Ottobre 2024

Oh my Gold! (2 di 2)

Veloce riassunto dalla puntata precedente: la valutazione dell’oro è ai massimi storici e si è visto come ogni volta che l’uomo tenda a temere gli effetti di una crisi economica, o peggio, una perdita di valore dei soldi che ha in tasca, si rifugi in qualcosa di fisico che resista alla volatilità dei mercati.

Questo ha spiegato il rally del metallo giallo cominciato nell’era Covid e proseguito con la guerra ucraina. Ma la performance dell’ultimo biennio, (apparentemente senza una causa scatenante) è ancora più sbalorditiva.

Contestualizziamo un attimo: non sta crescendo solo l’oro, ma anche gli altri metalli preziosi, come pure i metalli industriali (su tutti argento, rame, zinco e ottone). La spiegazione è semplice: l’argento è fortemente utilizzato per la transizione green (celle solari e batterie elettriche), il rame e gli altri metalli, (ahimè), in conseguenza delle guerre in atto: ogni singolo proiettile è rivestito di ottone, una lega di ramo e zinco. Tornando all’oro, la sua crescita non è dovuta solo ad opportunità di diversificazione, ma anche per l’impulso di un gruppo di Paesi che vorrebbero ridurre e/o sostituire il dollaro come valuta internazionale di riferimento (de-dollarizzazione). Originariamente erano i soli Paesi BRICS interessati (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), ai quali si sono aggiunti, di recente, altri 6 Paesi emergenti (Iran e Arabia su tutti).

Alla luce dei prezzi raggiunti dall’oro, la domanda retail è stata la prima a subirne gli effetti: in gioielleria ad esempio (tradizionale fonte di metà della domanda aurifera) i consumi sono da un anno in netto calo.

Ma poi, a fine estate, c’è stato un “coup de théâtre”: la Banca Centrale Cinese ha smesso di trainare il mercato dell’oro, complice anche la forte ripresa dei listini nazionali, tornati ad essere una opportunità di investimento e in reazione agli stimoli appena varati dal Governo locale.

Ma quello che è successo da inizio anno è davvero storico: più di 30 volte è stato aggiornato il nuovo prezzo massimo, una frequenza di “nuovi record” che era stata superata solo due volte dal 1971 ad oggi, ovvero, dalla sospensione degli accordi di Bretton Wood con la fine della convertibilità del dollaro in oro. Siamo molto vicini al record del 2011 (dove erano state 38 le sedute di nuovi record), ma lontani dal 1979, quando invece era successo per ben 54 volte e con un rialzo complessivo del 126%.

A dir la verità, da settembre 1978 a febbraio 1980 le quotazioni dell’oro si sono quasi quadruplicate, salvo poi crollare a marzo 1980. Anche quello era un periodo difficile, segnato dal secondo shock petrolifero degli anni 70 e da tassi d’inflazione a doppia cifra percentuale,(persino negli Stati Uniti), oltre che da gravi tensioni geopolitiche (rivoluzione iraniana e l’invasione sovietica in Afghanistan).

Il rally dell’oro nel 2024 (circa il +30%) è paragonabile al rialzo avvenuto nel 2010 (+29%), quando iniziavano a emergere i primi segnali della crisi del debito nell’Eurozona e a quello del 2007 (+32%), anno che ha preceduto la grande crisi finanziaria e la recessione globale.

Dunque e tornando alla chiusura di due settimane fa: “l’oro adora le brutte notizie”?

Questa volta non è per forza detto: l’oro tende a muoversi inversamente ai tassi di interesse reali e tassi di interesse più bassi, come stanno definendo le banche centrali, non da ultimo la nostra BCE, dovrebbe aiutare l’oro. Insomma, sembrerebbe che questa volta sul metallo giallo non sia ancora arrivata la fase della razionalità.

E allora cediamo agli entusiasmi, purchè consapevoli del motto che “non è tutto oro ciò che luccica”.

