Roberta Ghilardi-Tra sostenibilità, arte e cultura
Manager Sustainability Deloitte Italia

La parola sostenibilità è ormai sulla bocca di tutti e l’acronimo “ESG”, Environmental, Social e Governance, permea ormai tutti i settori dell’economia, sulla scia delle numerose norme emanate dalla Commissione Europea in materia di sostenibilità nel corso degli ultimi anni.

Nel mio doppio ruolo di Sustainability Manager e Art&Finance Manager in Deloitte osservo con estremo interesse l’evoluzione del mondo dell’arte e della cultura che, seppur con tempi decisamente più “morbidi” rispetto ad altri settori dell’economia, sta muovendo qualche passo nel percorso verso la sostenibilità.

Un percorso che è iniziato in sordina qualche anno fa, limitandosi a poche azioni non strategicamente connesse, che riguardavano più o meno tutti gli operatori di settore. Tra queste, la dematerializzazione dei cataloghi d’asta, qualche tavolo di lavoro sulla sostenibilità nei network museali, sporadici esempi di report annuali e analisi d’impatto di organizzazioni culturali e creative, come anche iniziative per la promozione della salvaguardia dell’ambiente e delle diversità attraverso l’arte.

Il tutto a fronte, tuttavia, di una graduale presa di coscienza delle istituzioni internazionali del legame imprescindibile tra cultura e sostenibilità, con particolare riferimento alla consapevolezza del contributo della cultura allo sviluppo sostenibile.

La cultura attualmente non costituisce il focus specifico ed esclusivo di uno o più tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile definiti dall’ONU nell’Agenda2030 (in inglese Sustainable Development Goals” o “SDGs”), ma si è diffusa la consapevolezza della capacità delle organizzazioni che operano nel settore culturale e creativo di favorire la generazione di impatti economici ed occupazionali di tipo diretto, indiretto e indotto, promuovendo contestualmente la diversità, e contribuendo alla coesione e all’inclusione sociale. Anche per questo l’UNESCO ha pubblicato nel 2019 i “Culture 2030 Indicators”, un framework di indicatori tematici definiti con l’obiettivo di misurare e monitorare il contributo della cultura agli SDGs, che declinano di fatto i fattori ESG, considerando la cultura sia come settore di attività a sé stante, sia come elemento trasversale agli stessi Obiettivi.

La pandemia da COVID-19 ha contribuito ad accelerare la transizione verso lo sviluppo sostenibile anche a livello di operatori delle industrie culturali e creative, come è avvenuto per molti altri settori. A causa delle restrizioni agli spostamenti e alle interazioni sociali poste in essere per arginare la diffusione della pandemia, infatti, il mondo delle industrie culturali e creative, spesso basato sugli eventi e sull’interazione “di persona” è stato messo in stand-by, costretto a riflettere su come poter innovare e migliorare, e trovando il tempo per attivare nuove modalità per affrontare le sfide che il mondo odierno ci pone.

Proprio in questo periodo sono nate infatti nuove e promettenti iniziative sul fronte ambientale, come la Gallery Climate Coalition (GCC), organizzazione che riunisce un crescente numero di attori del mercato dell’arte per diffondere metodologie sviluppate specificamente per il settore al fine di ridurre l’impatto di questi attori sul clima; o ancora iniziative connesse alla promozione della diversità, della lotta alla violenza di genere e dell’inclusione sociale.

Quella che manca, tuttavia, è una “cultura della misurazione e della rendicontazione” degli impatti generati dall’arte e dalla cultura in termini ambientali, sociali e di governance (ESG), che potrebbe contribuire ad accrescere la consapevolezza del loro impatto sullo sviluppo sostenibile, generando anche effetti positivi nelle relazioni con gli stakeholder.

L’analisi degli impatti attuali e potenziali può, infatti, contribuire ad indirizzare le risorse verso le attività che portano maggior beneficio al contesto di riferimento, ma anche attrarre finanziamenti. Per queste analisi, le organizzazioni culturali e creative possono seguire le Linee guida per la redazione del Bilancio Sociale degli Enti del Terzo Settore, oppure trarre spunto dal settore profit, adottando gli indicatori tipici del reporting di sostenibilità; o ancora, adottare metodologie specifiche, quali le valutazioni econometriche derivanti da metodi utilizzati per la valutazione degli asset a fini contabili, la metodologia SROI – Social Return on Investment (SROI), o il già citato framework “Culture|2030 Indicators” dell’UNESCO.

La quantificazione degli impatti generati dalle imprese culturali e creative, profit e noprofit, può contribuire ad accrescere la disponibilità di informazioni relative alle sfere “Social” e “Governance” dei fattori ESG, che possono confluire non soltanto nei report delle stesse imprese culturali e creative, ma anche in quelle delle aziende che si troveranno nei prossimi anni a dovere affrontare le sfide poste dalla nuova Direttiva in materia di Reporting di Sostenibilità, la “CSRD” (Corporate Sustainability Reporting Directive).

Nuovi dati che, in termini strategici, possono così migliorare le performance complessive di sostenibilità delle imprese culturali e creative come anche delle aziende che le supportano, fungendo auspicabilmente da incentivo per l’investimento di ulteriori risorse in arte e cultura da parte del settore privato.

Un circuito virtuoso che potrebbe soltanto rafforzare la capacità della cultura di coadiuvare lo sviluppo sostenibile.

 

Manager nel team Sustainability di Deloitte in Italia, di cui fa parte dal 2017.

Lavora inoltre nel team Art&Finance, curando le pubblicazioni nazionali ed internazionali relative al mercato dell’arte, nonché lavorando su servizi che connettono sostenibilità, arte e cultura per clienti nazionali ed internazionali.

Dal 2023 è anche responsabile delle attività di marketing e comunicazione del Business Audit&Assurance di Deloitte.

Fa parte del gruppo di lavoro dedicato alla Sostenibilità e all’Agenda 2030 di ICOM Italia.

Lecturer in diverse università italiane.

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