Stagflazione o una diversa comunicazione?
Stefano Bosis, Distraction in the paradise, 2019. Courtesy: Federico Rui Arte Contemporanea

Ha un suono così sinistro, è la unione di due parole che già da sole mettono i brividi, figurarsi insieme. Si chiama “stagflazione” ed è data dall’unione di “stagnazione” e (alta) “inflazione”. Venendo da anni di “deflazione”, ossia costante riduzione dei prezzi per scarsa produzione, pensavamo di poterci dimenticare questa parola così fastidiosa e confinarla alle economie occidentali degli anni 70, quando la crisi petrolifera aveva determinato anche tensioni sulle retribuzioni e sul risparmio dei cittadini. E a giudicare dall’andamento dei mercati finanziari da inizio anno, con un repentino calo dei livelli di prezzi su tutti i comparti e settori, qualche dubbio potrebbe anche venire. Siamo dunque all’inizio di un periodo così preoccupante? Difficile rispondere in poche righe e fior fior di economisti potrebbero motivare meglio di me la fotografia attuale. Mi limiterò a segnalare le analogie e le profonde differenze esistenti tra la situazione attuale e l’economia di allora. Partiamo dalle cause: la stagflazione si determina in presenza di aumenti dei prezzi dell’energia, che rendono di conseguenza meno profittevoli alcune produzioni. Ma si determina anche come conseguenza di una massa eccessiva di liquidità disponibile (data da politiche monetarie e/o fiscali generose) che comportano una crescita dei prezzi. (Nel caso italiano pensiamo ad esempio alla politica dei super bonus e l’effetto avuto sui materiali impiegati nelle costruzioni). E in effetti questa è la situazione di ora, come di allora. Siamo spacciati, allora?

No, perché a differenza di allora la ripresa esiste e addirittura l’offerta non sta dietro alla domanda, come pure esiste un gap di occupazione ancora da recuperare: tutti elementi che confermerebbero l’esistenza di una inflazione provvisoria e non strutturale. E poi c’è il “trucco”, ovvero l’esistenza di un debito pubblico monstre per tutti i paesi più industrializzati, (scherzando potremmo dire che ci hanno preso a modello) per cui l’esistenza di una alta inflazione non può che fare molto comodo ai singoli Paesi.

È fuor di dubbio che ci sia un po’ di imbarazzo da parte delle banche centrali nell’adottare politiche monetarie troppo restrittive (forti rialzi dei tassi) per contrastare l’inflazione, ma che al contempo ostacolerebbero la piena ripresa economica degli stessi Stati (che ricordiamo essere fortemente indebitati e dovrebbero così pagare di più). Conviene allora “essere più realisti del re”, o rialzare i tassi con moderazione? Ai posteri…

Una cosa però è certa: questo continuo battibeccare tra “falchi” e “colombe” (come amano descriversi i vari tecnici favorevoli o meno al rialzo dei tassi), non sta aiutando di certo il mercato finanziario a capire come riposizionarsi e ripartire, ma alimenta solo la speculazione. Che a gennaio è stata feroce. Con buona pace della salute degli operatori che da anni frequentano il mercato finanziario, ma con grosso disagio anche per le arterie dei piccoli risparmiatori…

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