Aprile 2024

Non è tutto debito ciò che luccica

Non è passato inosservato l’ennesimo progetto di vendere gran parte dell’attuale patrimonio immobiliare della Pubblica Amministrazione per ridurre il nostro mastodontico debito pubblico. Immobili, caserme, palazzi uso ufficio, case, iniziative turistico ricettive, spiagge, università, ospedali, persino cantieri… secondo le stime aggiornate del Mef (ma quasi tutti gli ultimi Governi hanno portato avanti progetti analoghi), ci sarebbero ricavi per almeno 60 miliardi di euro, (dei 300 miliardi complessivamente stimati di asset immobiliari), da dismettere o mettere a reddito.

Il problema, penso, sia arcinoto: bisogna ridurre il nostro altissimo debito pubblico (oltre 2800 miliardi di euro), che assorbe una quota elevata dello sforzo fiscale dei cittadini italiani e pone pesanti ipoteche sul loro futuro. Si potrebbe allora liquidare quella parte del patrimonio pubblico che non è essenziale per lo svolgimento delle funzioni fondamentali di Stato e amministrazioni locali.

E fin qui penso che nessuno abbia nulla da obiettare.

Ma forse, la situazione non è così disperata come potrebbe sembrare: dipende infatti da cosa intendiamo davvero per debito pubblico?

Prendo, per aiutarmi, l’ultimo bollettino della Banca d’Italia sulla ricchezza di famiglie, imprese e pubblica amministrazione. Ebbene… se ci riferiamo al solo debito pubblico lordo, (come è comunemente inteso) questo rappresenta in Italia il 140% del PIL (solitamente si prende questo rapporto per capire quanto una nazione sia indebitata rispetto alla sua capacità di generare ricchezza).

E in questo caso… beh, sì… potremmo pensare di essere abbastanza spacciati. Anche perché la media europea si aggira a circa il 90%.

Se invece consideriamo la differenza tra le passività dello Stato e le attività finanziarie (azioni e obbligazioni prevalentemente), allora il rapporto debito/pil migliorerebbe già al 132,7%. Un brodino, è vero, ma in questo aggregato non verrebbero comunque conteggiate le attività finanziarie detenute da Banca d’Italia,  (con qualche dubbio se abbia senso o meno includere il patrimonio finanziario della Banca d’Italia di pertinenza dello Stato Italiano).

Ma se ci riferissimo al debito pubblico come quell’aggregato ottenuto dalla differenza tra le totali passività e totali attività di uno Stato, allora dovremmo considerare anche le attività finanziarie detenute dalle famiglie a cui aggiungere anche l’insieme di attività reali detenute da famiglie, imprese e pubblica amministrazione. E qui il rapporto debito/Pil si ridurrebbe al di sotto del limite “auspicato” del 60%.

In Italia del resto (e rispetto ad altri Paesi), è molto alto infatti il valore delle attività complessive (reali e finanziarie) detenute dalle famiglie: circa l’80% circa delle famiglie ha almeno un’abitazione di proprietà.

Questa situazione comporta spesso una cattiva interpretazione della realtà, sia da controparti domestiche che estere. Da una parte, nelle discussioni politiche viene proprio avanzata l’argomentazione che l’elevato debito pubblico dell’Italia non sarebbe un problema perché esso è più che compensato dal debito privato che è molto basso. Dall’altra parte, all’estero, c’è una certa superficialità nell’indicare nelle attività reali e finanziarie delle famiglie italiane la soluzione dell’alto debito pubblico. Il vero problema rimane un altro: la sostenibilità del debito pubblico italiano, ancora fortemente detenuto nelle mani di istituzionali esteri (sebbene lo sforzo degli ultimi governi di favorire un “effetto sostituzione” con le famiglie italiane).

Ma torniamo “in topic” a parlare di cosa davvero intendiamo per debito pubblico.

E c’è un aspetto curioso che può fra sorridere: il nostro dato debito/PIL potrebbe essere sensibilmente più basso se venisse poi adottato un diverso principio contabile rispetto a quello attualmente in uso, che penalizza particolarmente la valutazione di un ricco patrimonio artistico e storico come quello italiano. La dico in maniera più semplice: l’attuale criterio adottato sottostima sistematicamente gli immobili e i monumenti a più elevato valore storico e artistico.

Magari Dostoevskij ha un tantino esagerato quando scrisse che la “bellezza salverà il mondo”. Più prosaicamente, poteva limitarsi al caso italiano: le bellezze artistiche del nostro Bel Paese ci salveranno dall’alto debito pubblico… E nessuno, almeno dei nostri governanti, avrebbe avuto nulla su cui obiettare…

Fabio Marazzi- Le sfide dell’intelligenza artificiale

In questo periodo di accelerazione tecnologica ed inizio probabile di una nuova era industriale e prima ancora sociale, ritengo che le sfide che pone l’irrompere sulla scena mondiale della Intelligenza Artificiale siano diverse. Cito le principali.

Disoccupazione e Dislocamento Lavorativo: mentre l’IA crea nuovi posti di lavoro, può anche rendere obsoleti alcuni ruoli, specialmente quelli che implicano compiti manuali o ripetitivi; la sfida sarà garantire che la forza lavoro possa adattarsi, attraverso la riconversione professionale e l’educazione continua.

Disuguaglianze Economiche: esiste il rischio che i benefici economici dell’IA si concentrino nelle mani di chi possiede le tecnologie, le competenze e i capitali necessari per implementarle, potenzialmente esacerbando le disuguaglianze esistenti. Sarà importante percio’ implementare politiche che favoriscano una distribuzione equa dei benefici.

