Il 2021 può essere considerato un anno epocale per il diritto dell’arte e, forse, anche per il mercato stesso. In un articolo pubblicato sul Giornale dell’Arte, mi chiedevo se «in caso di sospetta contraffazione di un’opera d’arte la sola opinione dell’Archivio intitolato all’artista fosse sufficiente per una condanna» a proposito della sentenza emessa dal Tribunale di Milano, n. 6004 del 28 ottobre 2020 relativa ad un’opera di Josef Albers. Sottolineavo in particolare che «la credibilità e attendibilità delle dichiarazioni rese della parte civile nel processo penale, quand’anche autorevole, è in genere circondata da molte cautele e ancora più rigore dovrebbe essere richiesto quando l’archivio che ha anche “il monopolio” sul rilascio dei certificati di autenticità è proprietario di opere e, quindi, inevitabilmente portatore di interessi economici sul mercato ed esposto al rischio di versare in situazioni di potenziale conflitto d’interesse>>. Per quanto la rarità non sia che uno dei fattori di accrescimento del valore, in astratto, infatti, il “potere” di ridurre il numero delle opere di un artista disponibili per la vendita, negandone l’archiviazione, potrebbe produrre come effetto l’incremento di valore delle opere di proprietà che l’archivio immette sul mercato. Nel caso di specie sul sito web della Josef and Anni Albers Foundation è espressamente dichiarato che “la Fondazione vende un piccolo e selezionato gruppo di dipinti e stampe attraverso i suoi rappresentanti autorizzati” e che “la Fondazione ha nominato la David Zwirner Gallery di New York e Londra come suo rappresentante esclusivo in tutto il mondo”», e, per le opere di grafica in edizione, dalla Cristea Roberts Gallery di Londra. Quelle mie argomentazioni, condivise da molti collezionisti, sono state fatte proprie dalla Corte d’Appello di Milano n. 7148 del 3 novembre 2021 che ha assolto il gallerista Gabriele Seno perché il fatto non costituisce reato e ha motivato che «il vaglio di attendibilità doveva essere ancora più penetrante in considerazione del fatto che l’Archivio, che possiede il monopolio sul rilascio dei certificati di autenticità, risulta altresì proprietario di opere e, quindi, inevitabilmente portatore di interessi economici sul mercato, dovendosi ipotizzare anche un potenziale conflitto d’interesse>>. La Fondazione Albers, infatti, si occupa anche di “vendere al pubblico un limitato numero di opere attraverso i suoi rappresentanti autorizzati”. Gli archivi a memoria d’artista si pongono il fine statutario di “incentivare gli studi e favorire la conoscenza della figura e dell’opera di un Artista, promuovendo ricerche e iniziative direttamente o in collaborazione con altri organismi pubblici e privati; catalogarne la produzione autentica nella massima trasparenza di metodo e rapporti”, o più semplicemente sono ”la struttura più o meno formale creata per assicurare, in accordo con l’artista o dopo la sua morte, la difesa e la promozione della sua opera”, a cui è stata riconosciuta iure proprio la titolarità a titolo originario alla propria identità personale ed alla «immagine», quale ente collettivo, per statuto preposto alla protezione e promozione della figura, della memoria e dell’opera di un determinato artista, come chiarito dalla Cassazione Civile, Sez. 1 n. 2039 Anno 2018.
Ma quella degli Archivi d’artista, al pari di qualunque altro soggetto che ritenga di averne le competenze, è una expertise su una determinata opera, che nulla vale più di un’opinione tra tante, quale estrinsecazione della libertà di pensiero e non ha, né può avere, alcuna fede privilegiata né nel processo civile, né tanto meno in quello penale, vieppiù quando l’archivio è portatore di un interesse economico proprio nel mercato e quando detiene una quota rilevante di opere, il cui valore può potenzialmente accrescere attraverso piani strategici di valorizzazione che potrebbero essere addirittura anticoncorrenziali. Proprio per compensare il «piano strategico (…) di ritirare l’arte di Rauschenberg dal mercato, al fine di evitare un calo di valore da parte di speculatori o collezionisti che inondavano il mercato con la sua arte», ai tre componenti del Robert Rauschenberg Trust, avente come beneficiaria la Rauschenberg Foundation, è stato giudizialmente riconosciuto il diritto al compenso di 24 milioni di dollari, da dividersi equamente (Robert Rauschenberg Foundation, v. Bennet Grutman, Bill Goldston, and Darryl Pottorf, 2016). Ed è anche ben noto che molti comitati americani per l’autenticazione (Pollock-Krasner Foundation, Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, Roy Lichtenstein Foundation), non potendo beneficiare del salvacondotto concesso agli eredi dal diritto morale d’autore, sono stati sciolti o hanno cessato di «erogare tale servizio», per preservare il patrimonio della Fondazione dalle richieste di risarcimento dei collezionisti che si erano visti cassare le loro opere. E proprio per un asserito conflitto d’interessi Brian Clarke, uno dei due esecutori testamentari di Francis Bacon, deceduto lasciando come unico erede il compagno John Edwards, è riuscito ad ottenere una declaratoria di decadenza dalla nomina dell’altro esecutore, poiché si trattava di dirigente della Marlborough Gallery, che aveva sempre rappresentato l’artista ed era titolare di interessi propri. Dopo la morte di John Edwards, anche Brian Clarke è, però, caduto in un palese conflitto di interessi quando ha assunto la direzione del Bacon Estate, una LTD, che gestisce il monopolio sul vero e sul falso del pittore inglese, che ha recentemente “dannato” le opere della Collezione Barry Jaule donate alla Tate e tutti i disegni italiani di Ravarino.
Avvocato, iscritto all’Ordine di Milano, patrocinante in Cassazione.
Assiste abitualmente, sia in sede giudiziale che stragiudiziale, imprese multinazionali ed imprese italiane leader di settore, nonché prestigiose istituzioni culturali italiane e straniere, case d’asta, archivi d’artista, privati collezionisti e artisti nei diversi ambiti (civile, penale e amministrativo) del diritto dell’arte e dei beni culturali in Italia e all’estero.
È sovente chiamata come docente in corsi di formazione specialistica, come relatore in convegni, seminari e webinar.
È giornalista pubblicista dal 2012 e collabora con diverse testate specializzate nel diritto dell’arte e dei beni culturali in particolare con Il Giornale dell’Arte.