Maggio 2023

A tutto debito

Si era già approfondito nella scorsa puntata di come il BelPaese viva spericolatamente e da anni con un altissimo debito pubblico, seppur, allo stesso tempo, sia particolarmente virtuoso in termini di debito privato, occupando l’ambitissima ultima posizione nei Paesi dell’eurozona. Quando si parla di debito, è infatti bene distinguere tra debito pubblico e debito privato, il primo è riferito allo Stato, il secondo a famiglie e imprese: dalla somma di questi due settori, rileviamo il vero indebitamento totale dell’economia di un Paese e il reale senso di preoccupazione che ne dovrebbe derivare.

La fotografia che emerge dall’ultimo rapporto dell’ IIF (Institute of International Finance) sul debito globale al primo trimestre 2023 è piuttosto preoccupante e vanifica i progressi annunciati pochi mesi fa nel rapporto di fine anno.

La fredda cronaca: l’ammontare complessivo del debito contratto nel mondo da Stati, imprese, banche e famiglie ha superato i 300.000 miliardi di $ (il record di sempre è a 304.900 miliardi di $), in crescita di 8.300 miliardi nel solo primo trimestre 2023. A soffiare sul fuoco del debito complessivo ci sarebbero prevalentemente i Paesi emergenti per la prima volta nella storia sopra i 100mila miliardi.

Quanto dobbiamo preoccuparci? I fronti di rischio ci sono e sono molteplici. Una buona parte di questo indebitamento è piuttosto recente: nel 2020 e nel 2021 per affrontare l’emergenza pandemica i Paesi hanno fatto ampio ricorso alle politiche fiscali. Ma anche le restrittive politiche monetarie delle Banche centrali stanno complicando lo scenario. L’accesso al credito si fa sempre più difficile, ma le famiglie consumatrici, soprattutto quelle americane ed europee, non intendono cambiare il loro tenore di vita, (almeno così sembrerebbe per ora), scatenando di fatto un corto circuito pericolosissimo: si indebitano di più, non calano i consumi, l’inflazione rimane alta e le banche centrali sono costrette a “rincorrere” la situazione, con continui rialzi dei tassi. E le prime avvisaglie di tensione si sono già parzialmente verificate con la crisi delle banche regionali americane.

Ci sono però anche altri rischi che aumentano il livello di guardia: l’invecchiamento della popolazione, l’aumento dei costi sanitari e le notevoli lacune nei finanziamenti per il climate change continuano a mettere sotto pressione i bilanci pubblici di tutte le principali economie mature.

In più, per non farci mancare nulla, il fragilissimo contesto geopolitico ha costretto i maggiori Paesi occidentali ad uno stanziamento extra in termini di spese per la difesa, che ovviamente gravano sul debito pubblico.

Anche la stabilizzazione del rapporto debito globale su Pil mondiale (ad oggi attorno al 335%) non induce all’ottimismo: l’esplosione dell’inflazione ha di fatto gonfiato il valore nominale del PIL e quindi ridotto automaticamente il rapporto. Senza questo livello di inflazione così alta, per dirla in parole povere, sarebbe molto più in accelerazione. (Per carità, il rapporto a marzo 2021 era anche arrivato al 361%, ma depurato, appunto dell’effetto inflazione).

È dunque un epilogo mesto ad attenderci? Dipende. Rispetto alla grande crisi del 2008, il rafforzamento del sistema creditizio è decisamente evidente e più rassicurante. Concentrandosi solo sugli USA ad esempio (da dove poi tutto partì…), le istituzioni finanziarie americane rappresentano un debito pari al 78% del Pil, molto inferiore al livello del 110% della crisi del 2007-2008. E questo, come detto, è un ottimo punto di partenza. Ma temo che ancora una volta la risposta dovrà arrivare proprio e ancora dagli USA, dove la recente apertura dell’amministrazione democratica per trovare soluzioni condivise con l’opposizione sul tetto al debito pubblico, fa pensare che, parafrasando Flaiano, la situazione è davvero grave, ma anche seria (semicit.)

