“Non ce n’è Coviddi” e altre metafore per stare a galla
In questa estate di bulimia calcistica e prostatiti acute dovute a un cattivo utilizzo delle mascherine, è passato un po’ sottotono il messaggio del discorso di Draghi a Rimini. Ed è un peccato. Perché la forza di una leadership culturale si misura dalla sua capacità di generare lessico. E dopo il “whatever it takes” che ha già salvato l’Europa nel passato, Draghi ci ha regalato un’altra “sciabolata metaforica”, distinguendo tra “debito buono e debito cattivo”.
Aspetto solo che l’autunno arrivi e con esso “sugli alberi le foglie” (semicit) per assistere nei prossimi e numerosi dibattiti televisivi a nuovi scontri epici tra chi urlerà che “non ce n’è Coviddi” e una sparuta minoranza che risponderà con le parole di Draghi. Non vi dico già come finirà (lascio un po’ di suspance), ma il vero punto è che in un’Italia in cui (fonte Bankit) è aumentato da inizio anno il livello di risparmio delle famiglie dal 13% al 17% (no, non è una cosa buona, significa che è percepito un livello maggiore di incertezza economica) servirebbe una politica con pochi clamorosi proclami, ma tante e piccole certezze. Lo ha ricordato anche il Presidente della Repubblica al forum Ambrosetti, invitando a fare buon uso dei circa 300 miliardi di debito, di cui l’Italia potrà disporre nei prossimi anni. Espliciterò allora il concetto con la usuale metafora.
Non si può vivere in perenne emergenza e non si impara a nuotare nel mare agitato, ma di certo, una società che si affida ai soli salvagenti dei sussidi e di politiche sociali assistenzialiste (debito cattivo) non formerà mai bravi nuotatori. Insegniamo allora a chi ha più forze (i giovani) a nuotare (debito buono), allenandoli con corsi e in corsie riservate : magari non vinceranno comunque le Olimpiadi, ma di certo sapranno tirare fuori dalle acque agitate chi nel tempo avrà smarrito le forze, o peggio, non ha mai imparato a nuotare e si è trovato di colpo con l’acqua alla gola…
Forse così ho reso maggiormente le idee?