La guerra nel Vicino Oriente, perseguita scientemente con l’attacco terroristico di Hamas, interroga l’Occidente sullo stato del mondo attuale, in bilico su un precipizio che sta mettendo in secondo piano le grandi opportunità di quest’epoca. Esistono potenzialità senza eguali per uno straordinario progresso scientifico, frontiere inedite dell’innovazione digitale e un nuovo umanesimo, non una pura e semplice difesa del nostro genere e del suo ecosistema, ma in diretta relazione con uno sviluppo culturale, tecnologico e produttivo di tipo moderno. Nonostante tutto ciò, si fa sempre più intensa la percezione di un dolore del mondo (“weltschmerz” è il termine esatto), che nasce dal confronto tra una vita ideale o possibile e l’inesorabile realtà dei fatti. Di fronte a una guerra implacabile e uno sterminio di innocenti, una spiegazione troppo elementare non aiuta a comprendere l’intreccio ingarbugliato delle questioni che si addensano come grumi sul futuro prossimo delle popolazioni di ormai estese aree geografiche. Nell’innesco della conflagrazione è innegabile la responsabilità di un gruppo efferato, sostenuto da potenze tenebrose, con mire di distruzione di Israele e di destabilizzazione globale. È l’altra faccia di un assetto del mondo in radicale trasformazione e della lotta per l’egemonia mondiale, che rischia, però, di essere combattuta da alcuni contendenti senza esclusione di armi. Oggi, si invoca giustamente, anche all’interno di un duro conflitto, senso dell’umanità e della misura, con azioni volte esclusivamente a debellare Hamas, garantendo ogni scampo e assistenza agli abitanti inermi, bloccando i bombardamenti di concentrazioni civili e scongiurando qualsiasi ampliamento del fronte bellico. Al tempo stesso, va posto un argine immediato alla diffusione di gravi manifestazioni di antisemitismo, che richiamano un lugubre passato. Il consesso delle nazioni democratiche, gli Stati Uniti e l’Europa devono compiere ogni sforzo per favorire il rispristino di senno, ragionevolezza e pace in un contesto tanto tormentato e complesso. La componente economica di questi eventi può contribuire a evidenziare l’insensatezza delle ostilità e a isolare i guerrafondai, guardando all’insieme dei problemi che comporta uno scontro di questo rilievo. Secondo il più recente rapporto della Banca Mondiale sui mercati delle materie prime, un ulteriore inasprimento del conflitto porterebbe a un duplice shock, dovuto all’impatto bellico delle vicende di Ucraina e Medio Oriente. Un’interruzione delle forniture di petrolio paragonabile all’embargo dei produttori arabi del 1973 provocherebbe un incremento dell’inflazione a catena, a cominciare da energia (con il greggio a oltre 150 dollari al barile) e alimentari. Per ora, tuttavia, la guerra ha influenzato più i prezzi del gas che quelli del petrolio, mentre, rispetto a mezzo secolo fa, le fonti di approvvigionamento si sono diversificate e i mercati dell’oro nero sono diventati meno importanti e vulnerabili. In un articolo su Bloomberg, a firma di Ziad Daoud, Galit Altstein e Bhargavi Sakthivel, si è confermato che lo scontro tra Israele e Hamas può sconvolgere l’economia internazionale, conducendola a una recessione, con una perdita produttiva pari a circa un trilione di dollari e il mantenimento di un’inflazione generale elevata (al 6,7% nel 2024) se venissero coinvolti altri Paesi. Il Financial Times ha rilevato che i timori di propagazione del conflitto gettano un’ombra sull’economia globale, minando la fiducia degli operatori e suscitando una nuova impennata dei prezzi, in una condizione preesistente, descritta dal Fondo Monetario Internazionale, di peggioramento delle tendenze di sviluppo a lungo termine e di aggravamento del debito pubblico. A sua volta, Gian Maria Milesi-Ferretti su Brookings ha affermato che le potenziali ricadute economiche di un allargamento dei combattimenti sarebbero rovinose, in particolare per le popolazioni della regione interessata. Egli ha avvertito che sbalzi nell’offerta di petrolio avrebbero conseguenze deleterie per l’attività economica nei Paesi importatori di energia e, più in generale, per l’economia mondiale. Lo studioso dell’Hutchins Center on Fiscal and Monetary Policy ha ricordato, altresì, che le tensioni geopolitiche incombono sulla propensione al rischio globale, accrescendo i divari finanziari ed esercitando nuove pressioni al rialzo sul dollaro: così, si possono determinare notevoli ripercussioni sulle economie più esposte ai fattori esterni. A tale proposito, Stephen Roach dell’Università di Yale – mentre alcuni ritengono che i tragici avvenimenti bellici avranno effetti devastanti, ma limitati alle economie regionali – ha sottolineato come, in questo quadro, il rischio di recessione si amplifichi: “La storia insegna che in ogni caso quel che accade in Medio Oriente, non solo per gli aspetti energetici, risuona pesantemente in tutto il mondo”. Infine, in una nota congiunturale di Competere.EU, si sono indicate alcune previsioni di larga massima per l’Italia, che potrebbe patire contraccolpi diretti e indiretti della situazione odierna: da un lato, un impatto significativo sul commercio tra il nostro Paese e Israele (del valore di 4,8 miliardi di euro, con un saldo positivo di 2,3 miliardi); dall’altro, l’aumento dei prezzi delle risorse energetiche e il rallentamento della ripresa, per la riduzione di scambi e investimenti. Insomma, oltre ai terribili disastri e alle immani perdite umane della guerra, i danni economici e il pregiudizio di interessi diffusi dovrebbero suggerire che bisogna difendersi dalle aggressioni, specialmente se un popolo le vive ripetutamente nella storia, e che al contempo, parafrasando Norman Angell, il modo migliore per vincere i conflitti è quello di ricondurli il più presto possibile alla rotta dell’aggressore e alla ragione dell’uomo.
Professore Ordinario di Storia Economica presso il Dipartimento di Economia dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli. È docente presso il Dipartimento di Impresa e Management della LUISS Guido Carli di Roma. Ha svolto insegnamenti in diverse Università italiane e straniere. È componente del Consiglio di Amministrazione della SVIMEZ e del Consiglio Direttivo delle Fondazioni Merita-meridione Italia e Astrid.
È membro del Consiglio Direttivo del Cluster italiano della Bioeconomia Circolare “Spring”.
È socio dell’Accademia Pontaniana, nella Classe di Scienze Morali.
Fa parte di Comitati scientifici e di Redazione di varie riviste nazionali e internazionali.
Ha ricevuto riconoscimenti internazionali per la sua attività di studio e di ricerca.
Ha pubblicato volumi e saggi, in Italia e all’estero.
I suoi attuali ambiti di ricerca riguardano la storia dell’economia euro-atlantica, il processo di globalizzazione nei suoi vari aspetti, le dinamiche dell’innovazione e delle tecnologie, l’impatto sull’economia della pandemia di Covid-19, le dinamiche dell’economia circolare, l’evoluzione dell’impresa contemporanea, la storia del dualismo economico italiano.
Ha svolto anche ruoli istituzionali legati alle sue competenze economiche, da ultimo come Assessore alle attività produttive della Regione Campania