Le bombe del caos
Oscar Contreras Rojas, Il gran cervo, 2020. Courtesy: Chiono Reisova Art Gallery

Ha stupito inizialmente alcuni commentatori il fatto che campi, silos e magazzini ucraini venissero bombardati dai missili russi fin dai primi giorni di guerra. Dietro all’azione militare, si nasconde tuttavia una strategia ben precisa, che mira a scatenare una serie di effetti relativi all’aumento dei prezzi del cibo e dell’energia a livello mondiale. Partiamo dall’ effetto più immediato: l’Ucraina è un paese essenzialmente agricolo, non a caso chiamato il granaio d’Europa e distruggere i suoi raccolti, significa distruggere la sua fonte principale di reddito. Il grano invernale (in raccolta a maggio) è coltivato in alcuni casi fino al 80% delle pianure delle province del sud. Non solo. L’Ucraina rappresenta il 9% (30% con la Russia) delle esportazioni globali di grano (ma anche il 16% di quelle di mais, e il 42% di quelle di olio di girasole). A marzo, il grano ucraino esportato è stato solo un quarto di quello normalmente venduto nei periodi anteguerra. Con i porti ucraini chiusi e gli accordi sui cereali russi in pausa, a causa delle note sanzioni, 13 milioni e mezzo di tonnellate di grano (16 milioni di mais) sono attualmente congelati nei porti del Mar Nero, senza contare che i premi assicurativi di spedizione di questi carichi sono sensibilmente aumentati. La combinazione nefasta di minor offerta di materie prime alimentari, cattivi raccolti causa siccità (avvenuto a livello globale) e costi dei fertilizzanti alle stelle, ha determinato un livello di prezzi mai visto sui cereali e suoi derivati. La dinamica inflattiva alimentare ha scatenato anche e in parte quella energetica: grano, mais, bietola, canna da zucchero, sono alla base dei biocarburanti (in tutta l’Unione europea c’è l’obbligo ad esempio di aggiungere a benzina, gasolio e metano una quota di circa il 10% di biocarburanti) e di necessità, queste coltivazioni sono state (o stanno per essere) riconvertite ad uso alimentare, con un inevitabile aggravio del prezzo finale del combustibile energetico. Da ultimo, c’è un possibile effetto geopolitico, dietro a questa azione militare: numerosi Paesi, tra cui Somalia, Senegal, Egitto, Yemen, Afghanistan, Etiopia, Siria dipendono da Russia e/o Ucraina per i rifornimenti di grano. Se la guerra continuerà a lungo, queste nazioni, già gravate dai debiti da pandemia, chiederanno nuovi aiuti al Fondo Monetario Internazionale. Il rischio che deflagri una fame mondiale, soprattutto in questi Paesi più poveri e a più alta instabilità politica è molto concreto: il WFP (programma alimentare mondiale) in uno studio di due settimane fa, ha dichiarato che il 2022 potrebbe essere un anno “di fame catastrofica, con 323 milioni di persone nella morsa della fame in 38 Stati sull’orlo della carestia”. Il che comporterebbe una nuova stagione di disordini sociali, visto che le spese per l’alimentazione sono ancora quelle principali in molte economie in via di sviluppo , come già paventato in un Nuvole e Mercati di due mesi fa: https://nuvolemercati.it/2022/03/11/a-pane-e-gas/. È attribuita ad Einstein una frase che recita “Uno stomaco vuoto non è mai un buon consigliere politico”. Speriamo allora di non fare presto indigestione di cattive idee politiche.

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