Ottobre 2021

Lo strabismo sociale del Covid

Debelleremo il Covid a livello internazionale, ma gli strascichi e le cicatrici che ci lascerà, rimarranno visibili per lunghi anni e comporteranno un aumento dei divari sociali già esistenti tra economie avanzate e resto del mondo. Questo in estrema sintesi le conclusioni a cui perviene il FMI nel suo ultimo rapporto della scorsa settimana. Ma andiamo con ordine con qualche numero.

La variante Delta sta “azzoppando la ripresa” e impedisce ancora un “ritorno alla normalità”, causando anche una marginale correzione delle previsioni di crescita del Pil globale per il 2021 (dal 6,0% stimato a luglio, al 5,9% di ora), mentre resta confermata la stima del +4,9% per il 2022. La ripresa globale continuerà ad essere guidata dagli USA (+6% a fine anno, rispetto al precedente +7%, per i timori inflazionistici) e dalla Cina (+8% stabile). L’Eurozona migliora più del previsto, trainata non tanto dalla Germania (in calo a un “modesto” +3,1%, ma dalla Francia (+6,3%) e (rullo di tamburi…) dall’Italia (+5,8%). Bene anche il Regno Unito (+ 6,8%) e l’India tra i paesi emergenti (+9,5%).

E questo è quello che dicono “le stime numeriche”. “Le stime d’impatto sociale” sono però più preoccupanti di qualsiasi scostamento numerico al ribasso. Perché se le economie più sviluppate potranno sperare (in termini di PIL) in un ritorno ai livelli pre-Covid nel 2022 e superarli di slancio già nel 2024, nei Paesi emergenti (e peggio in quelli a basso reddito) nel 2024 il loro PIL sarà più basso dal -5,5% fino al -7,0% delle stime annunciate in tempi pre-Covid. La differenza sostanziale tra questi due mondi dipende dall’accesso alle politiche di vaccinazione di massa della popolazione: nelle economie sviluppate (in media) il 60% è stato già vaccinato, nei Paesi più poveri questa media si inabissa al 5%, con tutti i costi sanitari e sociali che una pandemia, ancora nel vivo, comporta.

La fiammata inflattiva sulle materie prime e sui prezzi in generale comporterà soprattutto nei Paesi a basso reddito, un disordinato rialzo delle derrate alimentari, con un esponenziale rischio di disordini sociali e con tutte le ripercussioni di carattere immigratorio che potrebbero derivarne. L’Fmi stima che circa 65-75 milioni di persone in più entreranno in condizioni di estrema povertà già nel 2021 (una popolazione numericamente superiore a quella italiana, per intenderci).

Conviene allora (a tutti) che i Paesi più ricchi possano diffondere il più possibile i vaccini a livello globale; comprando massicce dosi da distribuire nelle economie più povere. Parafrasando un vecchio slogan in voga qualche tempo fa, è forse davvero ora di “vaccinarli a casa loro”: in fondo, questi Paesi non stanno chiedendo di meglio.

Michele d’Apolito- Crisi e risanamento: si salvi chi può (essere salvato)

L’ottimismo della volontà è una grande virtù, e chi fa impresa ne è solitamente un portatore sano. Capita spesso, tuttavia, che il pessimismo della ragione sia un sentimento troppo sottovalutato dai nostri capitani d’impresa, che preferiscono “buttare la palla” in avanti di fronte a situazioni di difficoltà.

Eppure, l’esperienza insegna che ci sono segnali che vengono spesso drammaticamente ignorati, a volte per l’assenza di strumenti di monitoraggio, figli di un sottodimensionamento organizzativo tipico delle nostre PMI, a volte per l’eccessiva fiducia dell’imprenditore nel proprio istinto e nell’affezione cieca alla propria creatura, in assenza di una strategia di medio periodo.

Un dato di fatto è che tutte le crisi arrivano ad essere chiamate con il loro nome quando si è entrati ormai nella fase critica.

Una strada – quella dell’approccio ad un piano di ristrutturazione e risanamento – che viene spesso imboccata quando le casse sono già vuote a causa di una sopraggiunta tensione finanziaria, che può verificarsi anche con bilanci che chiudono in utile “apparente” e con un patrimonio positivo, ma che sotto la superficie nascondono pericolose magagne: clienti incagliati e non adeguatamente svalutati, magazzino a lenta rotazione, struttura dell’indebitamento non equilibrata rispetto alla natura degli investimenti fatti.