Mariolina Bassetti- Riflessioni sul mercato dell’arte

Si può parlare di un anno straordinario del mercato dell’arte internazionale: il 2022 è stato infatti il migliore nella storia delle grandi case d’asta internazionali. Nello specifico, Christie’s ha raggiunto 8,4 miliardi di dollari di ricavato complessivo, divenendo la casa d’asta con il record assoluto per volumi di vendita. Il tutto è avvenuto in un anno tutt’altro che semplice, con una guerra in corso e una situazione globale di semi-uscita dal COVID, ma alcuni elementi hanno consentito, in particolare, di registrare questi grandi risultati. In primis la resistenza del mercato dell’arte e soprattutto della qualità, ben dimostrata dal fatto che, come sempre succede, nel momento in cui la borsa ha iniziato a scendere il mercato dell’arte ha registrato andamenti inversamente proporzionali, continuando a crescere. Altro elemento di successo è stata la disponibilità di meravigliose collezioni private in vendita. Le collezioni hanno grande successo perché vengono legate alla storia del personaggio che le ha costruite, si può creare una narrativa sulla storia della collezione stessa, con grande ritorno in termini di marketing. I collezionisti, inoltre, amano acquistare oggetti appartenuti a personaggi noti, che hanno impresso il proprio gusto sugli oggetti stessi, confermandone la qualità. L’appartenenza ad un personaggio noto influisce sui risultati di vendita delle collezioni, ma anche di singoli oggetti in cataloghi misti, nonché sull’attenzione del pubblico. La vendita record della Collezione di Paul Allen, ad esempio, battuta per 1 miliardo e 620 milioni di dollari è stata un vero e proprio evento internazionale, il cui ricavato è stato devoluto in beneficenza e ha registrato non soltanto il 100% di venduto, ma anche grandi risultati da un punto di vista mediatico, rappresentando un episodio di grande qualità culturale. Nel periodo dell’esposizione si registravano davanti al Rockefeller Center code di persone non tanto interessate ad acquistare, ma quanto più a vedere opere di livello museale, aspettando ore per poter entrare. Ci sono stati diversi casi di aste in grado di generare questa attrazione, e questa aspettativa, e in cui gli acquirenti amano comprare qualcosa per cui c’è stata grande attesa. Questo vale soprattutto in America, dove la storia culturale è diversa e soprattutto ha radici meno antiche di quella europea. In America si registra infatti grande fanatismo per oggetti da collezione che difficilmente rientrano nelle corde del collezionismo europeo, come i pantaloncini o gli accappatoi di Cassius Clay venduti per centinaia di migliaia di dollari. La collezione mitizza gli oggetti e storicizza l’intera asta, dando maggiore incisività alla vendita. Da un punto di vista geografico, invece, sembrerebbe confermarsi il rafforzamento di Parigi nella scacchiera del mercato internazionale. Io credo molto in Parigi, credo che sia il futuro dell’Europa e sono una delle più grandi fautrici dell’importanza di Parigi in questo momento. L’Inghilterra, con la Brexit, si è un po’ auto-esclusa da un libero mercato senza dazi, con conseguenze importanti nel mondo dell’arte, poiché per un europeo importare le opere dall’Inghilterra è diventato molto costoso. La scelta di portare la nostra asta Thinking Italian, di arte italiana, a Parigi, è dettata prevalentemente da un aspetto economico, perché più della metà degli acquirenti registrati a questa asta ha provenienza europea. La scelta di Parigi è dettata anche da una bassa aliquota IVA, pari al 5,5% in Francia, contro per esempio al 10% in Italia, che rimane la aliquota più alta in Europa. Queste percentuali determinano differenze sostanziali nei prezzi che complessivamente dovranno essere pagati dal compratore. Inoltre, c’è anche un fattore ulteriore: noi italiani siamo sicuramente più vicini, culturalmente, alla Francia; e la nostra arte è sicuramente più affine a quella delle avanguardie francesi. Infine, c’è un ultimo elemento determinante: siamo molto più vicini ad una fiera come Art Basel che ad una fiera come Frieze a Londra, che è molto più contemporanea. Con l’introduzione di Art Basel Paris+ a Parigi, mi è sembrato che ci fossero elementi che combaciassero e che spingessero a portare la nostra asta di arte Italiana a Parigi. Ed è stata una prova di grande successo. Abbiamo registrato un grande entusiasmo, grande collaborazione dal team francese e notevoli semplificazioni nelle esportazioni e importazioni di opere. Se i nostri collezionisti italiani sono più attratti da Parigi, trovo altresì che l’arte contemporanea rimarrà sicuramente a Londra, e l’arte moderna sarà sempre più focalizzata a Parigi. Inoltre, l’arte italiana è ancora vista come arte elitaria, origine dell’arte degli altri paesi. È molto raffinata e selettiva, non riusciremo mai ad arrivare ad una globalizzazione della proposta a Milano, ma continuiamo a convogliare l’interesse di molti collezionisti sofisticati. Per concludere e in generale, penso che il 2023 possa esser un anno di transizione per il mercato dell’arte: siamo ancora in un momento molto delicato, con un contesto internazionale ferito da una guerra che va ormai avanti da un anno. Difficilmente sarà un anno di esplosione, ma penso che manterrà i buoni livelli dell’anno precedente. È bene tuttavia sottolineare che tutto dipenderà in parte anche dalle collezioni che potranno giungere sul mercato, elemento davvero imprevedibile. Le nostre previsioni sono sempre abbastanza soggettive e relative, ma è un lavoro splendido anche per questo: ogni giorno può succedere qualcosa di diverso che ci cambia la stagione.

