Settembre 2024

Overtourism: aiutamoli a casa nostra

Autunno, i primi refoli di un gelido vento di origine polare confermano la fine dell’estate, che per l’Italia ha significato l’ennesima stagione turistica trionfante, con il tutto esaurito sulle spiagge, in montagna, sui laghi e in tutte le strutture ricettive.

Se da un lato esultiamo per questa patente di gradimento del Belpaese, dall’altro lato questo massivo spostamento di genti genera spesso una distorsione sulla sostenibilità dei nostri piccoli o medi borghi, che si trovano presi d’assalto da una orda turistica disorganizzata e (talvolta) poco rispettosa.

Il fenomeno del turismo eccessivo viene definito “Overtourism” e ci spiega come un eccesso di domanda turistica può deteriorare la qualità della vita della popolazione residente e la perdita di autenticità della cultura locale.

Attenzione, non vorrei essere frainteso, qui non si tratta di demonizzare i flussi turistici, anzi, per una nazione come la nostra, caratterizzata da un’economia asfittica, il turismo rimane tanta manna, ma bisogna evitare distorsioni che in Spagna, ad esempio, balzano già agli onori della cronaca, con organizzazione di ronde anti-turisti, o pistole ad acqua utilizzate come atto di “benvenuto”. (Vivendo in Liguria da più di dieci anni come “foresto”, non vorrei mai che prendessero ispirazione…).

Facciamo allora un passo indietro e analizziamo il contesto della attuale domanda turistica.

Ci sono una serie di fattori che stanno facilitando, negli ultimi anni, un afflusso disordinato di turisti in località con limitata capacità ricettiva.

Uno di questi è la moltiplicazione in Paesi come Italia o Spagna di strutture alternative, come airbnb, b&b o case vacanze. Contestualmente, la proliferazione di compagnia aeree low cost ha permesso a una sempre più vasta moltitudine di avere nuovi collegamenti. Questo vale soprattutto per la classe media di tanti Paesi emergenti, che oggi possono accedere a standard di turismo di massa a buon mercato, prima impensabili. I flussi del turismo cinese ne sono un buon esempio.

L’attuale contesto geopolitico internazionale ha poi sicuramente ridotto la rosa dei Paesi sicuri su cui orientare questo turismo “mordi e fuggi”, intasando così, la domanda sull’Italia, la Spagna e il sud della Francia, seppur siano state scoperte nuove rotte, ancora marginali, quali Croazia e Albania.

C’è anche un fattore psicologico che infiamma la domanda: dopo un anno e mezzo chiusi in casa per la pandemia, la gente vuole riprendersi la libertà di viaggiare e la curiosità di scoprire posti nuovi e in tal senso lo stock di risparmio accumulato durante il “lock down” è una fonte a cui poter facilmente attingere. E fin qui sembrerebbe tutto perfetto, basterebbe solo essere accoglienti e frotte di turisti potrebbero/dovrebbero far ripartire l’economia tricolore.

Ma un proverbio insegna che il “troppo stroppia” e l’overtourism finisce per essere un costo per la collettività e in generale un peggioramento della qualità della vita.

Come è possibile? Vediamolo.

L’overtourism satura gli spazi e questo determina limitazioni agi accessi ad alcuni siti, almeno in alcuni periodi dell’anno. Giusto per dare qualche numero, secondo l’istituto di ricerche REF, il 15% dei Comuni totalizza l’86% del totale delle presenze turistiche in Italia. La manutenzione di un territorio così sovrappopolato comporta degli extra costi o una lievitazione dei costi per servizi di pubblica utilità, (spazzatura, sicurezza, sanità, manutenzione strade, etc…) che vengono sostenuti dagli abitanti del luogo. Il consumo eccessivo di risorse è un altro grave problema da associare al sovraffollamento turistico. Il turismo aumenta la domanda di acqua, energia e materiali da costruzione, spesso in aree dove le risorse sono già limitate. Rimini (per fare un esempio) ogni anno accoglie fino a 7 milioni di turisti  e le sue aree costiere sono sfruttate fino al 95%  Non solo. Un numero considerevole di abitazioni turistiche stagionali genera un aumento del prezzo del mattone e degli affitti nei centri più richiesti, con una contestuale proliferazione di attività a basso capitale umano ( ristoranti, rivendite di gadget, alcune tipologie di bar) e uno spostamento dei cittadini residenti verso le periferie. Sono tornato a Siena dopo averci vissuto per anni e ritengo che la città toscana sia un fulgido esempio in tal senso.