Elia Napolitano-L’Arte e l’Architettura come Salvezza: Il Ruolo della Cultura nel Futuro dell’Italia

“ La storia dell’arte deve aiutare a prendere consapevolezza storica del proprio ambiente dove si cresce e si vive. Il suo studio dovrebbe essere sviluppato con stretto riferimento alla propria città ed al patrimonio artistico locale, (in Italia ce n’è dappertutto). Mi domando si i programmi di storia dell’arte non dovrebbero partire dalla lettura obbligatoria di alcune opere…. Si badi, la civiltà del futuro non credo che comporterà una componente artistica, almeno nel senso che intendiamo noi. Ma la città, l’ambiente c’è, va difeso o mutato; è la nostra storia. L’ arte è un tipico fenomeno di civiltà urbana (tranne particolari frange espressive) : la città, lo spazio urbano, è una scala artistica che va dalle minime alle massime grandezze : dal gioiello che i passanti hanno al dito, alla forma delle automobili, alle piazze, al monumento…. L’identità città-arte dovrebbe essere la chiave per ogni studente.”

Ogni qual volta rileggo questa intervista rilasciata a “La nazione” del 1973 dal critico d’arte G.C. Argan, ritrovo in essa la modernità del suo pensiero e l’essenza di come ogni forma espressiva può concorrere allo sviluppo sociale ed economico di ogni paese. Da qualche tempo, con forza e vigore, abbiamo fatto nostro il concetto all’interno di un corso di economia presso l’Università degli Studi di Pavia e non ultimo in un Master che, proprio nel suo nome “Gestione Innovativa dell’arte”, racchiude l’essenza di questo pensiero.

L’Italia è universalmente conosciuta come la culla dell’arte e dell’architettura. Da secoli, grandi artisti e architetti hanno modellato il volto di città come Roma, Firenze, Venezia, Napoli, Bologna, Milano, ecc. trasformando il Paese in un museo a cielo aperto. Oggi, di fronte a sfide economiche, sociali e ambientali, l’arte, in tutte le sue forme, ed in particolare l’architettura, può giocare un ruolo cruciale non solo nella preservazione dell’identità culturale, ma anche nella rinascita di un paese.

Come possono l’arte e l’architettura essere strumenti concreti di sviluppo, innovazione e sostenibilità per l’Italia contemporanea? Ebbene, questa domanda, fatta più volte nell’arco di dibattiti accademici, politici e sociali, presenta diverse risposte e molteplici interpretazioni che, nonostante la complessità dell’argomento, tutte alla fine convergono sulla necessità che il nostro patrimonio artistico (nella sua interezza) è il vero volano di un nuovo rinascimento sociale ed economico.

L’arte e l’architettura storica sono già pilastri dell’economia italiana, specialmente attraverso il turismo culturale. Tuttavia, la loro valorizzazione può essere ulteriormente potenziata al fine di rafforzare il turismo sostenibile. L’arte e l’architettura possono attrarre un turismo consapevole e rispettoso dell’ambiente, capace di generare reddito senza danneggiare il patrimonio. Questa consapevolezza ed atteggiamento può stimolare l’interesse del settore privato per il restauro e la gestione dei beni culturali, può creare posti di lavoro e valorizzare zone “dimenticate”, favorendo il recupero di città e piccoli borghi. Ed è proprio a questi ultimi che va dato uno sguardo speciale, perché con l’ausilio delle nuove tecnologie, come la realtà aumentata e virtuale, possono trasformare l’esperienza dei visitatori, rendendo i piccoli musei e i siti architettonici più accessibili e attraenti per le nuove generazioni, anche se appartenenti ad un circuito meno “blasonato” ma di grande interesse culturale.

Ma, come spesso sostengo, “l’arte trascende il tempo”. Anche se il tempo è ciò che ci permette di comprendere il cambiamento e di tracciare una linea tra un “prima” e un “dopo”, l’arte, nella sua essenza, sfugge a questa categorizzazione. L’arte non è confinata dalle limitazioni temporali, ma è capace di creare connessioni tra epoche, culture e persone. La sua natura è universale e permanente, capace di risuonare in chiunque, a prescindere dal contesto storico. Il tempo cambia il contesto, ma non l’essenza del messaggio artistico. La bellezza e il significato dell’arte possono continuare a parlare attraverso i secoli, rendendola eterna.