Spesso la “strozzatura” finanziaria diviene improvvisa ed ha effetti repentini sulla credibilità dell’impresa, cui fanno seguito atteggiamenti più o meno conflittuali ed ostruzionistici dei suoi stakeholders.

Ed allora, di fronte a difficoltà interne crescenti, si affacciano le prime frizioni con fornitori e banche, da cui normalmente si parte per la ricerca di un advisor che aiuti l’imprenditore a trovare una strategia di indirizzo del risanamento; un compito arduo, tanto più se si considera che il professionista dovrà affrontare quello che la dottrina microeconomica definisce il “moral hazard” dell’imprenditore, ovvero la ricerca – da parte di quest’ultimo – delle migliori soluzioni per sé, che gli consentano di mantenere il controllo, od ottenere la migliore alternativa possibile, non necessariamente coincidente con la soluzione ottimale per i suoi creditori.

Questo possibile conflitto tra interessi contrapposti può diventare forte al crescere delle difficoltà, spesso dirompenti con un intervento tardivo.

L’advisor – dal canto suo – dovrà comprendere rapidamente il contesto in cui si trova, verificare la fattibilità di un piano di risanamento e, laddove ritenga la crisi irreversibile, saper dire di no a prospettive fantasiose di recupero, che potranno comportare un’inerzia distruttiva ed anche una sua eventuale responsabilità diretta.

Come si possono allora anticipare certi segnali ed evitare le conseguenze spesso drammatiche di una disgregazione aziendale?

Da diversi anni il Legislatore promuove strumenti che dovrebbero favorire l’individuazione precoce dei primi indizi di difficoltà: si è andati progressivamente verso proposte che allontanavano i debitori dal Tribunale e “privatizzavano” sempre di più la gestione della crisi, incentivando a trovare accordi stragiudiziali, all’insegna di una spiccata autonomia di risoluzione tra l’impresa in crisi ed i suoi creditori.

E in questa direzione si è proseguito con l’introduzione del recente DL 118/2021 e dello strumento della composizione negoziata, che ha di fatto smontato l’impianto ideologico del nuovo Codice della crisi – basato sull’allerta attivata da soggetti terzi (collegio sindacale e creditori pubblici) – tornando ad attribuire al debitore un’autonomia decisionale nell’individuazione del momento di avvio del processo di risanamento.

Staremo a vedere se questi recenti correttivi sono adeguati ad affrontare il contesto competitivo attuale ed a salvaguardare la parte buona dell’economia.

Un sistema sano deve garantire la possibilità di salvataggio di un’entità aziendale che abbia concrete prospettive di recupero, ma anche saper isolare ed espellere dal mercato quegli operatori che sono dannosi per il contesto competitivo circostante, magari agevolandone la liquidazione e l’accesso a procedure giudiziali di recovery.

La disgregazione che fa seguito ad un’insolvenza è un fattore che non riguarda solo la singola realtà, ma impatta sui territori per la perdita di posti di lavoro, sulla finanza pubblica per la perdita di gettito, sul tessuto economico per le possibili contaminazioni che può lasciare nelle imprese che hanno interagito con l’entità in crisi.

Il punto di svolta per la prevenzione è certamente legato ad un salto culturale del mondo produttivo, che si sta in parte iniziando a verificare: implementazione di veri strumenti di monitoraggio del cash flow aziendale, apertura del capitale ai terzi per il potenziamento della struttura finanziaria, una generale propensione a considerare – certamente più che nel recente passato – forme aggregative per competere.

Ma non è sufficiente: il sistema legislativo deve rendere più conveniente per l’imprenditore chiudere un business che non funziona, piuttosto che lasciargli mille chances per tenere a galla il Titanic.

 

Laureato in economia e commercio, dottore commercialista, managing partner di Nexus S.t.p., società di consulenza in ambito societario, tributario, finanza straordinaria e restructuring. Ha ricoperto negli anni diversi incarichi di collegio sindacale di importanti società private ed enti pubblici. È specializzato nell’ambito della gestione della crisi d’impresa, collabora da diversi anni con Il Sole 24 Ore e partecipa in qualità di relatore a convegni specialistici sulla materia.

