Oh, i Francesi!..
Immagine: Massimo Fossa, Codici, 2020

Il “derby” con i nostri cugini d’oltralpe è sempre stato molto sentito, sia in campo sportivo, che culturale: la Francia storicamente è stata fondamentale per la nostra unità del Paese, ma allo stesso tempo è stato anche il Paese che ha maggiormente limitato le nostre velleità extra-territoriali. Già in un Nuvole e Mercati di un anno fa ravvisavo un “fil rouge” (spesso incandescente) che ci ha sempre legato a loro, con l’Italia che ha spesso subito lo snobismo francese e il loro sferzante modo di definirci, con quel “Ah, Les Italiens!”, che riassume la nostra imprevedibilità e capacità di cacciarci spesso nei guai, ma anche la distanza che amano prendere da noi, in quei casi. Ma, almeno a livello finanziario, sembrerebbe che, per una volta, le distanze le possiamo prendere noi da loro.

Cosa sta accadendo? La Francia sta vivendo da circa vent’anni al di sopra delle proprie possibilità (ha una bilancia commerciale stabilmente negativa), e ha finito per indebitarsi sempre di più.  Il debito di un Paese lo si può leggere da molti indicatori. Quello che spaventa è che non solo cresce a dismisura il debito pubblico francese (salito al 113% del Pil e previsto al 118% nel 2026), ma anche quello di imprese e famiglie. A differenza di Germania, Spagna e dell’Italia, che rimangono Paesi molto più virtuosi.

Di fronte a una crisi di fiducia che si insinua tra i conti pubblici d’Oltralpe, i mercati stanno sempre più ricalibrando le loro valutazioni. Lo spread tra i titoli di Stato decennali italiani (i famosi Btp) e gli omologhi francesi (OAT) era già sceso sotto i 20 punti base un anno fa, (superava gli 80 nel 2023 e aveva superato i 400 punti durante la nostra crisi del 2010).

Ora il differenziale si attesta a circa 10 punti sulle scadenze a 10 anni, mentre è già alla pari sulle scadenze a 5 anni: in parole più semplici, questo rappresenta un’inversione di tendenza silenziosa ma significativa, dove l’Italia inizia a essere percepita come più solida della Francia sul fronte della sostenibilità del debito.

L’Italia, spesso additata come anello debole dell’eurozona, paga ancora il prezzo delle passata inaffidabilità: a marzo 2025, Roma ha versato 87 miliardi di euro in interessi annui, contro i 61 della Francia, mentre in termini assoluti, il debito italiano si è attestato a 3.033 miliardi (+46 miliardi sull’anno precedente), mentre quello francese ha raggiunto i 3.346 miliardi di euro, (+185 miliardi in un anno). In altre parole: Parigi ha 314 miliardi di debito in più rispetto a Roma, mentre un anno prima c’era ancora un gap di 260 miliardi.

La decisione di questo governo di eliminare il famigerato “superbonus” (che ci è costato 200 miliardi di euro) ha permesso di ridurre il deficit di bilancio che era al 4,3% del PIL nel 2024 e che è previsto attestarsi al 2,8% nel 2025. Se questo avvenisse, sarebbe un risultato eccezionale, visto che scenderemmo sotto quel limite massimo del 3%, richiesto dalla Ue che discrimina i Paesi virtuosi da quelli eccessivamente in disavanzo.

Di contro, un mese fa il primo ministro francese Bayrou ha presentato una manovra fiscale di 44 miliardi di euro extra, definita “moment de la veritè”, contro “il pericolo mortale del debito” ed arrivando ad evocare lo spettro del debito greco.

I mercati hanno già espresso il loro verdetto: il calo dello spread e l’inversione già avvenuta sulle scadenze brevi segnalano che le nuove emissioni italiane sono meno rischiose di quelle francesi. Una tendenza che potrebbe accelerare se anche le agenzie di rating, finora caute nel riconoscere i progressi italiani e il trend peggiorativo dei francesi, dovessero aggiornare i loro giudizi.

Sarebbe un po’ paradossale e suonerebbe anche beffardo, ma rischieremmo di ascoltare scettici le notizie finanziarie dei nostri cugini ed esclamare. “Oh, i Francesi…”

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