Anche quest’anno ho mantenuto una bella tradizione ormai decennale (sigh… tempus fugit) presentando con gli amici di Deloitte Private il nuovo Report di finanza dell’arte sull’andamento del mercato dei beni da collezione nel 2024.
Sì, lo so, in un contesto internazionale “leggerissimamente” turbato dalle sortite di un “uomo solo al comando”, che un giorno mette dazi e il giorno dopo li toglie, sarebbe stato più logico attendersi “un pezzone” sugli effetti nefasti degli stessi nel mondo globalizzato. Mi piace stupire invece. Per cui parlerò di arte (però con un taglio finanziario), in attesa di capire dove la pallina impazzita della roulette dei dazi andrà a fermarsi nei prossimi giorni.
E allora cominciamo con il grande classico delle due parole di sintesi sull’anno appena concluso. Quest’anno ho voluto confondere un po’ le idee, ricorrendo ad un’apparente antitesi: inerzia e metamorfosi. Va spiegato, lo so. Inerzia: secondo anno consecutivo di performance negative dopo il clamoroso record dei fatturati del 2022, con i mercati ancora ebbri della liquidità creata nel post Covid. Il mercato dell’arte prosegue nella sua traiettoria, ma perde forza mese dopo mese.Metamorfosi: strutturale, del mercato, che sta cambiando radicalmente poiché è popolato da nuovi collezionisti, che sono sempre più giovani, con un gusto estetico mutevole e molto attenti all’aspetto tecnologico.
Come si fa fronte ad un mercato con margini sempre più compressi e che viene spesso preferito ad altri mercati alternativi “più appealing”? Vedo nel medio periodo una sola soluzione: adattamento al cambiamento e concentrazione tra operatori e/o accorciamento della catena di vendita. Ma andiamo con ordine. L’anno scorso sostenevo che il mercato dell’arte era ormai entrato in una fase “wait and see”, che poi in finanza è un modo elegante per non dire “tocca gli amuleti che ne hai bisogno”. Prevedevo che il 2024 sarebbe stato un anno difficile sia per la estesa conflittualità del contesto geopolitico, sia per le conseguenze delle norme sull’esportazione dei capitali cinesi e sia per la grande incertezza dei 72 Paesi al voto. Invitavo dunque ad un atteggiamento di cautela e attesa per momenti futuri di maggiore euforia.
E infatti il mercato dell’arte è andato male, con una contrazione di fatturato del -26,3% sull’anno precedente (che si aggiunge alla contrazione del -18,0% del 2023). Provo a individuare le principali cause di questa forte contrazione. La prima è un “mio grande cavallo di battaglia”. (Quanto mi piace ricordarlo ogni volta e vedere le reazioni stupite dei miei studenti quando lo proclamo con tono enfatico: l’arte non è un bene rifugio!). L’arte è assolutamente volatile. Nel bene e nel male. E poiché appartiene ad un mercato non regolamentato negli scambi ed è trainata dal suo segmento più redditizio (l’arte contemporanea), la volatilità si amplia a dismisura. Ah…dimenticavo, si considera l’oro come bene rifugio per eccellenza. Sapete quale è stata la asset class con maggiore valorizzazione nei mercati regolamentati nel 2024? Esatto: l’oro! Mi piace anche confondere le idee.
La seconda ragione di questo tracollo è che nel 2024 sono continuate le difficoltà del 2023, con un collezionismo ebraico più concentrato su vicende più importanti e un collezionismo cinese fuori dall’arena degli scambi per scelte normative. Non solo. Una altra ragione della contrazione è che siamo negli anni del passaggio generazionale tra baby boomers e millenials a livello economico internazionale e, di riflesso, anche nel mercato dell’arte. I giovani collezionisti che ereditano fortune importanti sono spesso nuovi acquirenti del mercato dell’arte, operano con budget solitamente più limitati e prediligono l’arte contemporanea, alcuni beni di lusso come orologi e handbags e memorabilia. Un distacco importante dai capolavori dell’arte storicizzata che avevano sostenuto il mercato in questi anni con battuti record.
E infine, una ultima considerazione va fatta sul mercato del private equity, trainato dal settore della intelligenza artificiale, che ha intercettato parte di quella liquidità che veniva solitamente riservata al mercato dell’arte, sia per motivi alternativi e sia per motivi prettamente più speculativi.
Insomma, se queste sono le spiegazioni del tracollo del 2024, cosa aspettarci allora per il 2025?
Spoilero subito il finale, ma rimando la spiegazione alla prossima puntata: sarà, almeno a mio avviso, ancora un mercato da “wait and see” (preferisco usare soluzioni di diplomazia e cortesia anglosassone). Nonostante la forte contrazione degli ultimi due anni, non vedo elementi per un sensibile rimbalzo, almeno nel breve termine, al massimo si potrebbe mantenere questa linea gi galleggiamento.
E le cause sono tante e verranno elencate la prossima volta. Mi sbilancio però subito su una: “il fattore Trump”. Ma capirete che solo su questo punto si rischia di scrivere un’intera enciclopedia…