Davide Viziano-La difficile risalita del mercato immobiliare

Dopo anni di incertezze e disastri economici sembra proprio che la “sferzata” ricevuta in tutto il mondo con la pandemia abbia sortito effetti insperati di ripresa dell’economia.

La batosta anche psicologica causata dal Covid ha sconvolto regole e programmi di una economia ormai stagnante che si trascinava in un “tran tran” senza mai riuscire a rialzare la testa.

L’occasione del Covid è stata per il nostro Paese provvidenziale per due semplici motivi:

  • si è riscoperta l’essenzialità dei fattori importanti e l’assoluta necessità di porsi criticamente il problema di “cambiare vita”;
  • si è scoperta l’importanza di credibilità, capacità, serietà e non più conflittualità nel mondo della politica.

Questi due fattori   sono stati essenziali per ridare fiducia al Paese e far riprendere, con un ritmo fra i più veloci d’Europa, la nostra disastrata economia; per ora si tratta in maniera preponderante di effetti forse più psicologici che reali, anche se l’avvio è sembrato particolarmente positivo.

L’arrivo di Mario Draghi ed il superamento di una storica tragica conflittualità dei gruppi politici fra di loro, hanno certamente contribuito a migliorare il trend di evoluzione della nostra economia.

Naturalmente è solo l’inizio ed è assolutamente necessario proseguire lungo la strada virtuosa delle riforme alleggerendo il peso “mortale” della burocrazia ed incentivando la capacità del mondo pubblico per fare e soprattutto fare bene.

E’ una strada ancora lunga, abbastanza impervia ed in salita, ma è l’unica via che può permetterci di guardare al futuro con ottimismo.

Nell’ambito delle riforme essenziali per il Paese non va ovviamente dimenticata la riforma della giustizia sia civile che amministrativa, senza le quali non ci sono speranze di crescita e benessere.

Viene ora da domandarsi quali implicazioni abbiano tutti i ragionamenti fin qui fatti sul complesso mondo immobiliare e, più in generale, dell’edilizia, che da sempre svolgono un ruolo di forte accelerazione sulla crescita economica e sullo sviluppo.

In particolare, gli investimenti in infrastrutture e mobilità sostenibile creano un effetto moltiplicatore molto forte sul PIL del Paese. L’edilizia e l’immobiliare sono un “barometro” della economia reale del Paese ed oggi vi sono tutte le prerogative per una decisa tendenza al “bel tempo” del settore. Le recenti agevolazioni fiscali (sisma bonus, ecobonus, bonus facciate, etc.) hanno impresso una ulteriore accelerazione alla crescita del settore con un forte impulso al rinnovo del patrimonio edilizio esistente.

Tutto ciò, accompagnato ad un diverso approccio al modo di abitare causato dalla pandemia, ha provocato due fenomeni concomitanti: innanzitutto un rinnovato interesse all’acquisto di immobili fortemente agevolato dai livelli minimi raggiunti dai prezzi di talune fasce di immobili; in secondo luogo, sia in relazione al lavoro agile da casa, che in relazione alla didattica a distanza operata dalle scuole, sia infine alla ricerca di spazi abitativi sempre più grandi e sempre più salubri, ha avuto come effetto una importante crescita del numero delle compravendite, accompagnato parallelamente da rialzi, ancorchè timidi, dei prezzi di acquisto degli immobili.

Il mercato delle compravendite immobiliari è peraltro divenuto sempre più selettivo, privilegiando gli immobili di qualità, ancor meglio se dotati di giardino o spazi esterni: queste ultime tipologie di immobili sono state le prime ad invertire la decennale tendenza al ribasso dei prezzi, mostrando segni di ripresa del mercato.

Altro settore che ha mostrato una certa effervescenza è quello delle case unifamiliari in zone di campagna, meglio se vicine alle grandi città; si sta infatti riscoprendo un certo amore per la campagna, sia per la qualità dell’aria, che per la qualità dei cibi “naturali” che vi si consumano.