 

 

Laurea in letteratura francese presso l’Università la Sapienza di Roma. Inizia il suo percorso all’interno di Christie’s nel 1987, diventando nel 1995 la Responsabile italiana del Dipartimento di Arte Moderna e Contemporanea. E’ alla guida dell’ ”Italian Sale”, poi “Thinking Italian”, l’unico appuntamento annuale a livello internazionale dedicato all’arte italiana del XX secolo, fin dalla sua nascita nel 2000. Nel 2015 l’Italian Sale ha raggiunto il record di vendite, realizzando £42,200,000 e proclamando Christie’s la nuova leader di questo segmento di mercato. Ad oggi è il record per un’asta dedicata interamente all’arte italiana. Nel 2011, in aggiunta alla precedente carica di International Director del dipartimento di Post-War & Contemporary Art, è stata nominata presidente di Christie’s Italy.  Nel dicembre del 2018 le è stata assegnata la carica di Chairman of Continental Europe per il dipartimento di  Post-War and Contemporary Art, guidando l’Europa Continentale e lavorando per elaborare una strategia che comprendesse un piano di crescita del business, l’acquisizione di nuovi clienti, la formazione e l’assunzione di nuovi talenti all’interno del team di Post-War & Contemporary Art. In oltre 30 anni di carriera all’interno di Christie’s, ha curato molti memorabili capolavori e inestimabili collezioni grazie alla sua capacità di saper instaurare relazioni solide con i suoi clienti, all’elaborazione di strategie efficaci e al lavoro di squadra. Anno dopo anno la sua figura è diventata fondamentale nella curatela e nel consolidamento dell’arte italiana nel mondo.

Italia una Repubblica fondata sul debito pubblico

Ricordo fin dai tempi dell’Università l’espressione tra il serioso e lo smarrito di un mio stimato professore di scienze delle finanze che ci spiegava il rapporto tra debito pubblico e pil.

Già allora il debito era nettamente superiore al PIL e ricordo la sua fronte corrugata nell’illustrarci le modalità con cui il nostro Paese sarebbe dovuto rientrare nei limiti richiesti dalla Unione Europea. Nulla di quanto allora spiegato (o sperato) è mai accaduto.

La faccio più semplice: alla fine della 2° guerra mondiale, la spesa pubblica italiana era equivalente agli odierni 20 miliardi di euro. Oggi è di circa mille miliardi di euro. Non ci vuole un corso universitario per comprendere che è cresciuta di 50 volte in 77 anni. Alla stessa stregua, il nostro PIL era equivalente a circa 150 miliardi di euro nel 1945 ed oggi vale circa 1.900 miliardi di euro. Il rapporto di crescita è questa volta di 12,5 volte. E già qui qualcosa dovrebbe seriamente spaventare.

Qualcuno potrebbe obiettare che siamo in buona compagnia. Certo. Secondo l’ultima comunicazione Eurostat (gennaio 2023), il rapporto tra debito pubblico su Pil nell’area UE si è attestato al 93% alla fine del terzo trimestre 2022, rispetto al 94,2% del secondo trimestre.  La diminuzione è dovuta al maggior aumento del PIL rispetto alla crescita del debito. In Italia il debito ora è al 147,3%, (in miglioramento dal 150,4% del secondo trimestre). Tra gli altri Paesi, i rapporti più alti sono: Grecia (178,2%), Portogallo (120,1%), Spagna (115,6%), Francia (113,4%) e Belgio (106,3%).

Lo dico in altri termini: l’Italia ha un debito che è una volta e mezza superiore ai suoi ricavi.

