Una patrimoniale in salsa cinese
Alessandro Cardinale, Confini, 2021. Courtesy: Chiono Reisova Art Gallery

Il presidente cinese Xi Jinping approfittando della scarsa attenzione internazionale incentrata sulla crisi afgana o più semplicemente dalla pausa agostana, ha deciso di aprire una stagione di riforme epocali, volta a riequilibrare le differenze tra i super ricchi e l’ancora enorme massa di poveri del suo Paese. “E’ giunto il momento che i ricchi restituiscano parte della propria fortuna” ha detto tranchant alle tv nazionali, nel suo primo discorso dopo le vacanze.

Un cambio di rotta sostanziale dopo quaranta anni, almeno, di riforme incentrate sulla ricerca del successo personale. Un ciclo di riforme che ha colpito prima i grandi gruppi tecnologici, poi l’afflusso di nuovi capitali esteri, poi il settore dell’istruzione privata e da ultimo i redditi più elevati. Due sono i nuovi obiettivi dichiarati: “benessere collettivo” e “prosperità condivisa”.

Una nuova era in cui si sente la necessità di “ragionevolmente regolamentare i redditi eccessivamente alti” e “incoraggiare le imprese più ricche a restituire di più alla società”. Il benessere collettivo è “un requisito essenziale per una economia di mercato socialista, con caratteristiche cinesi”, ha ribadito il Presidente.

E per i super ricchi locali e (i mercati finanziari cinesi) è stata davvero una doccia fredda: la patrimoniale “alla cinese” ha pesantemente impattato sui corsi azionari delle maggiori società quotate in loco, ma anche sulle maggiori aziende internazionali del lusso.

In effetti le disparità sociali presenti in Cina sono ancora enormi rispetto a qualsiasi altra nazione di comparabile importanza economica: il 10% più ricco della popolazione pesa circa il 41% del reddito nazionale e la differenza di tenore di vita assume sproporzioni colossali tra città/campagna e tra province costiere/province periferiche. E questo potrebbe spiegare il crollo dei corsi azionari cinesi e il malumore locale per i più abbienti.

Ma perché la patrimoniale cinese ha impattato anche il mercato del lusso interazionale? (per dare una idea, il colosso francese LVMH ha bruciato circa 40 miliardi di euro nei giorni immediatamente dopo l’annuncio di Xi Jinping).

Perché il mercato dei consumi è unico: il rischio che le nuove riforme limitino i livelli di spesa dei ricchi cinesi (tra i maggiori consumatori mondiali del prodotto lusso) nell’acquisto compulsivo della (ennesima) borsetta griffata francese o del piumino esclusivo Made in Italy è altissimo. E qui le lacrime non solo cinesi, ma anche francesi, italiane e di molti altri Paesi che esportano il lusso nel mondo. C’est la vie o per citare il titolo di una vecchia telenovela: anche i ricchi piangono

Print Friendly, PDF & Email

CONDIVIDI

WhatsApp
Facebook
Twitter
LinkedIn
Email

LEGGI GLI ALTRI
articOLI