E siamo arrivati alla fine anche di questo 2024, che si prefigurava come un anno di svolta con due conflitti internazionali in corso e il rinnovo dei governi in ben 76 Paesi, di cui ben 8 erano tra i 10 Paesi più popolosi al mondo. E di questi 8, ça va sans dire, l’attesa era tutta rivolta alle Presidenziali USA.
E allora forse bisogna partire proprio da qui per cercare di capire cosa aspettarci dal 2025.
Spoiler: ha vinto Trump e sembrerebbe che (almeno negli intenti) questa volta non ripeterà alcuni errori che avevano contraddistinto il suo precedente mandato, visto che può contare anche su una maggioranza molto solida. Buon per lui. E così se la sua agenda si ispira al motto dell’“action”, sia a livello di politica interna (con un feroce controllo sull’immigrazione), sia a livello di politica estera (con un arresto immediato delle guerre), a livello economico tutte le attese sono rivolte a capire se la crescita targata USA continuerà spedita e quali saranno le ripercussioni del motto “America first” sulle altre economie nazionali.
Già, i dazi. Trump ha annunciato un piano per applicare dazi fino al 20% su tutti i prodotti importati, motivandolo con la volontà di sostenere le imprese americane, incrementare l’occupazione e ridurre il deficit federale, insomma, se voleva creare il panico e lo spauracchio di scatenare una guerra commerciale globale c’è riuscito ampiamente. E questo rappresenta sicuramente una potenziale formazione temporalesca che si scorge all’orizzonte.
Probabilmente però le ripercussioni di questa nuova politica doganale le vedremo solo verso la fine del 2025: di certo potrebbero sconquassare economie che al giro di boa appaiono piuttosto fragili e traballanti, ma è anche vero che è due anni che si parla di recessione globale (per altre cause) e le economie, chi più chi meno, hanno tenuto il livello di salute.
Chi potrebbe trovarsi senza ombrello se invece nuvoloni neri si addensassero nel cielo? Beh, ovviamente la nostra cara Europa, con una Germania già impantanata nella crisi dell’automotive e una Francia in balia di una crisi di governo e un debito pubblico in continua espansione. Per fortuna che i Paesi ex PIIGS rimangono a trainare la carretta del malandato vecchio continente (un approfondimento in materia è stato dato dedicato ultimamente).
E poi anche la Cina non se la passa benissimo: le aspettative di crescite dipenderanno in gran parte da possibili e significative ondate di stimoli fiscali volti ad agevolare la domanda e a rilanciare l’attività economica, come già fatto a fine estate, del resto.
Il rischio più significativo rimane che in questo cielo nuvoloso si riaccenda l’inflazione, che staziona ancora al di sopra dell’obiettivo nella maggior parte delle principali economie. E bisognerà ancora capire se la crisi siriana possa innescare un rialzo del prezzo del petrolio. In generale però, l’esito delle elezioni americane potrebbe determinare un surriscaldamento della economia “a stelle e strisce” e quindi un ritorno di una inflazione pugnace in USA che potrebbe contagiare le altre economie, ma il processo di normalizzazione inaugurato dalle banche centrali non dovrebbe interrompersi e questo dovrebbe far tirare un respiro di sollievo a tutte le famiglie indebitate con mutui che erano diventati particolarmente impattanti sull’economia familiare. E questo suona, ovviamente, come un gradito vento di scirocco che riscalda nelle giornate di mezza stagione e (dovrebbe) allontanare le nuvole più inquietanti.
Insomma, guardando all’orizzonte 2025 si scorgono di certo delle nubi, alcune di colore scuro, ma che potrebbero/dovrebbero prendere direzioni opposte al nostro senso di marcia. Nel dubbio, comunque, io consiglio sempre un buon ombrello grande. Ben che vada, ci aiuterà per ripararci dal sole più acceso…