È sempre difficile fare previsioni economiche quando comincia un anno nuovo, negli ultimi tempi, poi, lo è stato ancora di più visto l’insorgere nei primi due mesi dell’anno di due grossi “cigni neri” che hanno completamente sovvertito gli equilibri internazionali (Covid e conflitto ucraino) e dunque il sistema di predizioni in essere.
Il 2024 rischia di essere di ancora più difficile previsione, visto che oltre alle conseguenze dei tre “cigni neri”, (nel mentre si è aggiunto anche quello del conflitto israeliano), assisteremo (a Taiwan è già avvenuto) al rinnovo dei governi in ben 76 Paesi, di cui 8 sono tra i 10 Paesi più popolosi al mondo.
Complessivamente sono 2 miliardi le persone chiamate a votare (che equivale anche a dire la metà della popolazione adulta nel mondo) e sono dunque legittime le preoccupazioni per un anno che potrebbe stravolgere ancora di più i già fragili equilibri politici e sociali internazionali.
India, Usa, Indonesia, Unione Europea, Brasile, Bangladesh, Russia, Messico, Regno Unito, Taiwan, Sudafrica (in ordine numerico): sarà un anno di campagna elettorale permanente.
Abbiamo già visto quanto accaduto con la vittoria di Lai a Taiwan (centro cruciale per la tecnologia dei microchip e molto attenzionato dalle mire espansionistiche cinesi): immediatamente il ministro degli esteri cinese si è espresso sulla “esistenza di una sola Cina, di cui Taiwan fa parte”.
Se il buongiorno si vede dal mattino…
Da primavera in poi sarà il turno della Gran Bretagna del Parlamento Europeo, per chiudere a fine anno con l’evento più importante: il Presidente degli Stati Uniti. Certo, nel mentre (a marzo) ci sarebbero anche le elezioni russe, ma appaiono abbastanza scontate, mentre interessanti potrebbero essere gli spunti provenienti (entrambe in estate) dalle elezioni in Sudafrica e in India: le nuove leadership potrebbero confermare o rivedere i rapporti geopolitici all’interno del gruppo dei “BRICS”. Insomma, gli elementi di incertezza (geo)politica sono elevatissimi e rischiano di compromettere le potenzialità dell’economia mondiale. Le promesse elettorali, come demagogia vuole, saranno tutte improntate a pompare l’economia e qualunque candidato prometterà mondi avveniristici, il progresso alle porte, una ricchezza diffusa e la pace nel mondo. Beh, no, probabilmente quella sarà l’unica a non essere menzionata.
E poi l’attuale contesto macro-economico, almeno nei paesi occidentali, con una inflazione finalmente in ritirata, seppur con economie ancora molto fragili, potrebbe dare spunti e supporti importanti per campagne elettorali votate all’ottimismo: del resto il popolo è “ miope” (in realtà il proverbio vorrebbe che sia “bue”, ma mi sembrava indelicato riportarlo qui) e nel segreto delle urne voterà guardando al suo portafoglio, per cui ogni miglioramento economico sarà opportunatamente ricordato e premiato. Vale anche, ovviamente, il viceversa.
A meno di clamorosi errori di politica monetaria, l’atterraggio morbido (il soft landing tanto auspicato) sembrerebbe concretizzarsi e spazzare via lo spettro del più insidioso hard landing che tanto aveva spaventato i mercati negli ultimi due anni. Ma di questo se ne è parlato diffusamente nella scorsa puntata.
Si è detto che è un anno che rimarrà però sospeso in attesa della votazione più importante: quella a stelle e strisce.
A seconda di chi dovesse essere eletto, c’è la possibilità di assistere a un cambiamento sostanziale nella politica economica, nella politica internazionale delle alleanze e nella politica ambientale del Paese più influente al mondo.
A tal proposito, c’è però una statistica abbastanza longeva (120 anni) che val la pena ricordare: il principale indice borsistico americano (il Dow Jones, che poi è anche il più rappresentativo del mercato finanziario mondiale) negli anni delle elezioni presidenziali USA è quasi sempre rimasto piatto nei primi sei mesi dell’anno, salvo poi accelerare al rialzo, appena la campagna elettorale entra nel vivo e poi correre all’annuncio del nuovo Presidente.
Sarà anche così nel 2024? C’è sempre l’eccezione che conferma la regola, è vero, ma tendenzialmente fa sorridere come il “razionale” mercato finanziario creda con entusiasmo alle mirabolanti promesse elettorali. Da circa 120 anni ormai. Chi siamo allora noi per smettere di fargliele credere?