Panem et circenses in salsa araba (1 di 2)
Immagine: Pino Deodato, Rifugio 2023. Cortesia: Dep Art Gallery, Milano

Siamo tutti tifosi di qualcuno o qualcosa. È inutile negarlo. E non mi riferisco solo al famigerato calcio. Fin dalla antica Grecia, ma anche nella Roma delle arene, era lasciata la possibilità al popolo di svagarsi (e sfogarsi) sostenendo l’atleta o il gladiatore preferito. Nonostante lo scetticismo degli intellettuali di allora (Giovenale in una lettera ad un amico e con tono disgustoso lamentava il “panem et circences” come metodo demagogico per governare le genti), le cose, a distanza di duemila e passa anni non sono cambiate affatto. Anzi, si sono solo raffinate…

Oggi semmai, non basta più saper governare le proprie genti, ricorrendo anche a metodi più o meno demagogici, la vera abilità è estendere il concetto di territorialità ed influenzare gli usi e costumi degli altri popoli, divenendone, in poche parole, un modello.

Semplifico il concetto: alcuni Stati cercano di esercitare una leadership carismatica su altri, per influenzarne lo stile di vita, modellarne i gusti e accrescere, a proprio vantaggio, il consenso sia esterno che interno.

Dagli anni novanta, si parla a tal proposito di Soft Power, un neologismo che indica un metodo alternativo di politica estera, basato sulla capacità di attrazione e di persuasione, piuttosto che sull’uso di metodi coercitivi o militari, come era stato fino ad allora con le grandi guerre e appena dopo con la Guerra fredda.

Gli Stati Uniti sono da sempre un fulgido esempio di soft power e i film di Hollywood (ad esempio) hanno da sempre valorizzato “lo stereotipo dell’American dream”: una terra di libertà dove tutto è possibile, catalizzando fascino e speranze di tutta una vasta popolazione occidentale e non solo.

Nel corso degli anni, il livello di consenso su una nazione si è poi sempre più orientato e focalizzato sul suo grado di sviluppo delle istituzioni e dello stato di diritto, sul livello raggiunto in campo tecnologico, della formazione e della crescita economica: più forte insomma si dimostrerà una nazione nel campo dei Soft Power e maggiore sarà la sua abilità nell’attrarre nella propria orbita investimenti, servizi e mercati.

Ogni anno la società di consulenza Brand Finance valuta la capacità attrattiva delle varie nazioni, pubblicando la più accurata e ampia ricerca sulla percezione dei Paesi come Brand e sulla crescita dei loro Soft Power. Una classifica insomma dei paesi ‘più fighi’ o più ‘cool’ (per dirla con slang giovanile) a livello internazionale.

E questo studio considera un’ampia gamma di criteri, valutando anche settori molto diversi tra di loro.

Li cito per importanza: familiarità, reputazione, influenza, capacità di business, forza dell’economia, presenza di marchi mondiali, numero di leader riconosciuti, buon governo, bassa corruzione, sicurezza, relazioni internazionali, influenza nell’arte e nella cultura, rispetto del pianeta, facilità di comunicazione, media influenti, leader comunità scientifica, livello tecnologico raggiunto, educazione, futuro sostenibile, investimenti nel green. Mixando le varie classifiche, emerge lampante il primato degli USA seguiti da Regno Unito, Germania, Giappone, Cina, Francia, Canada, Svizzera e Italia (suvvia, non siamo poi così malaccio). Ma fino a qui non penso che ci siano grandi sorprese.

Mi soffermo invece sulla decima posizione, in cui si colloca un rappresentante di un’area in forte ascesa, su cui converrà spendere il prossimo approfondimento di Nuvole e Mercati: gli Emirati Arabi, unici (per ora) rappresentanti del mondo arabo.

Una zona (quella del Golfo saudita) composta da Arabia Saudita, Emirati Arabi, Oman, Qatar, Bahrein e Kuwait e il cui prodotto lordo aggregato ha già un peso assoluto nell’ economia mondiale, ma che, seppur svantaggiato da un precario stato di diritto (per essere diplomatici…), sta scrivendo una pagina del tutto innovativo di soft power a livello mondiale.

Mi limito a dare qualche indizio e mi ricollego all’incipit di partenza: siamo tutti tifosi di qualcosa. E i rappresentanti del Golfo Saudita sembrerebbe che l’abbiano interpretato alla lettera, comprando per quattro (almeno per loro) miseri spiccioli la passione sportiva di una intera popolazione occidentale…

Ma siamo solo agli inizi…  Non ci meravigliamo nemmeno più che le finali di qualche torneo nazionale delle maggiori leghe calcistiche europee vengano giocate in stadi vuoti sauditi, o che la stagione di Formula 1 inizi nel parziale disinteresse su circuiti semi sconosciuti, o che alcuni dei maggiori collezionisti d’arte ed eventi artistici internazionali siano ormai prerogativa di quell’area. Fa tutto parte di una ben studiata strategia di soft power. Se darà i suoi frutti lo vedremo nei prossimi anni. Intanto, converrà approfondirne gli effetti…

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