni cinquant’anni e le loro collezioni dovrebbero tornare in circolazione…”.
Avvocato, iscritto all’Ordine di Milano, patrocinante in Cassazione. Assiste abitualmente, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, imprese multinazionali ed imprese italiane leader di settore, nonché prestigiose istituzioni culturali italiane e straniere, case d’asta, archivi d’artista, privati collezionisti e artisti nei diversi ambiti (civile, penale e amministrativo) del diritto dell’arte e dei beni culturali in Italia e all’estero. È sovente chiamata come docente in corsi di formazione specialistica, come relatore in convegni, seminari e webinar. È giornalista pubblicista dal 2012 e collabora con diverse testate specializzate nel diritto dell’arte e dei beni culturali in particolare con Il Giornale dell’Arte.