A che punto è la notte? si sono chiesti per settimane gli operatori dell’arte man mano che si avvicinava Art Basel (11-16 giugno), la principale fiera d’arte al mondo e il momento dell’anno in cui è più facile registrare in diretta la temperatura del mercato. Dopo il generale raffreddamento del settore registrato negli ultimi mesi — con un sensibile rallentamento delle compravendite in galleria e con alcune recenti aste definite da più voci come “disastrose” — tutti guardavano alla fiera di Basilea come l’attimo in cui capire se la notte era destinata a farsi ancora più buia o se al contrario fosse possibile intravedere le prime luci dell’alba. E in un primo momento tutto lasciava intendere che lo scenario più plausibile fosse il secondo, il più positivo. Martedì sera, infatti, alla chiusura del primo dei giorni di anteprima dedicato ai top collectors, circolavano voci, rapidamente riprese dalla stampa di settore, di vendite importanti (tra tutte quella di un dipinto di Joan Mitchell del 1990, Sunflowers, presentato da David Zwirner e ceduto per una cifra intorno ai 20 milioni di dollari). Vendite a sei e sette cifre hanno continuato ad essere annunciate per tutto il corso della giornata successiva: 16 milioni di dollari per un Arshile Gorky (Untitled (Gray Drawing (Pastoral)), 1946–1947) da Hauser & Wirth, 6.75 milioni di dollari per Julie Mehretu (Untitled 2, 1999) da White Cube, 3.85 milioni di dollari per un bellissimo Robert Rauschenberg (Market Altar / ROCI MEXICO, 1985) da Thaddaeus Ropac, solo per citarne alcuni. Oltre alle cifre venivano riportate anche un discreto numero di transazioni, con numerose gallerie che hanno comunicato ai media una dozzina o più di vendite il giorno dell’inaugurazione (anche se è opportuno precisare che non essendoci possibilità di verificare le transizioni ogni numero è da prendere sulla fiducia, nella consapevolezza che i galleristi tendano a essere moderatamente ottimisti quando parlano con la stampa di settore). A rafforzare l’idea che le prime ore della fiera fossero incoraggianti ha contribuito anche un’insolita dichiarazione alla stampa da parte di Iwan Wirth, presidente di Hauser & Wirth, che recitava: “Nonostante il ‘doom porn’ che attualmente circola nella stampa artistica e tra gli addetti ai lavori, siamo molto fiduciosi nella resilienza del mercato dell’arte e il primo giorno di Art Basel ha confermato la nostra prospettiva. Il vantaggio del ritorno del mercato a un ritmo più umano è che i collezionisti internazionali più esigenti si stanno impegnando qui e ora per ottenere il meglio del meglio.” In molti hanno letto il buon avvio come una naturale risposta al ridimensionamento delle case d’asta e alla tradizionale alternanza che vede le vendite oscillare ciclicamente tra transazioni private e aste pubbliche. I prezzi delle opere nel primo mercato — nonostante la diffusa preoccupazione che possano essere diventati troppo alti — sono rimasti stabili o sono calati, e in questo scenario spesso è più facile per acquirenti e venditori effettuare transazioni per tramite delle gallerie (mentre quando il mercato è in crescita le opere vanno più velocemente in asta). Tuttavia, l’enfasi sulle vendite di grandi dimensioni ha solo in parte distolto l’attenzione dalle sempre più impegnative sfide che le gallerie si trovano oggi ad affrontare sul fronte delle trattative. Con il passare dei giorni l’atmosfera si è fatta rapidamente meno vivace e frizzante. Molte gallerie hanno iniziato a parlare di un “rallentamento” della fiera, complice il fatto che ad essere acquistate per prime erano state opere che i collezionisti stavano già cercando e sulle quali le gallerie avevano comunque lavorato con largo anticipo (o lavori spesso già venduti nelle settimane antecedenti alla fiera). Per tutte le altre trattative i tempi si sono dimostrati sensibilmente più lunghi, con l’acquisto d’impulso diventato ormai una rarità, specialmente per le opere con price point più elevati. Come raccontato alla stampa da un senior partner di Paula Cooper, “tutti stiamo lavorando il doppio più duramente per generare delle vendite”. I panni sporchi si lavano in casa, ed è difficile che le gallerie si espongano troppo quando le cose non girano al meglio. Tuttavia, muovendosi tra gli stand di Art Basel al terzo giorno della fiera era difficile non leggere una moderata preoccupazione sul volto di molti galleristi (ancora di più quando ci si spostava nelle fiere parallele, come ad esempio Liste, la manifestazione dedicata alle gallerie anagraficamente più giovani o emergenti, dove l’atmosfera era sensibilmente più cupa). A onor del vero, anche molte delle fiere che hanno preceduto Art Basel in questa prima metà del 2024 — inclusa miart, la fiera d’arte moderna e