Ecco che allora l’arte non è solo eredità del passato, ma anche strumento di rinnovamento sociale e di espressione contemporanea, attraverso la quale deve passare anche la riqualificazione urbana. Molte città italiane soffrono di degrado e abbandono urbano. L’arte contemporanea, come il muralismo e le installazioni pubbliche, può contribuire a riqualificare quartieri, rendendoli più vivibili e sicuri. Basti pensare al successo di città come Matera, Capitale Europea della Cultura 2019, o alle trasformazioni avvenute a Napoli attraverso progetti d’arte partecipativa. L’arte ha questa potenza di facilitare il dialogo interculturale e sociale. In un Paese con una crescente diversità etnica e sfide sociali, progetti artistici inclusivi possono favorire l’integrazione e la coesione tra le diverse comunità. Ed è in questa ottica che anche l’architettura può dare il suo contributo, non limitandosi alla sola conservazione dei monumenti, ma può essere una risposta ai problemi culturali, ambientali ed economici dell’Italia. Processi avviati, discussi ma mai attuati fino in fondo, come la vera promozione dell’architettura sostenibile, l’uso di materiali ecocompatibili e la riqualificazione energetica degli edifici storici possono contribuire a ridurre il consumo energetico e dare vigore alla lotta contro il cambiamento climatico. L’Italia può diventare un leader in questo campo, unendo tradizione e innovazione. La strada intrapresa dei “bonus edilizi” non è stata gestita al meglio, ma di sicuro è un’occasione da ripensare e migliorare per rilanciare un comparto fondamentale per la nostra società, basti pensare alle molte zone industriali o agricole abbandonate che possono essere trasformate in hub culturali o aree residenziali innovative attraverso progetti di architettura contemporanea che rispettino l’ambiente e la storia locale.

Un ruolo fondamentale, affinché non solo la politica guardi con interesse a questa problematica, ma anche e soprattutto l’opinione pubblica, ce l’ha la formazione. Per garantire un futuro sostenibile all’arte e all’architettura, è fondamentale investire nella formazione delle nuove generazioni. Questo può avvenire solo attraverso il potenziamento e la trasformazione del nostro sistema formativo. Le accademie di belle arti e le scuole di architettura devono essere supportate e potenziate per formare i talenti del futuro. Favorire la connessione tra mondo accademico e mondo del lavoro può creare nuove opportunità professionali e promuovere l’innovazione. Il “talento artistico” va promosso già dalle scuole primarie perché è essenziale coltivare la sensibilità culturale e creativa dei giovani, preparandoli a diventare non solo fruitori, ma anche creatori di arte.

Solo la consapevolezza e la conoscenza degli strumenti che abbiamo ci farà capire che l’arte e l’architettura, in Italia, non sono solo testimonianze del passato, ma potenti strumenti di trasformazione per il futuro. Il loro potenziale non si limita all’estetica, ma si estende alla sfera economica, sociale e ambientale. Un’Italia che investe nel proprio patrimonio artistico e architettonico, che promuove la creatività contemporanea e che adotta soluzioni innovative e sostenibili, può affrontare le sfide del presente con la forza della sua tradizione millenaria e il coraggio dell’innovazione.

L’arte può davvero salvare l’Italia, ma solo se riconosciuta e valorizzata come risorsa vitale per il suo sviluppo.

 

Designer, architetto, artista. Laurea in Architettura a Napoli, specializzazione alla Miami International University (Florida). Ha collaborato con lo studio Arpaia Associates (Greenwich); PhD in Storia dell’Architettura contemporanea con la Newark University (Delawere). Completa il percorso formativo con gli studi di Marketing e di Ingegneria Civile ed Ambientale in terra meneghina. Da anni è dirigente d’azienda e Project Manager di EB Studioarkè & Partners ed Elan Consulting (società di Architettura, Ingegneria e di consulenza aziendale). Consulente di aziende di manifatture ceramiche, di arredo e home design. Autore di pubblicazioni, articoli sull’arte di architettura, ha maturato esperienza per organizzazioni di eventi e mostre d’arte, tiene dei seminari di architettura d’arte ed è docente nel Master in Gestione innovativa dell’arte presso l’Università degli Studi di Pavia.

