La guerra è tornata in Europa dopo quasi ottant’anni. La guerra convenzionale, «simmetrica», tra due eserciti potenti, armati in maniera simile, capaci di condurre operazioni prolungate ad alta intensità sul campo di battaglia. Ci riguarda tutti, e ha una posta in gioco altissima; ma quella iniziata per volontà di Vladimir Putin e della Russia il 24 febbraio 2022 è anche una guerra semplice. Le motivazioni sono chiare, così come gli scopi, gli errori commessi e le ragioni degli sviluppi recenti sul campo di battaglia.
È semplice, per prima cosa, la motivazione fondamentale della Russia per attaccare l’Ucraina: Putin ha pensato di avere l’occasione di rovesciare il governo di Kiev, chiaramente orientato all’amicizia con l’Occidente, e ha deciso di coglierla usando la forza. Ma è semplice anche la ragione del fallimento della cosiddetta “Operazione Speciale”, la guerra-lampo che avrebbe dovuto consentire ai russi di insediare un governo amico a Kiev in una decina di giorni: Putin e i suoi generali erano stati male informati sulla solidità del “regime” ucraino, sulla volontà di resistenza della popolazione, e si erano convinti (da soli) che USA e NATO non fossero in grado di reagire in tempo. È semplice la ragione della tenacia mostrata dagli ucraini nell’opporsi all’invasione: “ogni popolo amante della libertà, alla fine sarà libero” (Simon Bolívar). Ovvero: quando un estraneo entra a casa tua con le armi in pugno, e vuole farla da padrone, tu combatti e combatti e combatti fino a cacciarlo, quali che siano i sacrifici necessari. È semplice, infine, la ragione per cui gli USA, passati i primi giorni in cui “tutto poteva accadere” (quando Biden offrì un passaggio in America a Zelensky, ottenendone una risposta passata alla storia), abbiano appoggiato l’Ucraina, ma non troppo: il massimo vantaggio, per loro, è vedere la Russia che si dissangua, perde uomini armamenti e prestigio, senza rischiare una guerra su vasta scala. Quindi sì agli HIMARS, no ad aerei carri armati e truppe. Sono persino semplici la ragioni per cui i russi non hanno sfondato le linee ucraine e non hanno ottenuto risultati decisivi sul campo: non hanno mai avuto una superiorità numerica sufficiente, non hanno saputo adattarsi rapidamente a una situazione diversa dalle loro aspettative, l’eccezionale sostegno dell’intelligence occidentale alle forze ucraine li ha messi costantemente in situazione di inferiorità sul campo di battaglia.
Queste sono le coordinate essenziali del conflitto. Il resto è propaganda. Non si può dar credito a Putin quando sostiene che la Russia fosse minacciata militarmente dall’Ucraina, e quindi giustifica l’aggressione come una “difesa preventiva”. Né quando parla della necessità di intervenire per fermare il “genocidio” in atto a danno dei russofoni del Donbass. Siamo di fronte a una guerra iniziata per motivi neo-imperiali, legati alla volontà di riaffermare il dominio russo su una parte dell’ex impero zarista-sovietico ritenuta troppo importante per essere “ceduta” all’Occidente, anche sotto forma di semplice alleanza economico-politica.
Dunque non possiamo avere dubbi: ha torto chi ha violato in armi i confini di un paese sovrano che non costituiva una minaccia alla sua sicurezza, chi ha creduto di poter spezzare la volontà di resistenza del suo popolo con il terrore, chi ha massacrato civili e devastato paesi e città. Ha ragione chi difende la propria terra, la propria casa, la propria vita. È una sorta di livello zero, ma imprescindibile, da cui partire per acquisire consapevolezza di ciò che sta accadendo da quasi un anno in Ucraina.
Il 2023 sarà un altro anno di guerra, probabilmente. Non ci sono, attualmente, le premesse per un accordo di pace: Putin ha “annesso” illegalmente quattro regioni ucraine, e non può abbandonarle senza dichiarare la propria sconfitta, cosa che farà solo se costretto con la forza militare. Forza che gli ucraini, al momento, non hanno.
Ma la via per la pace passa attraverso la giustizia, ovvero la fine dell’invasione, la punizione dei criminali di guerra e la libertà del popolo ucraino. Si illudono quelli che, magari in buona fede, auspicano una “resa” degli ucraini di fronte al fatto compiuto dell’occupazione russa di una parte del loro paese. Sarebbe nient’altro che una tregua instabile, avvelenata dal rancore, ben presto macchiata di violazioni di ogni tipo. Un passo verso il passaggio dal conflitto che abbiamo sotto gli occhi a una guerra civile feroce, che lascerebbe spazio alle forze peggiori delle due parti in lotta. Speriamo di non dover assistere a questo.
Livornese, classe 1962, laureato in lettere classiche a Pisa, ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Storiche presso la Scuola Superiore di Studi Storici dell’Università di San Marino. Dal 2001 insegna Civiltà bizantina, Letteratura bizantina e Storia militare antica presso il Dipartimento di Musicologia, Lettere e Beni Culturali di Cremona (Università di Pavia). È membro del comitato scientifico della Società Italiana di Storia Militare. Da sempre appassionato di storia militare, ha pubblicato numerose monografie con varie case editrici, tra le quali si segnalano: L’arte della guerra. Da Sun Tzu a Clausewitz, Torino, Einaudi, 2009; I figli di Marte. L’arte della guerra a Roma antica, Milano, Mondadori, 2012; L’arte della guerriglia, Bologna, Il Mulino, 2013 (nuova edizione: 2022); 1915. L’Italia va in trincea, Bologna, Il Mulino, 2015; Lo scudo di Cristo. Le guerre dell’impero romano d’Oriente, Roma-Bari, Laterza, 2016; Scipione l’Africano. L’invincibile che rese grande Roma, Roma, Salerno, 2017; Corea. La guerra dimenticata, Bologna, Il Mulino, 2019; Missione fallita. La sconfitta dell’Occidente in Afghanistan, Bologna, Il Mulino, 2020; La grande storia della guerra, Roma, Newton Compton, 2020; Le guerre di Libia. Un secolo di guerre e rivoluzioni (con Stefano Marcuzzi), Bologna, Il Mulino, 2021; Il demone della battaglia. Alessandro a Isso, Bologna, Il Mulino, 2023 (in corso di stampa); Trafalgar, Torino, Einaudi, 2023 (in corso di stampa). Ha condotto ricerche sul campo in Afghanistan (2011) e in Kurdistan (Iraq e Siria, 2015), dopo le quali ha pubblicato saggi sulla missione ISAF (La tomba degli imperi, Milano, Mondadori, 2013), e sulla guerra contro lo Stato Islamico (Guerra all’ISIS. Diario dal fronte curdo, Bologna, Il Mulino, 2016).