Faccio ancora parte di quella popolazione che per età anagrafica si entusiasma per alcuni film iconici degli anni ’80 e degli anni ’90. Uno di questi è certamente “C’era una volta in America”, (se non l’avete visto correte a vederlo) che rappresenta una grande metafora sul significato della vita, con il suo inevitabile scorrere del tempo e di come le persone cambiano con esso e nelle scelte che quotidianamente affrontano.
Ecco, prendo a prestito questa metafora per raccontare di un altro cambiamento davvero epocale che sta avvenendo in economia e ha tutte origini “a stelle e strisce” : la caduta del Re delle valute, signori e signore, il Dollaro!
Era dal 1973 che non si vedeva un calo così vertiginoso, ossia dal collasso del sistema di cambi valutari fissi degli accordi di Bretton Woods.
Da inizio anno il biglietto verde si è deprezzato di oltre il 12%, rispetto al paniere delle sei altre monete «forti» che include, tra le altre, la sterlina, lo yen e l’euro. Le ragioni sono molteplici.
Partiamo da quella più scontata: la guerra dei dazi e il continuo “zig zag tariffario” della Amministrazione Trump stanno creando enorme incertezza sull’evoluzione e sostenibilità dell’economia americana, dalla cui forza si alimenta il dollaro.
“Mercato forte= valuta forte” sosteneva il mio Professore dell’Università di Scienze delle Finanze e in effetti la attrattività di un mercato determina maggiori capitali che in esso verranno investiti in valuta locale. È una regola base di qualsiasi mercato, anche quello rionale sotto casa: più ha “merce buona e venditori affidabili” e più sarà popolato da acquirenti che spenderanno in loco i loro quattrini.
Non solo. La continua contrapposizione tra Trump e Powell (capo della FED, l’equivalente della nostra BCE) sta convincendo il mercato che alla fine Powell dovrà tagliare più volte i tassi di interesse nel 2025, indebolendo ancora di più il dollaro.
Ma l’indebolimento del biglietto verde significa anche una perdita di appeal dei Treasury (i titoli di stato americani, l’equivalente dei nostri BTP), già selvaggiamente venduti lo scorso aprile, costringendo poi Trump a una immediata virata sulle sue intenzioni tariffarie.
Qualche ferreo sostenitore della politica Trumpiana può obiettare che questa svalutazione del dollaro favorirà l’export americano (armi, energia, servizi, tecnologia…) in altri Paesi, rendendoli più convenienti. E verrà anche penalizzata l’importazione negli Usa di beni prodotti in altri Paesi, in parte contribuendo al piano di rilanciare quindi la manifattura a stelle e strisce.
Tutto corretto.
Tuttavia, per un Paese che a breve dovrà fare i conti con il «One Big Beautiful Bill» di Trump, (il più ambizioso piano di riforma di politica fiscale, sociale e di sicurezza), il debito Usa salirà di circa 3-4000 miliardi dollari.
Chi li metterà investendo in un Paese la cui valuta si è così stabilmente deprezzata?
Il finale di “C’era una volta in America” è piuttosto tragico e simboleggia un passato che non tornerà più. Forse è il caso di non trarne così tanta ispirazione…