Andrea Benini- Il Principio di adeguatezza degli assetti organizzativi per un’impresa più responsabile
Avvocato Civilista

In Italia è stato avviato un periodo di riforme sulla spinta del PNRR ed il sistema giudiziario è uno dei settori chiave in cui si dovrà intervenire per poter rispettare gli impegni assunti con l’Unione Europea. Sono in via di attuazione, infatti, le riforme del processo civile, di quello penale e della disciplina delle procedure concorsuali, determinanti per migliorare l’efficienza del nostro sistema giudiziario come richiesto dall’Europa. In realtà, una riforma organica del diritto concorsuale era già iniziata prima del periodo pandemico, con l’emanazione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al D.Lgs. 12/01/2019 n. 14, la cui entrata in vigore, però, è stata più volte rinviata. Ciò nonostante, il Decreto citato ha apportato ugualmente alcune modifiche al Codice Civile in materia di impresa, passate forse inizialmente un po’ sottotraccia visto il differimento della riforma, ma di indubbia rilevanza stante la loro operatività immediata. Una di queste è la novella dell’art. 2086 c.c., con cui il Legislatore ha sancito per tutte le tipologie di attività imprenditoriali la regola dell’adeguatezza degli assetti organizzativi dell’impresa, quale principio di corretta gestione. Più nello specifico, è stato introdotto un duplice dovere a carico degli amministratori di società e cioè quello, da un lato, di istituire assetti organizzativi che siano adeguati alla natura ed alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi e, dall’altro lato, quello di attivarsi per l’adozione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi stessa. Il principio di adeguatezza degli assetti organizzativi dell’impresa, quale paradigma di una corretta gestione, non è certo una novità nel panorama legislativo, ma è un tema ricorrente nella normativa di settore degli ultimi anni, con la quale il Legislatore ha iniziato a promuovere una cultura imprenditoriale più responsabile. Si sta cercando sempre più di passare dal modello tradizionale incentrato sulla figura dell’imprenditore individualista, ancora diffuso nelle PMI, ad un’organizzazione strutturata dell’impresa, secondo i modelli elaborati dalle moderne scienze aziendalistiche. Gli interventi legislativi incentrati sull’organizzazione dell’impresa sono stati molteplici nel recente passato, dal Testo Unico della Finanza per le società quotate, alla riforma del diritto societario del 2003 con riferimento alle S.p.a. (artt. 2381 c.c. e 2043 c.c.), passando per le discipline di settore delle imprese bancarie, assicurative e di intermediazioni finanziaria, nonché delle società a partecipazione pubblica. In questo quadro normativo meritano una particolare menzione i modelli organizzativi previsti dal D.Lgs. 231/2001 per gli enti collettivi, i quali sono volti a prevenire la commissione di reati da parte dei propri esponenti e ad escludere o limitare il rischio di incorrere nella responsabilità amministrativa prevista a carico delle società in relazione a tali reati. La novella dell’art. 2086 c.c. si pone, dunque, nel solco tracciato dal Legislatore, elevando però il principio degli assetti adeguati a regola generale comune a tutte le imprese. Questa norma è stata concepita nel quadro di riforma del diritto concorsuale che ha dato vita al Codice della crisi e, dunque, la sua ratio legis va individuata in siffatto contesto. Inizialmente, visto lo stretto legame col Codice della crisi, gli operatori del settore si sono chiesti se i nuovi precetti di cui al comma 2 dell’art. 2086 c.c. potessero avere una valenza autonoma, anche a prescindere dagli istituti richiamati dell’allerta e della composizione assistita, i quali, come detto, non sono ancora operativi. La risposta è stata affermativa, tanto che ad oggi si rinvengono già sentenze di Tribunali che ne hanno fatto applicazione. Gli amministratori, quindi, devono necessariamente dotare le società di idonei assetti organizzativi, amministrativi e contabili funzionali a far rilevare tempestivamente un’eventuale situazione di crisi. Nella stessa Relazione illustrativa al Codice della crisi è, infatti, specificato che le