Oh my Gold! (1 di 2)

Nel 1980 il Time, celebre per le sue copertine iconiche, inseriva un lingotto d’oro nella sua prima pagina, con il titolo “Ingot we trust”, giocando sulla paronomasia tra “God” (Dio) e “Ingot” (lingotto d’oro). Sono passati 44 anni e la corsa del metallo giallo prosegue spedita segnando nuovi massimi e consacrandosi come bene rifugio per eccellenza. L’oro è qualcosa che si può toccare ed è conosciuto da tutti: diventa particolarmente interessante quando le altre asset class sono in crisi.

È solitamente de-correlato dai mercati finanziari, ma c’è sempre l’eccezione che conferma la regola: il 2023 è stato un anno molto positivo per entrambi.

L’anno appena concluso si è portato in eredità questioni irrisolte dall’anno precedente (conflitto in Ucraina)e generandone di nuove (conflitto in Israele). Situazioni così complesse che hanno portato l’oro ancora più al centro dell’attenzione, confermando la regola aurea (per l’appunto…) di essere particolarmente richiesto in situazioni storiche critiche.

Del resto, dalle maschere micenee al culto dei faraoni, dall’antico testamento, alla Bibbia, dall’esser uno dei doni dei re Magi, al rappresentare uno dei sette tesori nel Buddismo, l’oro non ha mai conosciuto né limiti territoriali, né storici, né religiosi che potessero limitare il suo mito.

Ma è stata la sua storica capacità di rappresentare la base per le valute di molti stati a consacrarne il valore. Dalle prime monete d’oro, coniate nell’Asia Minore nel 560 a.C. fino alla fine degli accordi di Bretton Woods (1971, con la fine della piena convertibilità dollaro in oro), la politica monetaria internazionale ha trovato nel metallo giallo il punto di equilibrio, da cui stabilire i rapporti di forza e valutari tra i singoli stati.

Fior fior di economisti sostennero che l’avvento della carta moneta, scollegata quindi dalle riserve auree, avrebbe ridotto il suo valore drasticamente, limitando il suo uso a quella porzione necessaria per realizzare monili di indubbio valore estetico. E in effetti all’inizio fu proprio così: negli anni ’70 il prezzo dell’oro collassò dagli 800 dollari per oncia ai 252 dollari nel 2001. Come ha fatto poi a risalire allora ai 2.650 dollari e passa per oncia attuali? Gli economisti non avevano (probabilmente) fatto i conti con la paura che agita gli animi dell’uomo. Ogni volta che l’uomo teme gli effetti di una crisi economica, o peggio, una perdita di valore dei soldi che ha in tasca si rifugia in qualcosa di fisico che resista alla volatilità dei mercati. Ma questo può spiegare la prima parte del rally cominciato nell’era Covid nel 2020 e poi accelerato con la guerra ucraina nel 2022. Ma cosa giustifica questa folle corsa dell’ultimo biennio?

Ne parleremo bene la prossima volta, collegandola anche alla crescita con gli altri metalli preziosi e metalli industriali, ma analizzando solo la performance dell’oro va detto che buona parte della recente crescita (2023 e 2024) sia da collegare al fenomeno della de-dollarizzazione in atto (a cui sono stati già dedicati ben due approfondimenti in questa rubrica lo scorso anno),  al coinvolgimento di molte banche centrali, di cui una in particolare modo ( People Bank of China)  e da ultimo, da una sostenuta domanda retail, proprio per la sua natura di diversificazione.

Quanto durerà questa crescita?

