Non è tutto debito ciò che luccica
Non è passato inosservato l’ennesimo progetto di vendere gran parte dell’attuale patrimonio immobiliare della Pubblica Amministrazione per ridurre il nostro mastodontico debito pubblico. Immobili, caserme, palazzi uso ufficio, case, iniziative turistico ricettive, spiagge, università, ospedali, persino cantieri… secondo le stime aggiornate del Mef (ma quasi tutti gli ultimi Governi hanno portato avanti progetti analoghi), ci sarebbero ricavi per almeno 60 miliardi di euro, (dei 300 miliardi complessivamente stimati di asset immobiliari), da dismettere o mettere a reddito.
Il problema, penso, sia arcinoto: bisogna ridurre il nostro altissimo debito pubblico (oltre 2800 miliardi di euro), che assorbe una quota elevata dello sforzo fiscale dei cittadini italiani e pone pesanti ipoteche sul loro futuro. Si potrebbe allora liquidare quella parte del patrimonio pubblico che non è essenziale per lo svolgimento delle funzioni fondamentali di Stato e amministrazioni locali.
E fin qui penso che nessuno abbia nulla da obiettare.
Ma forse, la situazione non è così disperata come potrebbe sembrare: dipende infatti da cosa intendiamo davvero per debito pubblico?
Prendo, per aiutarmi, l’ultimo bollettino della Banca d’Italia sulla ricchezza di famiglie, imprese e pubblica amministrazione. Ebbene… se ci riferiamo al solo debito pubblico lordo, (come è comunemente inteso) questo rappresenta in Italia il 140% del PIL (solitamente si prende questo rapporto per capire quanto una nazione sia indebitata rispetto alla sua capacità di generare ricchezza).
E in questo caso… beh, sì… potremmo pensare di essere abbastanza spacciati. Anche perché la media europea si aggira a circa il 90%.
Se invece consideriamo la differenza tra le passività dello Stato e le attività finanziarie (azioni e obbligazioni prevalentemente), allora il rapporto debito/pil migliorerebbe già al 132,7%. Un brodino, è vero, ma in questo aggregato non verrebbero comunque conteggiate le attività finanziarie detenute da Banca d’Italia, (con qualche dubbio se abbia senso o meno includere il patrimonio finanziario della Banca d’Italia di pertinenza dello Stato Italiano).
Ma se ci riferissimo al debito pubblico come quell’aggregato ottenuto dalla differenza tra le totali passività e totali attività di uno Stato, allora dovremmo considerare anche le attività finanziarie detenute dalle famiglie a cui aggiungere anche l’insieme di attività reali detenute da famiglie, imprese e pubblica amministrazione. E qui il rapporto debito/Pil si ridurrebbe al di sotto del limite “auspicato” del 60%.
In Italia del resto (e rispetto ad altri Paesi), è molto alto infatti il valore delle attività complessive (reali e finanziarie) detenute dalle famiglie: circa l’80% circa delle famiglie ha almeno un’abitazione di proprietà.
Questa situazione comporta spesso una cattiva interpretazione della realtà, sia da controparti domestiche che estere. Da una parte, nelle discussioni politiche viene proprio avanzata l’argomentazione che l’elevato debito pubblico dell’Italia non sarebbe un problema perché esso è più che compensato dal debito privato che è molto basso. Dall’altra parte, all’estero, c’è una certa superficialità nell’indicare nelle attività reali e finanziarie delle famiglie italiane la soluzione dell’alto debito pubblico. Il vero problema rimane un altro: la sostenibilità del debito pubblico italiano, ancora fortemente detenuto nelle mani di istituzionali esteri (sebbene lo sforzo degli ultimi governi di favorire un “effetto sostituzione” con le famiglie italiane).
Ma torniamo “in topic” a parlare di cosa davvero intendiamo per debito pubblico.
E c’è un aspetto curioso che può fra sorridere: il nostro dato debito/PIL potrebbe essere sensibilmente più basso se venisse poi adottato un diverso principio contabile rispetto a quello attualmente in uso, che penalizza particolarmente la valutazione di un ricco patrimonio artistico e storico come quello italiano. La dico in maniera più semplice: l’attuale criterio adottato sottostima sistematicamente gli immobili e i monumenti a più elevato valore storico e artistico.
Magari Dostoevskij ha un tantino esagerato quando scrisse che la “bellezza salverà il mondo”. Più prosaicamente, poteva limitarsi al caso italiano: le bellezze artistiche del nostro Bel Paese ci salveranno dall’alto debito pubblico… E nessuno, almeno dei nostri governanti, avrebbe avuto nulla su cui obiettare…