In conclusione le riflessioni post pandemia, il miglioramento del clima generale del Paese con un governo credibile e coeso, lasciano ben sperare per una ripresa del mondo dell’edilizia e dell’immobiliare peraltro con percorsi molto selettivi che privilegeranno sicuramente edifici di qualità, di elevata classe energetica, dotati di servizi efficienti e di spazi di sfogo esterni.

E’ presumibile che il fenomeno possa poi allargarsi a macchia d’olio coinvolgendo nei prossimi anni anche edifici con caratteristiche tipologiche di qualità un po’ inferiore che potranno però essere oggetto di importanti opere di riqualificazione, supportate da agevolazioni fiscali che certamente incentiveranno il mercato.

 

Genovese, dopo un percorso di studi classici, si è laureato in ingegneria civile. Numerose esperienze professionali a Londra e Parigi, nelle attività di engineering. Ha assunto la guida dell’attività imprenditoriale di famiglia nel 2011, attiva a Genova e sul territorio nazionale dal 1949, operando nella consulenza, nella progettazione e nella promozione edilizia. È Presidente della Consulta Permanente per l’Edilizia della Liguria, Presidente del Gruppo Ligure della UCID (Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti). Dal 2017 e vicepresidente Vicario della UCID Nazionale. All’attività professionale ha sempre affiancato una forte presenza nel mondo culturale, quale presidente del centro internazionale di cultura La Maona. Per anni è stato Presidente del Conservatorio Niccolò Paganini di Genova, è consigliere della Accademia Ligustica di belle Arti dal 2018. Nel dicembre del 2002 è diventato Presidente della società Genova 2004, che ha curato la realizzazione e l’organizzazione degli eventi per Genova Capitale della Cultura Europea. Dal 2011 è Presidente della Associazione degli Amici di Palazzo della Meridiana, associazione da sempre attenta alla promozione, organizzazione e diffusione della cultura. Dal 2020 è presidente dell’Advisory Board degli Ambasciatori di Genova nel Mondo

 

Il costo della transizione energetica ( 2 di 2)

La scorsa settimana si è parlato dei costi della transizione energetica e si è ribadito che i sacrosanti desiderata di riduzione dell’inquinamento avranno inevitabilmente un costo economico importante sulle nostre tasche.

Più prosaicamente e forse difettando di romanticismo: è bello immaginare un mondo ad emissioni zero, ma è un po’ utopico, le soluzioni adottate da qualsiasi potenza economica non saranno mai efficaci, se non prevedono un totale coinvolgimento in termini di tempo, sensibilizzazione e restrizioni economiche per la popolazione.

Qualche dato a sostegno. Entro il 2050 le maggiori potenze mondiali si sono impegnate a ridurre del 80%-95% il fabbisogno dei combustibili fossili (petrolio, carbone, gas). Ad oggi questi combustibili soddisfano ancora quattro quinti del totale fabbisogno energetico.

Il passaggio alle energie rinnovabili sarà di certo una rivoluzione e ammesso e non concesso che avvenga nei tempi prospettati, come tutte le rivoluzioni determinerà vincitori e vinti, soprattutto a livello industriale, con una serie di filiere produttive che tenderanno a scomparire.

E questo è un primo impatto di carattere sociale. Negli ultimi 15 anni, l’investimento globale nelle energie rinnovabili (solare ed eolico) è costato 3.800 miliardi di dollari circa, per coprire circa il 10%-15% del fabbisogno complessivo. Guardiamo solo in casa nostra: in Italia negli ultimi anni sono stati erogati numerosi sussidi (130 miliardi di euro) per la promozione delle rinnovabili, ma la riduzione delle emissioni di CO2 è stato solo del 20% circa. (Ultimi 10 anni). Ergo, per rispettare quanto scritto nel PNRR, dovremmo aumentare in maniera strepitosa il ritmo di inserimento di nuovi impianti di energia rinnovabile e il ritmo di riduzione di gas inquinanti.

Ci riusciremo? Per carità, dopo aver stravinto ogni competizione questa estate, è giusto non porci dei limiti, ma forse, l’unica possibilità per accelerare in maniera così clamorosa nel percorso prefissato è ridurre le polemiche sull’impatto paesaggistico degli impianti (sciùscià e sorbi no se peu.. per la traduzione chiedere a qualche ligure), o, meno utopisticamente, accettare forme energetiche alternative. Valutando anche il nucleare di nuova generazione.