Tuttavia, nel caso dell’Italia bisogna ricordarsi che questa crescita del debito pubblico non è mai stata graduale e costante; anzi, abbiamo avuto momenti di splendore (il boom economico degli anni ’50- ’60) e momenti di rigore (i primi anni ’90). Ma una cosa non siamo mai riusciti a fare: un bilancio in pareggio. In poche parole, non abbiamo mai smesso di indebitarci.

Oggi si discute dei fondi del PNRR, dove, è opportuno ricordarlo, abbiamo preso sia i trasferimenti (grants), che gli impieghi (loans) dall’Europa. I primi sono a titolo di solidarietà, i secondi sono da ripagare, con gli interessi.  Nel frattempo, l’inflazione, scatenata da questa assurda guerra è diventata sempre più pugnace, con l’inevitabile ricorso da parte della BCE a una politica sempre più restrittiva e continui aumenti dei tassi d’interesse. Più salgono i tassi e più aumenta il costo per rifinanziare il nostro debito.

E in questo contesto così minato, suonano beffarde le parole di Moody’s che avrebbe invitato a sostituire i Btp italiani con i Bonos spagnoli. Una concatenazione di effetti che potrebbe tramortire qualunque Paese. Ripartiamo da qui allora. Mi piace essere positivo e ricordare come tutte le crisi finanziarie abbiano poi sempre giovato all’Italia e all’Europa. Così è stato nel ’92 con la crisi dello SME che accelerò l’unificazione monetaria e poi ancora nel 2008 con i mutui subprime e nel 2011 crisi dei debiti sovrani che portarono a nuovi meccanismi di solidarietà e garanzia tra Stati e una riforma del sistema bancario internazionale, così come la pandemia del 2020 ha introdotto in Europa per la prima volta il debito comune.

Far cadere l’Italia è una strategia piuttosto miope, ma invitare l’Italia a una spesa pubblica più oculata è sacrosanto e legittimo. La politica dovrà allora ragionare per priorità e individuare quali sono i programmi da finanziare e quanto poter (o dover) coinvolgere il privato nella loro attuazione.

Ricorrere indistintamente al decifit pubblico è una leva che va utilizzata con dovuta proprietà, il rischio di perdere credibilità con chi sottoscrive il nostro debito inviterebbe per lo meno a una maggior prudenza e responsabilità.

Siamo davvero disposti a rischiare così tanto?

Clarice Pecori Giraldi- Il cambio di passo necessario nel mondo dell’arte e della cultura italiana

Si sente spesso parlare di tutela della cultura e dell’arte in Italia e spesso si ha la sensazione che questi nobili intendimenti non siano affrontati a livello di sistema, ma siano lasciati all’iniziativa privata e al mecenatismo, (che per fortuna è diffuso) di illuminati imprenditori collezionisti che intendono restituire qualcosa al Paese che ne ha determinato il successo.

Anche a tale scopo si è costituito sotto forma di Associazione, il Gruppo Apollo, con l’obiettivo di valorizzare e promuovere il patrimonio culturale italiano, incentivando e tutelando il collezionismo e la fruizione dell’arte in Italia e dell’arte italiana all’estero. Si è sentita l’esigenza quindi di sostenere la filiera dell’arte nell’interlocuzione con le istituzioni, con l’obiettivo di promuovere l’allineamento delle norme nazionali a quelle vigenti all’interno della U.E, con particolare attenzione al tema della circolazione delle opere d’arte.

Quello che abbiamo notato è un ritardo del nostro Paese nei confronti di altre nazioni più virtuose in questo ambito. Penso ad esempio alla Francia, che ha guadagnato moltissimo dalla Brexit, cogliendo le opportunità derivanti dall’impossibilità per Londra di continuare a beneficiare del regime di libera circolazione. Il vantaggio della Francia è che ha una normativa più favorevole al collezionista, con una legislazione pragmatica e una tassazione agevolata con previsione di bonus per gli artisti giovani ed altre iniziative a supporto del settore.

Siamo anche noi ad un bivio della nostra storia e mai come ora, dobbiamo avere il coraggio di promuovere una riforma strutturale che sia in grado di colmare il disallineamento in essere con le normative degli altri Paesi europei in materia di circolazione delle opere d’arte, rivedere il livello di tassazione Iva, rendere stabili ed ampliare i benefici introdotti con l’Art Bonus. Senza dimenticare il continuo impegno sul fronte della formazione e della digitalizzazione.