Mai come ora gli analisti delle grandi banche d’affari si dividono tra chi vede per il 2025 una rottura della barriera dei 3.000 dollari per oncia e chi invece più cautamente prevede una correzione, se non un cambio di inversione, dovuta proprio al venire meno di uno dei grandi protagonisti di questa “corsa all’oro”: la Cina.

Pechino da maggio ha interrotto l’accumulo di riserve auree. Non solo: la forte ripresa dei listini azionari cinesi di questi giorni, in reazione agli stimoli appena varati dal Partito Popolare potrebbe anzi ancora di più drenare liquidità dal lingotto (che fino a poco tempo fa era invece l’unico asset a dare qualche soddisfazione).

Un proverbio dice: “L’oro adora le brutte notizie”. Sarà vero anche nel 2025? Ah, saperlo…

Ernesto Lanzillo-Imprese e giovani crescono sostenibilmente

L’attuale scenario competitivo impone alle imprese di continuare ad investire nell’ambito della sostenibilità.

I leader aziendali sono ben consapevoli che devono consolidare il proprio approccio green ed elevarlo a punto cardine su cui basare le proprie strategie di crescita. Infatti, come emerge da un recente studio di Deloitte condotto a livello globale su oltre 2.100 top manager (Deloitte, CxO Sustainability Report 2024), gli sforzi legati alla sostenibilità da parte delle imprese stanno diventando centrali e c’è una forte attenzione alla trasformazione dei modelli di business e all’integrazione di considerazioni sulla sostenibilità in tutte le operation. Circa la metà delle aziende intervistate (45%) sta trasformando i propri modelli di business per affrontare il cambiamento climatico e pone la sostenibilità come punto cruciale della propria strategia, dimostrando un forte impegno nell’integrarla nelle principali funzioni aziendali. Inoltre, per oltre una azienda su tre (35%) le considerazioni sulla sostenibilità sono state incorporate in tutta l’organizzazione e, sebbene questi sforzi non abbiano ancora un impatto sul modello di business principale, ciò indica comunque un riconoscimento diffuso dell’importanza della sostenibilità all’interno di tali contesti aziendali. Tutte le organizzazioni, a prescindere dalla propria dimensione, si stanno muovendo in questa direzione, cercando di rispondere dell’impatto della propria attività su ambiente e clima e di convergere verso scelte di consumo e investimento orientate alla responsabilità ambientale, sociale e di governo.

Questa traiettoria è importante, soprattutto in ottica prospettica, se si pensa a quanto le fasce più giovani della popolazione diano importanza al tema della sostenibilità.

Infatti, come emerge dalla Millennial Survey Deloitte, indagine condotta su oltre 14 mila GenZ e più di 8 mila Millennial in 44 Paesi del mondo, guardando al nostro Paese, c’è una sensibilità elevata rispetto al cambiamento climatico: il 68% della GenZ italiana e il 64% dei Millennial italiani dichiara di essersi sentito “preoccupato o ansioso” su tale tematica. I giovani, inoltre, vogliono avere un ruolo attivo in questo percorso di sostenibilità e pensano di poter influire sulla società nella sfida della “protezione dell’ambiente” (62% GenZ e 53% Millennial).

Rispetto ai comportamenti di consumo, oltre 7 su dieci (72% GenZ e 77% Millennial) hanno cercato di ridurre il proprio impatto ambientale tramite una serie di azioni e scelte concrete; ad esempio, già oggi rinunciando al fast fashion, eliminando o limitando i voli aerei, oppure adottando una dieta vegetariana o vegana.

Assumere comportamenti consapevoli rispetto alla sostenibilità è un percorso su cui le imprese devono continuare a misurarsi, considerando che il 23% della GenZ e il 25% dei Millennial dice di informarsi sull’impatto ambientale di un’impresa prima di acquistarne i prodotti o servizi.