possibilità di salvaguardare i valori di un’impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla prontezza dell’intervento di risanamento, mentre il ritardo nel percepire eventuali segnali di crisi determina, nella maggior parte dei casi, che questa degeneri in un’insolvenza irreversibile. Qui si innesta il secondo obbligo previsto dalla nuova disciplina a carico degli amministratori, i quali, all’apparire della crisi, sono obbligati a reagire prontamente, mettendo in atto uno degli strumenti a tal fine previsti dall’ordinamento. Gli istituti del Codice della crisi che sono collegati con questo precetto, come detto, non sono ancora operativi, però la portata generale della norma impone già oggi agli amministratori di fare ricorso agli strumenti messi a disposizione dalle norme attualmente applicabili, ad esempio quelli tipici della Legge Fallimentare o l’istituto della composizione negoziata recentemente introdotto dal D.L. 118 /2021 o comunque iniziative anche diverse che siano idonee a recuperare la continuità aziendale. In dottrina si è affermato correttamente che questa nuova disciplina sull’adeguatezza organizzativa sarà la nuova frontiera della responsabilità degli amministratori. Invero, in base alle regole generali, gli amministratori sono responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza di doveri ad essi imposti dalla legge, tra cui appunto non possono che rientrare anche i nuovi obblighi previsti dall’art. 2086 c.c. riformato. In ipotesi di violazione di siffatti obblighi, da cui siano derivati anche dei danni, gli amministratori potrebbero dunque subire delle azioni di responsabilità da parte dei soci, dei creditori o, qualora si sia verificato il fallimento della società, da parte dei curatori fallimentari. Bisogna pur sempre ricordare che il concetto di adeguatezza è comunque relativo, tanto che il secondo comma dell’art. 2086 c.c. fa giustamente riferimento ad un assetto organizzativo che sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa. Ogni impresa ha le sue tipicità e l’attività imprenditoriale può essere organizzata in molti modi diversi tra loro. Si discute, quindi, su quale sia il limite della valutazione dei giudici in questo campo. Sebbene la scienza aziendalistica possa fornire validi parametri per sindacare la correttezza dell’operato degli amministratori, sussiste in ogni caso un ampio margine di discrezionalità per ciò che riguarda le scelte sugli assetti organizzativi da adottare in ambito imprenditoriale. Una parte della dottrina, con un’opinione a mio avviso condivisibile, ritiene che, pur con qualche adeguamento, debba sempre trovare applicazione, anche con riferimento a queste ipotesi di responsabilità, il limite dell’insindacabilità di merito della scelta operata dall’amministratore (c.d. “business judgment rule”).  Esiste, però, anche un orientamento dottrinale opposto, che è favorevole invece ad uno scrutinio giudiziale più stringente e che ritiene applicabile la business judgment rule solo agli obblighi a contenuto generico e non anche a quelli a contenuto specifico, non implicanti scelte di gestione in senso proprio, quali appunto i doveri organizzativi degli amministratori. Questa strada potrebbe portare ad esiti non accettabili, nel caso in cui si volesse ricavare sic et simpliciter dal verificarsi dell’insolvenza la prova dell’inadeguatezza degli assetti organizzativi che erano stati adottati per l’impresa. Per avere un quadro più chiaro si dovrà, però, necessariamente aspettare di vedere quale delle due impostazioni verrà adottata con prevalenza in giurisprudenza.

 

 

Iscritto all’Albo degli Avvocati di Genova, si occupa prevalentemente di diritto civile, diritto commerciale e societario, diritto bancario e finanziario. Offre consulenza alle imprese nel campo della contrattualistica interna ed internazionale ed in quello societario. Ha assistito i propri clienti in diverse operazioni straordinarie sia con società italiane, che con società estere. E’ membro di Organismi di Vigilanza ex D.Lgs. 231/2001 di società operanti in Italia ed all’estero ed ha ricoperto diversi incarichi quale Arbitro in procedimenti arbitrali.

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