Ugo Nespolo – Per un’ecologia dell’arte
il futuro dell'arte
Artista

Siamo tormentati dall’idea di futuro, che prima della pandemia, immaginavamo più come un presente enormemente dilatato. Questa idea di presente assoluto ha da tanto tempo condotto il sistema dell’arte nelle sue subalterne componenti: una temporalità ansiosa e sprovvista di visione, schiava dell’assolutismo di questo presente e comodamente consegnata al possesso come convalida dell’essere. Ma poi, proprio come tutti gli ambiti della società e della economia, duramente provati dalla situazione attuale, anche il fantasmagorico mondo dell’arte e il suo luccicante bagliore ha conosciuto l’amarezza della realtà e la crudezza delle previsioni più nere. La pandemia lascerà su questo settore effetti devastanti e forse si salveranno in pochissimi: solo quegli artisti e quelle gallerie legati alle megastrutture commerciali, mentre la grande massa delle gallerie medie sparirà o dovrà necessariamente ridimensionarsi. (cit. J. Saltz). Al pari delle mondanissime fiere dell’arte, divenute appuntamenti troppo costosi e irrealizzabili. Qualcun altro (U. Obrist) propone la riscoperta di un grande progetto di arte pubblica come cura, sull’esempio di quello attuato dagli Usa durante la grande depressione: un new deal per tenere viva una vasta comunità creativa e contribuire alla scoperta e valorizzazione di nuovi talenti che inneschi un processo virtuoso anche in termini economici. Un suggerimento al momento inascoltato, mentre giorno dopo giorno assistiamo ad una situazione di stallo nelle dinamiche di incontri e vendite nelle gallerie e le prime chiusure di spazi divenuti sempre più costosi. La situazione, è vero, aguzza l’ingegno dei maggiori player del mercato verso soluzioni di avanguardia e di salvaguardia, con l’istituzione delle VOR (viewing Online Rooms), utili più a rassicurare i maggiori collezionisti nel non sentirsi abbandonati e smarriti dinnanzi alla decrescita diffusa dei (già) decantati “sicuri investimenti”. Anche lo scintillante, frenetico mondo delle fiere dell’arte che pareva fino a ieri il magico e sicuro meeting point planetario in grado di creare e consolidare valori e produrre ricchezza comincia a vacillare. Gli appuntamenti continui e incalzanti per ogni angolo del pianeta sono evaporati. E le stupefacenti gallerie di Milano, Londra e Hong Kong si trasformano in negozi virtuali, affidandosi all’online. Proprio come fanno anche i maggiori musei del pianeta, colpiti dalla profondità delle restrizioni adottate, dai tagli nei budget e dalle rescissioni dei contratti con il personale di ogni genere e grado. Proprio alcune istituzioni, da sempre specchio della opulenza museografica nel mondo, rivelano le maggiori contraddizioni e mettono in discussione il proprio ruolo e quindi l’opportunità della propria esistenza. È il caso del MoMa di New York che ha appena portato a termine una faraonica ristrutturazione da 500 milioni di dollari e che ha appena annunciato il taglio di 45 milioni di dollari su future mostre, dimezzando il budget del 2021, “un primo passo per eliminare ogni spesa possibile“, come ha spiegato il direttore Glenn Lowry. Mario Perniola nel suo “L’arte espansa” pochi anni fa scriveva di destabilizzazione del mondo dell’arte e prevedeva una bolla speculativa prossima allo scoppio, contestando la trasformazione degli artisti in divi dello spettacolo, l’annullamento della critica dell’arte, la scomparsa del pensiero sacrificato all’imperativo che vale solo tutto ciò che costa. Pete Peterson raccontava di come a New York ci siano montagne di soldi e ragazzi trentenni già milionari considerano le opere d’arte dei “beni posizionali, utili a dare prestigio e farli sentire gente che conta. Ma sono gli stessi trentenni di Londra, Hong Kong, Mosca: i super ricchi costituiscono da sempre una nazione a parte. Li si incontra nelle fiere d’arte di alto bordo: Art Basel Miami, Frieze, Dubai, con quella aria di superiorità ad ostentare opulenza, di stand in stand, di suite in suite, di Jet in Jet. Il mondo dell’arte è diventato allora un magnifico soufflé farcito di banconote (cit. Polveroni) e questa ingordigia speculativa è stata alimentata da tutti: mercanti, casa d’aste, musei e fiere. In attesa che il gigante dai piedi di argilla precipitasse (cit. Thomson). Accontentati tutti.

 

Ugo Nespolo – Artista

info@nespolo.com

Diplomato all’Accademia Albertina di Belle Arti a Torino, laurea in Lettere Moderne. La sua prima mostra milanese dal titolo “Macchine e Oggetti Condizionali” – in qualche modo – rappresenta il clima e le innovazioni del gruppo che Germano Celant chiamerà Arte Povera. Negli Anni Sessanta si trasferisce a New York dove subisce il fascino della nascente Pop Art, mentre negli Anni Settanta milita negli ambienti concettuali e poveristi. Nel 1967 è pioniere del Cinema Sperimentale Italiano sulla scia del New American Cinema. I suoi film sono stati proiettati e discussi in importanti musei tra i quali il Centre Pompidou a Parigi, la Tate Modern a Londra, la Biennale di Venezia. Con Baj, Nespolo fonda L’Istituto Patafisico Ticinese ed è, ad oggi, riconosciuto come una delle più alte autorità nel campo. Nella sua arte è molto marcata l’influenza di Depero, da cui trae il concetto di un’arte ludica che pervade ogni aspetto della vita quotidiana. Da qui anche il suo interesse per il design, l’arte applicata e la sperimentazione creativa in ambiti diversi, quali la grafica pubblicitaria, l’illustrazione, l’abbigliamento, scenografie e costumi di opere liriche. La sua ricerca spazia anche sui materiali e sui molteplici supporti, con tecniche differenti: legno, metallo, vetro, ceramica, stoffa, alabastro. Sicuro che la figura dell’artista non possa non essere quella di un intellettuale, studia e scrive con assiduità dei fatti e delle discipline che han da fare con l’estetica e il sistema dell’arte. Nel Gennaio 2019 l’Università di Torino gli conferisce la Laurea Honoris Causa in Filosofia.

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