Davide Bleve- La cruna dell’ago ovvero come rinnovarsi nella continuità della cultura aziendale
Avvocato patrimonialista e consulente fiscale

Nonostante le imprese familiari rappresentino, di fatto, la spina dorsale dell’imprenditoria italiana, troppo spesso gli imprenditori sottovalutano o affrontano malvolentieri un momento decisivo per la vita di un’azienda: poco più di un quinto delle imprese ha affrontato la questione della transizione generazionale nel decennio 2013 – 2023, confrontandosi con una varietà di ostacoli burocratici, economici e organizzativi (Istat, Rapporto Imprese 2021). Eppure, da qui al 2030 è stato stimato che i valori in gioco si approssimano ai duemila miliardi di Euro (sì, esattamente, 2.000 miliardi che passeranno di mano) a livello nazionale.

A fronte di tutto questo, però, si riscontrano le più varie reazioni al tema della continuità generazionale che vanno dal rifiuto del tema, all’idea che invece tutto si risolverà da sé (basta attendere) perché il prossimo leader deve solo maturare un po’ o che l’incertezza è forte per cui meglio aspettare. Incertezza che invece può essere ben superata se si comincia a guardare al passaggio generazionale non tanto come ad un momento incidentale o “traumatico” dell’imprenditoria, ma come ad un vero e proprio percorso fisiologico di crescita dell’azienda e di tutte le persone che sono coinvolte.

Terminologicamente infatti già il termine “successione generazionale” è un termine errato oggi: non è appunto un momento di passaggio del testimone, come alcuni vanno dicendo da anni, ma aiuterebbe invece pensarlo come un percorso di formazione dei “family members” ai valori fondamentali della cultura aziendale (da affermare e condividere) ed al contempo come chiave di integrazione tra le generazioni per un efficace scambio e arricchimento. In prima battuta infatti è indispensabile una fase di condivisione di questi valori comuni e del know-how aziendale che si vuole imprimere come carattere distintivo; ed in seconda battuta, ne dovrà seguire una fase di comprensione delle caratteristiche, delle ambizioni e della disponibilità della nuova generazione: motivazioni, atteggiamento, interessi, obiettivi sono solo alcuni tra gli elementi chiave da tenere in considerazione per accogliere il successore in azienda assecondando le sue singolarità. Il successore, infatti, sarà colui che proseguirà il business nell’ambito dei caratteri fondamentali dell’azienda, ma lo farà verosimilmente secondo un proprio modello di leadership: ecco perché è opportuno che i valori aziendali vengano messi a terra in modo concreto, realizzando un piano efficace da attuare gradualmente per intrecciare vecchie e nuove strategie in un percorso comune.

Percorso significa che si permette ai più giovani di formarsi – anche fuori dalla propria azienda – per entrare in posti di comando in anticipo fino a renderli consapevoli per tempo del loro personale percorso e delle scelte necessarie: la parola chiave è quindi preparazione e formazione della leadership. In occasione di incontri, mi piace sempre ricordare che l’individuazione del leader aziendale non dovrebbe essere vista come una investitura dall’alto ma come una crescita personale nel presidio dei valori comuni. In alcuni casi di successo, è stato persino utile che il periodo intermedio fosse condotto da un management indipendente, affidato ed affidabile oltre che preparato alla sfida, in attesa che la famiglia potesse tornare ad individuare colui che avesse le capacità per portare avanti la sfida del business. Questo passaggio diventa decisivo quando si intende far proseguire e possibilmente crescere il “family business”: del resto non si tratta (soltanto) di trasferire denari ma di un intero complesso produttivo che è caratterizzato da una propria etica di valori costruiti nel tempo.

Tempo passato e tempo futuro: una sintesi è possibile?

Il fattore “tempo”, certo, non aiuta oggigiorno e talvolta i tempi della crescita non coincidono con quelli della preparazione, ma il valore aziendale deve prevalere sulla singola ambizione per la prosecuzione del bene comune. Leggevo ancora la settimana scorsa di un paio di ricerche commissionate da gruppi bancari internazionali. Secondo la prima, emergeva che all’interno delle famiglie più ricche a livello mondiale si creino delle spaccature di vedute strategiche: c’è chi vorrebbe restituire molto di ciò che ha accumulato (il c.d. give back diffuso tra le prime generazioni) e chi invece vorrebbe continuare ad investire, crescere, e accumulare (più diffuso tra le seconde e terze generazioni). Secondo la seconda ricerca, invece, emergeva come il trasferimento della ricchezza diventi il problema stesso a discapito del “come” e del “quando”, tanto che meno del dieci per cento degli intervistati dedica attenzione all’educazione (non in senso accademico) dei destinatari di quella ricchezza. Insomma, una nave senza nocchiero e senza una meta condivisa.

Queste apparenti differenze di visione possono creare dissidi irrisolti che vanno dall’azienda alla famiglia e viceversa. Eppure, i due mondi possono rimanere contigui ma separati per il bene di entrambi. Ad esempio, a leggere bene le fotografie emerse dalle ricerche, si può capire come le generazioni coinvolte non avessero tanto una diversità di vedute imprenditoriali sul business model, quanto piuttosto sul come gestire al meglio la ricchezza famigliare pregressa (ancora un effetto del tempo). Con la conseguenza che è ben possibile che il dualismo famiglia-azienda non vada in collisione perché ci sono temi che devono e possono restare separati (azienda da una parte e ricchezza pregressa da un’altra), facilitando una visione di medio-lungo termine che consenta sia di programmare con soddisfazione e solidità la continuità dell’azienda famigliare sia le aspirazioni dei singoli membri.

Insomma, sembra chiaro che la miglior gestione del fenomeno non possa limitarsi alla cura (pur importantissima) degli aspetti legali e fiscali legati alla fredda esecuzione del passaggio di controllo e del famoso testimone. L’approccio ottimale deve avere un carattere multidisciplinare, guidato in primis da una condivisione chiara della cultura aziendale (magari formalizzandola in una carta dei valori famigliari) per poi programmare un percorso formativo fondamentale che tenga conto delle variabili umane e psicologiche che influenzano il passaggio generazionale in azienda, che si conferma come un cambiamento fisiologico sì, ma non per questo automatico e lineare.

 

Avvocato patrimonialista e consulente fiscale, con esperienza ventennale nel contenzioso tributario e nell’assistenza alle aziende e famiglie con grandi patrimoni (“HNWI”). Dopo la laurea in legge ha conseguito l’Adv. LLM in International Taxation presso l’International Tax Center dell’Università di Leiden, Paesi Bassi. Nel corso degli ultimi anni si è specializzato nella cura dei profili legali e tributari connessi al passaggio generazionale, agli strumenti di protezione patrimoniale e alla riorganizzazione del patrimonio personale e dell’impresa famigliare. Ha conseguito il diploma in Diritto e fiscalità nel Mercato dell’Arte della 24Ore Business School. È coordinatore del modulo legale e fiscale del Master in Gestione Innovativa dei beni d’arte presso l’Università di Pavia e tiene corsi specialistici in materie tributarie presso varie Università e scuole di formazione. Dal 2017 è Partner di Studio Tributario e Societario Deloitte dove è membro dei Team Private Clients e Art&Finance. È autore di libri, articoli e rassegne su primarie riviste specializzate in materia fiscale.

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