Una maggiore presenza di turisti dovrebbe stimolare per lo meno l’occupazione, peccato che i nuovi posti siano spesso creati per le gestire le punte di sovraffollamento e i contratti siano, di conseguenza, a termine, (se va bene),  se non addirittura irregolari e dunque per nulla significativi per contrastare la disoccupazione.

E allora come se ne esce?

La soluzione del contingentamento in alcuni centri a vocazione artistica come Venezia, Roma e Firenze, può essere una soluzione efficace per alcune grandi città, ma non può di certo essere applicata al Mezzogiorno, in cui il turismo rappresenta la filiera più importante, anche in ottica futura.

Per ridurre l’eccesso di pressione,  bisognerebbe riorganizzare l’offerta,  mediante eventi ad hoc, o altre attrattive spalmate su un calendario più profondo.

L’Organizzazione Mondiale del Turismo delle Nazioni Unite (UNWTO) ha stilato un decalogo di 11  punti per gestire l’extra flusso turistico nelle destinazioni più ricercate. Il problema non è quindi solo italiano, anche altrove è forte il rischio di depauperare nel lungo termine una località turistica per massimizzare un guadagno immediato.

Degli 11 punti individuati, uno mi sembra quello più cruciale e riguarda “educare i turisti” al rispetto culturale e ai principi della sostenibilità, scoraggiando determinati segmenti di visitatori, in base alle specifiche esigenze e contesto locali.

Che poi è quello che facciamo quando invitiamo degli ospiti a casa: per garantire l’ospitalità, li selezioniamo in numero limitato e li coccoliamo. Del resto, mica si può essere accoglienti in un posto se non lo sentiamo più “casa nostra”.

Direttore Generale Art Defender

Marta Tosi-Il mercato dei servizi per l’arte: proteggere e valorizzare i patrimoni artistici

Il momento della movimentazione e della conservazione di un bene artistico è un passaggio delicato perché si ha la responsabilità della gestione di un oggetto che rappresenta e testimonia il nostro patrimonio culturale.

Chi offre tali servizi deve essere capace di attivare un livello di efficienza e di qualità assai elevato, per portare valore aggiunto al suo lavoro ed essere in grado di confermare il ruolo attivo, e non passivo, dell’operatore; ovvero, non un semplice strumento, ma un professionista che porta soluzioni, riduce le aree critiche e sviluppa processi di massima efficacia in termini di costi, di risorse e di soluzioni. Il tutto a garanzia del mantenimento costante della fruibilità nel tempo e del valore artistico, culturale ed economico delle opere.

Sia il settore istituzionale che quello privato hanno acquisito nel tempo consapevolezza e sviluppato attività di cura e valorizzazione delle proprie collezioni, coinvolgendo aziende specializzate nei vari ambiti, necessari a una gestione attenta e responsabile, come: conservazione, logistica, assicurazione e consulenza per i servizi di stima e catalogazione.

