Il mondo G-Zero che ci attende
Immagine: Tomas-Tichy-Fighters-II, 2023. Courtesy: CRAG Gallery Torino

Nel ricco panorama di studi di geoeconomia e di geopolitica che ogni anno vengono redatti per illustrarci le incognite e opportunità del nuovo anno, ce ne è uno che ritengo sempre foriero di spunti particolarmente brillanti, ed è quello della società Eurasia group.

E così, secondo il loro parere, il 2025 sarebbe l’anno del caos geopolitico crescente, che presto o tardi dovrebbe avere ripercussioni anche economiche, sebbene, almeno a livello militare, i conflitti attualmente in corso, dovrebbero via via stemperarsi.

Partiamo da qui, che forse è la notizia migliore: il conflitto russo-ucraino ha ormai stremato le forze in campo e un accordo sembra ormai e finalmente inevitabile tra due contendenti entrambi sconfitti.

In Medio Oriente rimarrà alto il livello di tensione, ma l’Iran sembrerebbe aver perso per strada molti alleati (Hamas, Hezbollah e Siria) e dovrebbe, di conseguenza, limitare il suo ardore, come pure Israele sembrerebbe ormai aver raggiunto grande parte dei suoi obiettivi e la tregua è ormai prossima.

Anche la Cina sembrerebbe troppo distratta dai suoi tanti problemi interni per immaginare un azzardo su Taiwan. La visione è dunque incoraggiante, eppure il quadro geopolitico è previsto in netto deterioramento. Perché? Perché il mondo, in questo contesto storico, ha una evidente carenza di leadership. Il rischio più grande del 2025 è il consolidamento di un mondo “G-Zero”, caratterizzato dall’assenza di una leadership globale capace di gestire le sfide comuni. Il mondo del G7 si è dimostrato ormai vetusto, con due nazioni leader come Francia e Germania scosse da problemi interni e che non riescono più ad avere velleità internazionali, mentre quello del G20 non è di fatto mai decollato. Anche il modello di mondo “G2”, tra le due superpotenze USA e Cina sembra naufragato: il tentativo di integrazione del dragone cinese a livello politico (nel WTO) si è trasformato ben presto in guerra commerciale.

Il combinato della politica trumpiana “dell’America First” nel 2025 (con tutto il suo carico di dazi) e il tentativo della Cina di riscattare l’economia domestica potrebbe comportare una esportazione di “disruption” (disordine, debolezza) per tutti gli altri attori economici, creando un corto circuito sulla stabilità dell’economia mondiale e accelerando i fenomeni di frammentazione geopolitica.

Il rischio di un dollaro forte potrebbe poi costringere le altre economie a rialzare i tassi per difendere le proprie valute, mentre sul terreno del commercio, “politiche trumponomics” potrebbero o dovrebbero aumentare l’inflazione e rallentare la crescita, scatenando ritorsioni, tra cui, quella più evidente, potrebbe essere quella cinese di una sovracapacità produttiva, che causerebbe dumping selvaggio.

Un quadro non certo incoraggiante. L’unico conforto, almeno per noi italiani, è che il BelPaese sembrerebbe aver acquisito negli ultimi anni una patente di stabilità a livello internazionale. Peccato che non ci aiuti, data la frammentazione in atto, a trarne un minimo vantaggio diplomatico. Per dirla nello slang giovanile: “mai una gioia”…

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