Inoltre, va considerato che i giovani non sono solo consumatori, ma anche bacino di potenziali talenti da attrarre nella propria impresa. Da questo punto di vista, un elemento di riflessione per aziende e leader è relativo al farsi portavoce di valori positivi che siano in armonia con i target più giovani. Questi, oggi, nel guardare alle scelte del proprio mondo del lavoro, ritengono rilevanti aspetti che vanno oltre il reward economico: avere un “purpose aziendale è importante per la loro soddisfazione e benessere lavorativi e per la maggior parte di loro il lavoro dà uno “scopo” e l’azienda lo deve comunicare in modo chiaro in modo che esista condivisione con il giovane dipendente. L’allineamento tra i valori personali e quelli dell’impresa e della leadership è un aspetto da non trascurare, anche in ottica di attraction e retention dei talenti.

Oltre alla reputazione sostenibile dell’azienda e all’allineamento valoriale tra azienda e dipendenti, c’è anche la valorizzazione del merito da considerare come fattore di successo nella gestione aziendale delle nuove generazioni. Essere sostenibili oggi passa anche dalla capacità di un’impresa di valorizzare il merito, inteso come aspettativa di poter contribuire con le proprie competenze e grado di esperienza, incidendo in maniera positiva e proattiva sulle scelte strategiche dell’azienda.

Tra gli elementi che determinano la scelta o la permanenza dei giovani in un’organizzazione risultano l’equilibrio tra lavoro e vita privata, l’opportunità di apprendimento e di sviluppo delle proprie competenze e carriera, la presenza di benefit finanziari e di orari flessibili, così come il vivere dentro una cultura aziendale positiva e trarre un “senso” dal proprio lavoro.

Le aziende per assicurarsi una reputazione di sostenibilità elevata devono investire nei processi di valutazione per far sì che il merito, ove presente, venga riconosciuto e adeguatamente premiato, così da indirizzarsi verso uno sviluppo sostenibile del business.

L’attenzione alla sostenibilità non si riflette però solo sui giovani in quanto talenti da assumere e far crescere, ma anche sui nuovi leader del futuro, che guideranno le imprese in un contesto sempre più orientato al green. E questo vale anche per imprese di piccole e medie dimensioni dove, in prospettiva, a guidare le aziende saranno sempre più le nuove generazioni di Millennial e GenZ, maggiormente sensibili ad adottare strategie ed azioni sostenibili.

Questi sicuramente potranno incrementare le performance sostenibili e allinearle a quanto fatto dalle imprese più strutturate che, ad oggi, hanno un ingaggio maggiore in tal senso: secondo la rilevazione Istat (Istat, Pratiche sostenibili nelle imprese nel 2022 e le prospettive 2023-2025) le piccole imprese manifatturiere che hanno intrapreso azioni di sostenibilità nel 2022 risultano la metà (43,6%) rispetto a quelle di maggiori dimensioni (86,9%).

In prospettiva, ci si attende che le PMI migliorino il proprio approccio generale alla sostenibilità, assicurando elevata priorità su processi e prodotti, facendo attenzione agli aspetti sociali e sviluppando una governance e una cultura imprenditoriale sempre più solide e più responsabili.

 

 

Dal 2002 è partner di Deloitte e membro della divisione Audit & Assurance di cui è stato il re­sponsabile mercato sino al 2023.

Dal 2018 è leader di Deloitte Private dell’area Centro Mediterranea (Italia, Grecia e Malta) ed è componente del Comitato Esecutivo del network Deloitte Centro Mediterraneo.

Laureato in economia all’Università di Genova, è dottore commercialista e revisore contabile.

Nel corso degli anni, ha maturato ampia espe­rienza nella revisione di gruppi quotati e non quotati delle aree retail, trasporti ed entertain­ment. Con riferimento al ruolo di Leader in Deloitte Private, si occupa del co­ordinamento di tutte le offering che il network multidisciplinare Deloitte offre ai clienti del seg­mento, rappresentato da impre­se familiari, famiglie e loro consulenti (family office, wealth manager, private banker), Hnwi e Uhnwi, startup e PMI.

Con Deloitte Private ha lanciato nel 2020 il ma­ster in gestione innovativa dell’arte e dal 2018 il premio Best Managed Companies.