Franco Tagliaferri-Cosa resterà nel mondo post pandemia
Vicedirettore di ClassCnbc,

La domanda che più spesso ci poniamo, da un anno a questa parte, è: “Quando finirà l’emergenza sanitaria?”. La seconda più frequente è: “Cosa resterà, alla fine dell’emergenza?”.

Alla prima non sanno rispondere nemmeno gli scienziati; alla seconda possiamo provare a rispondere tutti noi facendo qualche riflessione. E facendoci aiutare da alcuni dati.

Nel mondo, nel 2020, in sessanta secondi un milione e 300mila persone si è collegato a Facebook, quasi 695mila si sono connesse a Instagram, circa 195mila hanno mandato un tweet. Sempre quel minuto ha visto 190 milioni di e-mail, 59 milioni di WhatsApp o Messenger, oltre 4 milioni di ricerche Google. In tutto l’anno, ci siamo scambiati oltre tre miliardi di messaggi, mentre il tempo passato su Zoom e Teams è aumentato del 2.000% rispetto al 2019.

E in Italia? Nel nostro paese, l’84% della popolazione accede ormai quotidianamente alla rete, durante la quarantena il tempo passato su WhatsApp è cresciuto dell’81% e su Messenger del 57%, Facebook ci occupa per oltre 26 minuti al giorno, i motori di ricerca per un’ora e mezza al mese

E’ da anni che questi dati sono in aumento, ma nel 2020 hanno conosciuto, a causa della pandemia, una vera e propria esplosione. Il mondo, soprattutto il mondo del lavoro, ha accelerato la sua corsa verso la digitalizzazione, l’impegno da remoto, la creazione di nuovi processi produttivi.

Tornando alla domanda iniziale, quindi, cosa resterà alla fine dell’emergenza? Continueremo con lo smart working e con il distanziamento fisico? Le insofferenze, in certi casi comprensibili, al mantenimento dei dispostivi di sicurezza (mascherine) e alla rinuncia al contatto ci fanno pensare che, quando il Covid sarà sconfitto (e sarà sconfitto), riprenderemo a stringerci la mano e ad occupare scrivanie adiacenti, in ufficio. Ma torneremo in ufficio? Sicuramente, no. Non tutti, almeno. In questi dodici mesi abbiamo capito che le riunioni in presenza, tutto sommato, non sono così indispensabili; che certe attività, in certi turni, all’alba e a tarda sera, si possono svolgere tranquillamente da casa; che gli spazi, per molte aziende, possono essere ridotti.

Quindi, ci prepariamo, nel mondo produttivo, ad un nuovo Rinascimento, dove tutto sarà più bello e a misura d’uomo? Non esattamente.

E’ vero che evitando gli spostamenti non necessari si risparmiano tempo e soldi; si abbattono l’inquinamento e lo stress; si migliorano la qualità della vita e l’efficienza del lavoro. Ma, d’altra parte, possono aumentare le tensioni in casa, quando gli spazi ristretti costringono a stare nello stesso ambiente. Certe figure professionali non troveranno più spazio. E i consumi e gli stili di vita, già modificati durante le varie fasi del lockdown, non torneranno alle dinamiche precedenti: ci avviamo verso un nuovo modello economico, dove si viaggerà di meno, ci si vestirà in modo diverso e più informale, lo svago e il divertimento, come le attività culturali, saranno differenti.

Una rivoluzione che, come tutte le rivoluzioni, causerà ingiustizie e drammi. Ma, certamente, anche nuove opportunità. La sfida, forse, è proprio questa: pensare che la soluzione a questa pandemia non sarà solo sanitaria, non sarà solamente grazie alla scoperta e alla diffusione mondiale di un vaccino.

 

Nato a Piacenza, 55 anni, abita a Milano.

Laureato in Giurisprudenza, è giornalista televisivo dal 1983.

Ha iniziato nelle tv locali e regionali, poi, nel 1990, l’arrivo a Mediaset come redattore e conduttore di Studio Aperto e di Tg4.  

Dal 2000 è vicedirettore di ClassCnbc, il canale finanziario di Class Editori, NBC Universal e Mediaset in onda su Sky 507.

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