E questi sono proprio alcuni dei punti programmatici della Associazione Gruppo Apollo, che è diventato il punto di convergenza dei vari interessi degli attori che animano il mercato dell’arte in Italia. Abbiamo un obiettivo chiaro: mettere a disposizione del decisore pubblico, in primis del Ministero della Cultura, l’enorme bagaglio di conoscenza ed esperienza internazionale dell’intera filiera, in materia di valorizzazione e tutela del patrimonio artistico e culturale.

Per questo motivo, fanno parte dell’Associazione, case d’asta italiane e internazionali, le associazioni e i galleristi di arte moderna e contemporanea, i collezionisti, i mercanti di arte antica, gli operatori del mercato numismatico e le imprese della logistica. Ma anche rappresentanti di aziende e singoli individui, (tra cui la sottoscritta), hanno già aderito a questo progetto, che vuole ripensare il modo di fare cultura e sostenerla in questo Paese.

Il nostro desiderio è che il mercato italiano dell’arte possa riacquistare un ruolo di centralità e recuperare il gap concorrenziale a livello europeo. La Brexit ha posto sicuramente un ulteriore elemento di sfida, in un contesto che vedeva già la legislazione italiana sfavorevole al mondo delle imprese e del collezionismo. Nell’ottica di indicare agli interlocutori istituzionali delle iniziative precise in grado di incentivare la vitalità del mercato, come Associazione abbiamo stilato 11 punti prioritari. Tra questi, l’estensione anche in Italia di tutte le soglie di valore europee per cui si rendono necessarie licenze di esportazione, l’introduzione di termini perentori per le procedure riguardanti l’esportazione, l’introduzione di un obbligo di acquisto in caso di diniego (come avviene già in Francia e UK) e di un obbligo di indennizzo in caso di notifica. Sul fronte fiscale, inoltre, il rafforzamento degli incentivi al mecenatismo, la diminuzione dell’IVA sulle importazioni e sulle transazioni, un tax credit per l’acquisto opere di artisti viventi volto a supportare l’arte contemporanea e infine, un database pubblicamente accessibile per le opere notificate.

I contatti con i rappresentati del Ministero, delle sovrintendenze, e i membri del parlamento sono continui, al fine di favorire il corretto scambio di informazioni e la valorizzazione delle istanze di chi opera sul mercato. Incontri informali, ma anche occasioni pubbliche, quali audizioni presso il Parlamento e convegni, come gli eventi di Roma e Milano dello scorso anno, in cui tra i molti ospiti, è intervenuto anche lo stesso Ministro della Cultura. Ma siamo consapevoli che la promozione della cultura in Italia necessita il coinvolgimento di molti altri ministeri e molti altri attori istituzionali. La cosa non mi spaventa.

Come Associazione ci impegneremo per creare un contesto più favorevole per tutti gli attori del settore, inclusi i collezionisti, amanti e appassionati d’arte che magari hanno speso la propria vita a creare una collezione ma divengono talmente “disamorati” dello Stato, che difficilmente faranno donazioni a favore dei musei italiani, o fonderanno le “Galleria Borghese” del Ventunesimo secolo. Migliorare la normativa sulla circolazione delle opere d’arte avrebbe quindi benefici per tutti, anche per chi non dovesse partecipare fattivamente a questo momento di transizione, ma fruire solo degli (auspicati) effetti.

 

Si occupa di arte da sempre. Inizia nel 1984 da Sotheby’s. Passa poi a Christie’s e nel 1998 entra a Prada come responsabile della comunicazione worldwide. Torna a Christie’s nel 2006 come amministratore delegato della sede italiana.
Si trasferisce nella sede di Londra per avviare il nuovo dipartimento delle private sales. Nel 2016 torna in Italia e crea la sua società di Art Collection Management: la “Cpg Art Advisory”. Si tratta di un’attività indipendente, che segue la gestione strategica e tattica di una collezione, un compito a medio/lungo termine che si basa sulla fiducia e sulla competenza e che può comprendere dall’inventario al passaggio generazionale, a seconda delle necessità.
Clarice siede nel CdA del FAI e della Fondazione San Patrignano, mettendo a disposizione le sue competenze per attività filantropiche. E’ anche vice presidente del Gruppo Apollo.
È sposata con due figli. L’arte è una passione che riempie anche il suo tempo libero, assieme al giardinaggio e alla lettura.