Sembrava così lontano e, invece, a febbraio anche l’Italia ha avuto i primi casi di coronavirus. Io ero all’estero, in Sudafrica, per un convegno cui avevo aggiunto qualche giorno di ferie. Ma la mia testa, dopo il 21 febbraio era a Pavia: desideravo solo tornare a casa per dare il mio contributo nella cura dei pazienti affetti da Covid-19. Il nostro Ospedale, il Policlinico San Matteo di Pavia, ha avuto un grande ruolo nella gestione della pandemia, con la guida pronta e decisa della Direzione Strategica. Ed è proprio grazie a questa determinazione e all’impegno di tutto il personale che siamo stati, tra i primi, ad aprire un’unità di terapia sub-intensiva; un reparto definito “first responder” in grado di accogliere i pazienti in peggioramento rapido e che necessitavano di immediate cure e supporto respiratorio specialistico. Con i miei colleghi ne ho coordinato l’apertura, avvenuta ai primi di marzo. Poi, una seconda rianimazione per i pazienti Covid19 gravissimi, fino al trattamento di cinque pazienti contemporaneamente in supporto ECMO.
Il nostro lavoro ci porta ad avere a che fare con pazienti difficili, gravi, ma questo virus ha rappresentato qualcosa di nuovo anche per noi rianimatori. Professionalmente è stata un’esperienza unica. Personalmente, come altri miei colleghi, ho vissuto l’emergenza del 2009: anno in cui abbiamo attivato l’ECMO team mobile per andare a prendere i pazienti negli altri ospedali e che necessitavano di un supporto respiratorio in ECMO. Anche in quel caso una pandemia, ma è stato completamente diverso. Anche dal punto di vista umano: con il coronavirus è venuto meno lo scambio empatico con i familiari dei pazienti che per noi rianimatori e medici di emergenza è fondamentale.
Quello che più ci è pesato è stato l’isolamento nei confronti della famiglia; non poter trasmettere le nostre emozioni e il nostro essere partecipi del loro dolore con la gestualità e la vicinanza fisica. Ci è mancato il nostro far parte della “cura”, anche delle famiglie.
Per questo umanamente è stata un’esperienza devastante: nella fase di picco vedevamo fino a 60 pazienti al giorno, alcuni incurabili. Lì si è visto non solo l’integrità medica ma anche l’aspetto psicologico. Per questo ringrazio il Policlinico San Matteo che insieme alla Fondazione Soleterre ci ha fornito un supporto psicologico che ha aiutato tanti di noi.
Per questa ragione sto vivendo con grande ansia questa fase 2. Temo una seconda ondata, non solo come medico. Dal punto di vista tecnico professionale abbiamo risorse, capacità e una maggiore conoscenza per affrontare un eventuale contagio.
La temo umanamente: pensare di rivivere i mesi passati, soprattutto il mese di marzo, fa davvero paura. Per questo chiedo a tutti noi di usare la mascherina, i guanti e l’igiene delle mani ma chiedo grande senso di responsabilità e di rispetto verso sé stessi e verso il prossimo.
Mirko Belliato, Primario ospedaliero
Email: m.belliato@smatteo.pv.it
Biografia
Dirigente medico, specialista in Anestesiologia e Rianimazione, e responsabile della UOS Assistenza Respiratoria Avanzata, sezione della UOC di Anestesia e Rianimazione 1 della Fondazione IRCCS Policlinico San Matteo di Pavia.
Si occupa dei casi di più gravi di insufficienza respiratoria acuta. Attualmente è anche Professore a contratto di Anestesiologia per i Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie della Riabilitazione, Università degli Studi di Pavia.
Alunno dell’Almo Collegio Borromeo, ha ricevuto riconoscimenti nazionali ed internazionali, e ha pubblicato su prestigiose riviste scientifiche internazionali. È membro attivo nella società internazionale ELSO di cui è stato eletto membro del comitato direttivo EuroELSO (branca europea di ELSO).