Per finire, anche acquistare una auto elettrica non salva il pianeta e forse neppure la coscienza.

Il pianeta lo salveremo se e solo se rivedremo le nostre esigenze energetiche e le nostre abitudini di cattivi consumatori, anche quelle più scontate, come riciclare per bene i rifiuti, evitare gli sprechi alimentari e il consumo di acqua, ridurre o abolire diete carnivore etc etc: tutti altri impatti sociali che (speriamo) ci attendono a breve.

Questo non è un manifesto ambientalista. Ma quello che (a mio avviso) dovrebbero insegnarci subito a scuola. E non, come comune tendenza, che a spiegarci come salvare il pianeta, sia fatto da chi va a scuola per imparare (o almeno dovrebbe…).

Il Costo della Transizione energetica (1 di 2)

Abbiamo tutti ancora negli occhi le accuse (in parte fondate) di Greta Thunberg sulla scarsa attenzione all’ambiente e la provocazione del blablabla che ha rivolto ai “potenti” del Pianeta, durante l’ultimo Yoyth4Climate di Milano. Tema spinosissimo da affrontare, ne sono conscio, ma chi si occupa di economia dovrebbe (a mio avviso) cercare di spiegare che qualunque obiettivo si può raggiungere, ma sempre pagando un determinato prezzo e i cosiddetti “win win” sono situazioni ideali, quanto spesso distanti dalla realtà.

Andiamo on ordine: il mondo industriale sta cercando di coniugare sviluppo economico e transizione ecologica, ma una crisi di approvvigionamento energetico è esplosa a livello internazionale. L’epicentro di questo terremoto è ancora una volta la Cina, che ha un problema di sviluppo economico (e quindi un fabbisogno energetico) superiore alle altre potenze industriali, ma ha preso seriamente le direttive di riduzione dei gas serra. (Ad oggi i 2/3 del fabbisogno energetico in Cina è soddisfatto dal carbone).

Conseguenze? Acciaierie, fonderie di alluminio, cementifici e impianti metallurgici, in quanto energivori, sono stati tra i primi a rallentare o sospendere la loro produzione. Insomma: le industrie si fermano, le città spengono le luci, black-out estesi e prolungati colpiscono le famiglie cinesi.

Ma le conseguenze del rallentamento cinese si sentono già e si sentiranno presto ancora di più anche in Europa e in Usa.

Come? Dovendo limitare il consumo dei combustili fossili più impattanti in termini ambientali, ma in un contesto produttivo post pandemico estremamente sostenuto, crescono i prezzi per tutte le altre fonti energetiche, che si trasferiscono direttamente sul costo della produzione.

Il petrolio Brent ha superato 80 dollari al barile, il gas ha toccato un nuovo record storico, la Cina dovendo rifornirsi di gas liquefatto (gnl) lo prende dalla Russia, sottraendolo dunque all’Europa, che da mesi riceve forniture ridotte, provocando così un aggravio in termini di prezzo.

Non ci sono le rinnovabili? Certo, ma la loro produzione è ancora troppo ad intermittenza (eolico), ma in generale c’è ancora un problema di conservazione.

Procurarsi dunque il combustibile è diventato difficile per tutti e così cresce anche il prezzo del carbone (già.. il nemico giurato di Greta), oltre ai prezzi dei metalli, dell’acciaio e di tutte le altre materie prime in generale.

Con il paradosso che la Ue ha anche appena aumentato i costi per la produzione di CO2: tutti costi che si scaricheranno inevitabilmente a valle, in una spirale inflattiva molto pericolosa.

Ovviamente non c’è nessuna presunzione, (da parte mia), di voler suggerire strade alternative da percorrere, ma solo la necessità di ricordare che presto arriverà l’inverno e dunque la necessità di riscaldare abitazioni e luoghi di lavoro.

Speriamo che sia un inverno climaticamente mite, perché i primi freddi comporteranno inevitabilmente (e scongiurando scenari di razionamento del consumo energetico) bollette decisamente bollenti che ci toglieranno il respiro. Anche quello per un semplice blablabla.

(Continua la prossima settimana..).

