La diffusione del Covid-19 e le conseguenze sociali ed economiche della pandemia hanno riproposto, in forme nuove, due questioni che riemergono sovente nel dibattito pubblico: mi riferisco al rapporto tra i vari livelli di governo e al rapporto tra la sfera dell’azione pubblica e l’iniziativa privata. Per quanto riguarda il rapporto tra i diversi livelli di governo, l’emergenza sanitaria prima e quella economica immediatamente dopo (o contemporaneamente) hanno fatto emergere – soprattutto nel nostro paese, ma non solo – un potenziale scollamento tra i diversi livelli di governo che ha rischiato più riprese di sfociare in una aperta conflittualità. In alcune fasi il governo centrale è sembrato pretendere di avocare a sé competenze e responsabilità di natura decisionale e gestionale in materia emergenziale, sanitaria ed economica, in altre fasi è sembrato esigere una responsabilità diretta dei livelli di governo regionale e un maggiore coinvolgimento delle autorità locali, in particolare dei sindaci. Mi è parso di cogliere in questo senso più di una oscillazione tra i due estremi. Discorso analogo vale per le regioni e gli enti locali, con l’ulteriore considerazione che – trattandosi di una pluralità di soggetti – le loro oscillazioni si sono manifestate in modo asincrono. Il dibattito che ha accompagnato le prese di posizione istituzionali ha amplificato l’ondeggiamento esprimendo, con poche eccezioni, un orientamento neo-centralista. Passando velocemente ad osservare quando accaduto a livello sovrannazionale ed internazionale si possono osservare dinamiche simili, tanto l’OMS quanto la UE hanno oscillato tra momenti di preteso coordinamento dell’azione degli stati e momenti in cui hanno cercato di alleggerire le proprie responsabilità rimettendosi alle decisioni nazionali. Il dibattito in questo caso ha seguito una dinamica opposta orientandosi nel senso di ribadire il diritto e la responsabilità degli stati nazionali. L’orientamento neo-centralista a livello nazionale è sembrato sfociare in vero e proprio neo-nazionalismo, con le bandiere appese ai balconi, e neo-statalismo, con tanto di peana ai paesi con regimi autoritari che avrebbero saputo gestire meglio la crisi controllando in modo più rigoroso il comportamento degli individui. Questo neo-centralismo, neo-nazionalismo e neo-statalismo ha avuto un risvolto inevitabile nel rapporto tra pubblico e privato nel senso di orientare il dibattito, con poche eccezioni, verso una fascinazione per tutto ciò che è pubblico (nel senso di statale) e forti prese di distanza per tutto ciò che allo stato non appartiene. Ma quali dovrebbero essere i criteri per l’allocazione di responsabilità tra i vari livelli di governo e tra pubblico e privato? Sembrano essere stati dimenticati decenni di dibattito in materia in cui si ammoniva di affidare al privato (profit e non-profit) la responsabilità prima delle iniziative sociali ed economiche riservando allo stato solo quei campi di intervento nei quali l’iniziativa privata ha dimostrato di non poter funzionare (sussidiarietà orizzontale e libertà di iniziativa economica), e si ricordava che è preferibile che le decisioni pubbliche siano prese il più vicino possibile ai cittadini, riservando ai governi centrali e alle istituzioni internazionali solo quegli interventi che i governi locali non sono in grado di svolgere (sussidiarietà verticale e federalismo). Mi chiedo se un anno di emergenza sia sufficiente a cancellare dal dibattito più di cento anni di pensiero occidentale dove i temi della sussidiarietà, della libertà di iniziativa economica, della corretta allocazione di responsabilità tra livelli di governo hanno rappresentato un patrimonio comune – ancorché dibattuto – del pensiero cattolico, socialista e librale, vale a dire dei pensieri politici ed economici che hanno fondato il nostro paese, l’Europa e in ultima analisi l’intero occidente. Termino con un monito di quello che considero uno dei più grandi maestri del pensiero occidentale “Il governo civile opera contro il suo mandato, quand’egli si mette in concorrenza con i cittadini, o colle società ch’essi stringono insieme per ottenere qualche utilità speciale; molto più quando, vietando tali imprese agli individui e alle loro società, ne riserva o sé il monopolio” (Rosmini A., Filosofia della politica, 1838).
Docente presso l’Università di Pavia, di cui è titolare di numerosi corsi. Direttore del Master in Gestione Innovativa dell’Arte. Ha ricoperto vari incarichi all’interno dell’Ateneo (Delegato del Rettore, membro del Consiglio di Amministrazione, Vicepresidente Edisu e Rettore del Collegio Valla). Già consigliere di amministrazione, revisore e membro di comitati scientifici di società pubbliche e fondazioni per designazione universitaria. Ha rappresentato l’Università di Pavia in Commissioni istituzionali di Regione Lombardia. Ha collaborato con Regione Lombardia, Regione Emilia-Romagna e Provincia di Bari e Ministero del Welfare per i rispettivi “Osservatori sulla sussidiarietà”. E’ vicepresidente di “Back to College” e socio fondatore di numerose start up, spin-off universitari, associazioni culturali, società scientifiche, consorzi e cooperative che operano in vari settori economici, sociali e culturali.