contemporanea organizzata da Fiera Milano, che dirigo da quattro anni — hanno fatto registrare trend simili. Anche ad aprile, la tradizionale finestra della manifestazione milanese, era infatti tangibile un grande entusiasmo il primo giorno di apertura, quello dedicato a VIP e selezionati collezionisti, con una flessione delle compravendite — e, di conseguenza, dell’umore — al trascorrere dei giorni. Interessante però riscontrare come molte gallerie con cui ho avuto la possibilità di confrontarmi proprio a Basilea abbiano confermato di aver chiuso trattative aperte in occasione miart solo a inizio giugno, a quasi due mesi di distanza dalla fiera, a testimonianza dell’attuale prudenza e rilassatezza del collezionismo. Se un tempo la cautela nel mercato dell’arte era l’eccezione, oggi possiamo considerarla quasi la norma. Parlando con gli addetti ai lavori, molti insistono sul fatto che il ritmo più lento abbia avuto come contraltare positivo un impegno più profondo, conversazioni più ponderate e legami più forti tra galleristi, artisti, collezionisti e curatori. Ma inevitabilmente questa lentezza genera a sua volta insicurezza, in quanto è sempre più complicato per una galleria pianificare con anticipo i propri investimenti. A fatti compiuti, questa Basilea non sembra comunque così diversa da quella del 2023 o dell’anno prima, e se consideriamo Art Basel un barometro della salute del mercato dell’arte, gli operatori del settore posono tirare un sospiro di sollievo per aver superato indenni o quasi l’ennesimo stress test: la notte non è buia come qualcuno temeva, anche se il sorgere del sole è ancora lontano. Resta tuttavia evidente che le fiere d’arte, da Art Basel a miart, non possono ignorare i mutamenti che stanno subendo anche solo le abitudini di acquisto. La risposta più scontata, ma anche più puntuale, a questa mutazione è senz’altro cercare di allargare il proprio pubblico di riferimento. È in tal senso che va letto il sempre maggior impegno di Fiera Milano nel costruire e far crescere — in misura e consapevolezza — una nuova classe di collezionisti, stimolando una domanda di arte ancora inespressa. Oltre a spronare la curiosità dei visitatori “tradizionali”, ad esempio la popolazione già solita frequentare miart, è sempre più fondamentale per una fiera allargare il proprio bacino di fruizione potenziale, includendovi comunità con alta capacità di spesa ma al momento meno partecipi, attraverso iniziative volte a comunicare come il collezionismo sia prima di tutto un esercizio di responsabilità. Chi compra arte seriamente deve farlo non solo per soddisfare un proprio desiderio personale ma anche con la consapevolezza di star supportando un sistema — quello delle gallerie, e di conseguenza degli artisti — che in questo momento storico ha bisogno più che mai di nuove energie e risorse per continuare a crescere in modo sano. Introdurre questi concetti in potenziali nuovi collezionisti non è banale, in quanto i meccanismi che muovono e regolano il mercato dell’arte sono, per loro natura, intrinsecamente opachi e stanno diventando sempre meno intellegibili negli anni post-Covid. Come ha dichiarato a The Art Newspaper Dominique Lévy, cofondatrice di Lévy Gorvy Dayan, in occasione di Art Basel, “Ciò che sta accadendo nel mercato dell’arte è difficile da descrivere, e ancor più difficile da decifrare. Il mondo ha dimenticato la parola ‘sfumatura’. Dal mercato dell’arte al mercato azionario fino alla situazione politica, tutto sembra essere un estremo o l’altro.” O è mezzanotte o è mezzogiorno, insomma. Tutto fa presagire però che dovremmo abituarci alle nuance e all’imprevedibilità del sole, senza scoraggiarci ma anche senza farci prendere troppo presto dall’entusiasmo, adattandoci e rispondendo a questo new normal con soluzioni concrete, nella speranza di trovare presto, per dirla con Battiato, “l’alba dentro l’imbrunire”.
Curatore, autore e manager culturale, vive e lavora tra Bergamo e Milano. Dal 2020 ricopre la carica di Direttore Artistico di miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano. Dal 2016 al 2020, è stato Direttore Artistico delle OGR – Officine Grandi Riparazioni di Torino, dove ha organizzato oltre 20 mostre e più di 70 concerti di artisti internazionali, oltre a numerose rassegne musicali e cinematografiche. Tra il 2017 e il 2018 è stato membro del Consiglio di Amministrazione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato e nel corso degli ultimi dieci anni ha curato numerose mostre in Italia e all’estero. È autore di diverse pubblicazioni e testi critici e dal 2020 insegna regolarmente presso la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e presso l’Accademia di Belle Arti G. Carrara – Politecnico delle Arti di Bergamo.