Per ciò che riguarda l’ambito museale, si conferma, infatti, il cambiamento di approccio verso la necessità di affidare in outsourcing l’attività di deposito in ambienti con elevati standard di sicurezza e parametri conservativi controllati per le proprie collezioni, favorendo una rotazione espositiva, ma anche lo sviluppo di operazioni di archiviazione e valorizzazione dei singoli beni. La permanenza in caveau delle opere ha, inoltre, consentito ai professionisti museali di poter svolgere, in adeguati spazi operativi, con il supporto di strumentazioni tecniche e staff specializzato, attività di catalogazione, inventario, restauro, ma anche di grandi operazioni di riorganizzazione e digitalizzazione, spesso agevolate dai fondi stanziati dal PNRR.

Nell’ambito delle collezioni che appartengono a soggetti privati, possiamo attestare che la crescente consapevolezza di questi ultimi verso i temi della valorizzazione e della gestione oculata dei propri beni, insieme alle frequenti necessità di affrontare con contezza i momenti di passaggio generazionale e divisioni ereditarie, hanno dato modo ai servizi di art consulting di supportare un numero di clienti sempre più in crescita e di affrontare situazioni diversificate e articolate, che richiedono alti livelli di esperienza e competenza.

Anche le corporate collection sono diventate nel tempo tra i maggiori fruitori di servizi per l’arte e le loro necessità potrebbero crescere ulteriormente grazie a un ampliamento dei motivi che spingono l’imprenditore ad intraprendere l’attività di conoscenza e valorizzazione del proprio patrimonio; non solo da un punto di vista di identità aziendale, spesso più immediato ma non abbastanza motivante se visto in maniera isolata, ma aprendo la visione anche ad una prospettiva patrimoniale.

I progetti di valorizzazione dei patrimoni industriali o delle corporate collection nascono molto spesso da processi di quantificazione dei valori patrimoniali, motivati da ragioni di risk management, di carattere assicurativo, di carattere straordinario (come operazioni di M&A in cui i beni devono essere valutati) o da ragioni di natura bilancistica (poiché tali beni – in quanto asset aziendali – devono essere a tutti gli effetti contabilizzati in bilancio).

Anche le normative possono dare un impulso alla diffusione di questo tipo di processi, come con l’entrata in vigore, nel 2003, dei nuovi IAS – gli International Accounting Standard. Tali principi contabili hanno imposto alle aziende di mettere a bilancio i propri asset – anche quelli di natura artistica – valorizzandoli, secondo il cosiddetto fair value, che ha soppiantato il precedente criterio contabile del costo di acquisto, e che ha sostituito, soprattutto, la prassi di non contabilizzare il patrimonio artistico.

È stato questo passaggio, di natura bilancistica, molto spesso, a costituire il presupposto della nascita di tanti progetti di valorizzazione – o quanto meno di comunicazione – delle collezioni che oggi vediamo e conosciamo.

In conclusione, l’attenzione alla sicurezza, alla conservazione e alla valorizzazione devono essere concetti prioritari e condivisi con i vari interlocutori pubblici o privati, in quanto solo attraverso questa consapevolezza e con obbiettivi di lungo periodo si possono pretendere e riconoscere i giusti partner specializzati in servizi per l’arte, capaci di garantire alti livelli di qualità per la gestione e la custodia dei beni.

 

Laureata in Storia e Critica d’arte presso l’Università degli Studi di Milano, consegue il Master in Marketing e Management delle Imprese Sociali, Non Profit e Cooperative presso la SDA Bocconi School of Management di Milano. Dopo una parentesi professionale nell’ambito dell’editoria d’arte in Skira Editore e un’esperienza in Marketing e Comunicazione presso il FAI – Fondo Ambiente Italiano, dal 2013 opera per Art Defender, di cui diviene Responsabile dell’Ufficio Commerciale, Marketing e Comunicazione e dal 2021 membro permanente del Consiglio di Amministrazione. Dal 2024 ricopre la carica di Direttore Generale. Tiene regolarmente lezioni sui temi di conservazione, art collection management e logistica dei beni di pregio, per corsi universitari triennali e magistrali, Master di I e II livello e corsi di aggiornamento per professionisti del settore dell’arte e della gestione dei patrimoni.