Richiesta di Nuove Competenze: il mercato del lavoro richiederà competenze sempre più sofisticate, incluse quelle relative alla tecnologia, alla programmazione e alla gestione dei dati, così come competenze trasversali come il pensiero critico e la creatività; ciò pone l’accento sull’importanza dell’istruzione e della formazione continua.

A queste sfide serve una risposta politica ed economica e quindi per trarre vantaggio dall’impatto dell’IA sull’economia e il lavoro, governi, aziende e società civile dovranno collaborare per favorire l’Innovazione Responsabile, ovvero promuovere lo sviluppo e l’adozione dell’IA in modo che rispetti i principi etici e sociali, attraverso regolamenti che proteggano la privacy, la sicurezza e l’equità. Le risposte delle istituzioni dovranno anche supportare la transizione lavorativa: implementare quindi politiche per sostenere i lavoratori nel transito verso nuovi impieghi, comprese iniziative di formazione e riqualificazione, oltre a sistemi di protezione sociale adeguati.

Infine, sarà anche necessario promuovere la Distribuzione Equa dei Benefici: adottare cioè politiche fiscali e sociali che assicurino una distribuzione equa dei guadagni economici derivanti dall’IA, per ridurre le disuguaglianze e sostenere gli individui più colpiti dalla transizione tecnologica.

L’impatto dell’IA sull’economia e il lavoro è complesso e richiede un approccio bilanciato che massimizzi i benefici mentre gestisca attentamente le sfide, è quindi fondamentale per i policymaker prevedere questi cambiamenti e prepararsi adeguatamente per guidare le società verso un futuro in cui l’IA contribuisca a un progresso economico sostenibile.

L’intelligenza artificiale (IA) si è rivelata estremamente utile in una vasta gamma di applicazioni, nella sanità, ad esempio, ove l’IA già contribuisce a migliorare la diagnosi e il trattamento delle malattie e dove algoritmi avanzati possono analizzare immagini mediche con precisione superiore o complementare agli esseri umani, identificando segni precoci di condizioni come il cancro al seno o malattie cardiovascolari. Inoltre, sistemi di IA possono monitorare i pazienti in tempo reale, fornendo dati vitali per la prevenzione o la gestione delle crisi mediche.

Un altro campo di virtuosa applicazione è rappresentato daiI trasporti, ove l’IA gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo di veicoli autonomi e nella gestione intelligente del traffico. Queste tecnologie promettono di ridurre gli incidenti stradali causati da errori umani, migliorare l’efficienza del traffico e diminuire le emissioni di gas serra attraverso una migliore pianificazione del percorso, mentre resta ancora problematico il dibattito sulla responsabilità e quindi le modalità assicurative e le misure risarcitorie.

Un altro esempio felice è rappresentato dall’ambiente, ove algoritmi di IA sono impiegati nel monitoraggio ambientale e nella lotta contro i cambiamenti climatici. L’analisi dei dati raccolti da satelliti con IA può aiutare a identificare deforestazione, inquinamento e altri fattori di degrado ambientale, oltre a ottimizzare l’uso delle risorse naturali come acqua ed energia. Da segnalare anche il tema dell’ industria e della produzione, ove l’IA migliora l’efficienza operativa attraverso la manutenzione predittiva, che prevede guasti delle macchine prima che accadano, riducendo i tempi di inattività e i costi di manutenzione. Inoltre, l’automazione intelligente e la robotica assistita da IA stanno trasformando le catene di montaggio, aumentando la produzione e la sicurezza sul lavoro. Un’altra modalità di applicazione è nell’educazione, ove sistemi di IA personalizzano l’apprendimento in base alle esigenze degli studenti, adattando i materiali didattici ai loro stili di apprendimento e progressi. Questo può migliorare l’efficacia dell’educazione e rendere l’apprendimento più accessibile a studenti di diverse capacità e background.

Anche nei servizi finanziari l’IA è utilizzata ottimamente per la gestione del rischio, la prevenzione delle frodi e l’ottimizzazione degli investimenti. Algoritmi sofisticati possono analizzare enormi volumi di dati di mercato per identificare tendenze, rischi e opportunità in tempo reale. Infine, un altro ambito di eccellenza è rappresentato dall’Assistenza e Intrattenimento, ove assistenti virtuali basati sull’IA, come Siri o Alexa, hanno reso la tecnologia più accessibile e interattiva, semplificando compiti quotidiani e fornendo informazioni in modo naturale. Nel campo dell’intrattenimento, l’IA è impiegata nella creazione di effetti speciali, nella personalizzazione dei contenuti e nella generazione di nuove forme di arte e musica.

Concludo con l’affermare che  l’IA presenta indubbiamente delle sfide e dei rischi, la sua utilità in vari ambiti è innegabile; la sfida sta nell’adottare approcci responsabili e regolamenti adeguati per garantire che le sue applicazioni siano etiche, sicure e vantaggiose per la società nel suo insieme, senza pero’ creare eccessivi ostacoli o lacciuoli burocratici allo svolglimento dell’attività di impresa.

 

Nato a Milano nel 1963, sì è laureato in giurisprudenza nel 1987 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Con oltre 30 anni di esperienza come avvocato, ha concentrato la sua pratica principalmente nel diritto commerciale internazionale, nelle operazioni di M&A e nel diritto dell’innovazione.

Ampio background professionale, ricopre ruoli chiave come consulente per enti regionali e governativi. Inoltre, contribuisce attivamente come membro in numerosi consigli di amministrazione e organi di controllo, nazionali e internazionali, pubblici e privati.

Oltre alla sua attività legale, Marazzi è docente universitario presso l’Università degli Studi di Pavia e autore di numerose pubblicazioni.