Un numero sempre più crescente di aziende mondiali, tra cui molte italiane, scelgono gli Stati Uniti come il luogo dove stabilire le loro attività. C’è una buona ragione di fondo: gli Stati Uniti hanno il più attraente contesto economico e il più rappresentativo mercato finanziario internazionale e il combinato di queste peculiarità favorisce l’affluenza di capitali da ogni parte del mondo.
Anche Nicola Savoini, Co-Head dell’Investment Banking di Morgan Stanley in Italia in una recente intervista ha spiegato come questa fase storica sia ideale per chi desidera investire negli Stati Uniti. “In un clima di crescente tensione geopolitica” ha spiegato “gli Stati Uniti rimangono un’area di sempre maggiore interesse per le società italiane ed europee”. Numeri alla mano, il momento storico è favorevole per le relazioni d’affari con gli Usa che rappresentano il primo mercato di esportazione italiano al di fuori della Ue, la destinazione del 10% di tutto l’export italiano. Nei primi nove mesi del 2023 gli investimenti in M&A negli Usa da parte di aziende italiane sono stati 26, in aumento rispetto ai 25 dell’anno precedente (fonte KPMG), e il trend sembra positivo anche per il 2024/2025.
Gli obiettivi che vengono perseguiti da una impresa mediante l’acquisizione di un’azienda negli Stati Uniti possono essere tra i più vari: dalle acquisizioni di tipo strategico che sfruttano le potenziali sinergie tra società acquirente e la azienda target, alle acquisizioni di aziende già pienamente avviate nei mercati di riferimento utilizzate come ponte per aprire nuove rotte commerciali (in questo caso l’azienda leader sfrutta già la consolidata struttura commerciale in essere della azienda target).
Qualunque siano gli obiettivi perseguiti, le tecniche impiegate nelle acquisizioni negli Stati Uniti sono riconducibili a tipologie piuttosto simili, seppure con notevoli variazioni nei singoli casi concreti. Bisogna ribadire tuttavia che l’acquisizione e la fusione sono due concetti giuridici molto diversi con effetti economici e societari diversi. Con l’acquisizione, l’acquirente generalmente acquista il controllo, cosa che potrebbe non accadere con una fusione.
“Investire è semplice, ma non è facile” è un famoso refrain che si usa spesso citare negli States e in effetti lo sbarco sui mercati americani, se è vero che rappresenta un approdo sognato da tantissime aziende italiane, troppo spesso però si tramuta in una chimera. Le ragioni di questo gap possono essere diverse: in alcuni casi le aziende leader non passano all’atto pratico perché non comprendono in pieno le opportunità del mercato americano, in altro casi, molto più frequenti, perché spaventate dalla sua complessità. Di fatto ognuno dei 50 stati rappresenta un caso a sé stante, con regolamentazioni e pratiche d’uso differenti. Quel che è certo è che per potere avere successo bisogna essere accompagnati. L’improvvisazione o peggio l’applicazione al mercato americano di schemi europei è l’anticamera del fallimento.
È prassi quindi farsi assistere da un “corporate attorney” con esperienza nel settore M&A e che le parti sottoscrivano una lettera di intenti (c.d. “letter of intent” o “term sheet”), contenente i termini principali dell’operazione in questione. Questa procedura consente di fissare i termini commerciali (c.d. “business terms”) del loro accordo e spesso è “conditio sine qua non” per accedere al mondo del credito locale. Inoltre, se l’operazione dovesse essere dimensionalmente importante, potrebbe essere anche soggetta all’esame delle autorità antitrust ed in questo caso è necessaria la firma congiunta di una “lettera di intenti”. Vi sono poi casi in cui la trattativa per una lettera di intenti può anche rallentare l’operazione. In questo caso il ruolo di un buon studio legale è impegnare le parti nel dettagliare successivamente il contratto definitivo. Le lettere di intenti hanno infatti normalmente natura “non vincolante”, ma questo è prassi specificarlo in modo molto chiaro e per iscritto nel testo stesso del documento.
Questa situazione diviene un’esigenza ancor più sentita quando si vuole mantenere una sufficiente flessibilità, soprattutto quando le parti non siano completamente certe dell’opportunità del deal, o non ne conoscano con precisione ancora tutti i dettagli. Le clausole di riservatezza e di esclusività sono, anche nell’ordinamento americano espressamente vincolanti.
Insomma, per essere certi di superare i molti trabocchetti che si possono incontrare tra le varie normative nazionali, statali e comunali è opportuno farsi affiancare da professionisti legali che già presidiano il mercato. Quando si parla di studi legali a stelle e strisce bisogna innanzitutto avere presente che le spese sono molto spesso doppie se non triple rispetto al panorama italiano. Ma gli insuccessi di chi ha voluto andare al risparmio insegnano che questa scelta può essere fatale. I grandi studi americani spesso disorientano un poco l’imprenditore italiano, che è spesso abituato ad un rapporto strettamente personale con il proprio avvocato. Ecco perché per competere con successo in questo contesto, bisogna anche saper conservare alcune caratteristiche (e virtù) della tradizione professionale italiana, quali, ad esempio, la vicinanza e l’assistenza al cliente, che rende più empatico, e quindi più efficace il rapporto professionale. Ed evita, una volta di più, che il cliente possa sentirsi considerato solo un numero.
Laureato in Italia, equity partner dello studio legale Tarter Krinsky &Drogin, conosce la realtà legale su entrambe le sponde dell’Atlantico e ha un approccio “tailor made” che lo porta a visitare fisicamente i clienti, recandosi nelle loro aziende o luoghi produttivi. Lo Studio, con sede centrale a New York, offre un servizio completo di assistenza in diversi settori e dipartimenti, lavorando al fianco delle aziende per sviluppare soluzioni pratiche e strategiche sulla base delle loro esigenze, nonché servizi di consulenza legale a livello internazionale con una divisione specificamente dedicata alla clientela italiana.
L’Italy Practice di Tarter Krinsky & Drogin è la più grande squadra legale di professionisti in uno studio americano ingaggiati su clienti italiani.
Lo studio ha assistito negli ultimi due anni importanti realtà italiane per operazioni cross borders, tra cui, Molteni&C, Mvc Group, e il Gruppo Sabaf.