Cesare Castelbarco Albani-Il settore della logistica nel processo di crescita del Paese

Il settore logistico è stato molto colpito dall’emergenza sanitaria e la pandemia ha interrotto un trend di crescita che durava negli anni: committenti e fornitori di servizi logistici hanno dovuto affrontare un repentino calo del fatturato non immediatamente compensato dalla ripresa post lock down.

La situazione creatasi a livello internazionale ha duramente impattato anche il contesto italiano, soprattutto con riferimento a specifici comparti della nostra economia produttiva, che ha visto di colpo un calo improvviso nella domanda.

Le imprese italiane della logistica hanno tuttavia saputo reagire positivamente all’emergenza, mostrando una resilienza del comparto fino ad ora sconosciuta e le criticità emerse sono diventati importanti aree di miglioramento per il futuro, che, mi auguro saranno prese in considerazione dal Governo del Paese.

Il trasporto di merci svolge infatti una funzione sempre più cruciale: è parte integrante del processo produttivo e della sua economia, soprattutto nella nostra, tradizionalmente votata alla trasformazione e all’export.

Dopo una fase iniziale di semi-paralisi, eccetto alcune nicchie legate al commercio elettronico, al food e al sanitario, la logistica è tornata al centro delle strategie aziendali: le risorse manageriali hanno saputo con prontezza definire task force per indirizzare i nuovi flussi, sistemi più evoluti di gestione del rischio sono stati introdotti, l’outsourcing ha normalizzato i punti di flesso delle capacità operative e sono stati riconfigurati gli hub di distribuzione, aprendo nuovi depositi e spostando personale da comparti più rallentatati a quelli più vivaci.

Guardando alla realtà genovese, si è tornati a una congestione dei noli marittimi e la necessità di creare volumi nella fase più acuta della pandemia ha consentito maggiori spazi di contrattazione anche con le compagnie aeree.

La crisi pandemica ha tuttavia messo a nudo alcune carenze del settore domestico e in particolar modo del tessuto ligure: i limiti riguardanti il trasporto intermodale che dovrà essere necessariamente potenziato.

Oggi le imprese della logistica italiana si trovano a fronteggiare la concorrenza straniera in un contesto economico sempre più internazionalizzato e con la necessità di fornire servizi sempre più taylor-made alla propria clientela.

Il fattore tempo diventa cruciale, non possiamo permetterci che una merce scaricata velocemente da una nave, non raggiunga altrettanto velocemente la destinazione finale per nostre carenze infrastrutturali. Il nostro Paese ha fondato il suo successo sul commercio e l’Italia in primis e Genova come maggior porto commerciale del Paese devono dotarsi di collegamenti innovativi che spostino velocemente merci, persone, idee e conoscenze.

Sono ottimista per natura e ritengo che l’avvicinamento di Genova a Milano attraverso idonee soluzioni intermodali comporterà maggiori vantaggi per tutti, sia in termini di costi, di qualità della vita e di opportunità per chi vorrà completare il percorso, o, forse è il caso di dire, per chi vorrà seguire la scia ormai tracciata..

 

Milanese, con lunga permanenza a Genova è Presidente di Prosper agenzia marittima.

Riveste numerose cariche, tra cui è Presidente di Banca Consulia ed è Consigliere d’amministrazione nelle seguenti Società: Registro Italiano navale, Aon Italia, Erixmar società di spedizioni internazionali

È stato già Presidente di Banca Carige (dal 2013 al 2016) e consigliere della stessa banca (dal 2007 al 2013), Presidente Sviluppo Genova (società per lo sviluppo e la promozione di Genova e Provincia dal 2000 al 2003); Presidente FI.L.S.E. spa (dal 2002 al 2005), Presidente di S.I.I.T Liguria (dal 2005 al 2006). È stato anche Consigliere ICBPI dal 2014 al 2015, Rimorchiatori Riuniti (dal 2003 al 20019), consigliere ABI e membro del comitato esecutivo ABI dal 2014 al 2016, Consigliere Banca Leonardo dal 2009 al 2012.

E’ stato anche membro della Giunta di Camera di Commercio di Genova dal 2015 al 2021.

E’ console Onorario del Granducato di Lussemburgo con competenza Regione Liguria.