Abbiamo tutti timore ad ammetterlo, ma le evidenze sono piuttosto palesi: lo scontro tra la Russia e l’Occidente ha scatenato una nuova Guerra Fredda, che potrebbe protrarsi nel tempo o terminare dopo questo inverno. Le conseguenze geopolitiche ed economiche (su cui proverò a concentrarmi) cominciano a delinearsi, senza che sia chiaro, almeno al momento, il vincitore. È necessario però fare un passo indietro nel tempo. Mi si perdonerà l’estrema sintesi: durante la Guerra Fredda del XX secolo, la contrapposizione tra Occidente (Usa e suoi alleati) e Unione Sovietica determinò una corsa agli armamenti, che inizialmente non intaccò i livelli di crescita economica dei 2 Paesi. Tra gli anni ‘50 -‘60, le due economie crebbero di circa il 4% medio annuo, (considerando anche la recessione del ’54), poi, la crisi petrolifera degli anni ‘70, un’economia stagnante a livello globale, le massicce spese militari e il sopravvento del modello capitalistico determinarono la caduta dell’economia sovietica e la formale disgregazione dell’URSS nel 1991. Contestualmente, gli USA superarono i difficili anni ’70, anche grazie a una felice influenza commerciale con i partner europei. È probabilmente da allora che la Federazione Russa abbia covato un forte sentimento anti-occidentale, soprattutto nei confronti degli USA. Arriviamo allora ai giorni nostri. Il conflitto regionale tra Ucraina e Russia è immediatamente deflagrato a livello mondiale per il blocco di materie prime energetiche ed alimentari da parte di Putin. Oggi ci troviamo in un delicatissimo bivio della storia. La Russia ha potuto strozzare l’economia dei Paesi “ostili” (cit.), riducendo o sospendendo di colpo le forniture di energia e causando sconquassi a livello mondiale, che hanno colpito anche gli odiati rivali americani, che seppur autonomi in termini di fabbisogno energetico, hanno risentito, in termini inflattivi, del prezzo energetico completamente impazzito su scala globale. Questo sta determinando un indebolimento del potere d’acquisto delle famiglie consumatrici (soprattutto occidentali), per cui è lecito pensare che seguirà una forte contrazione dei consumi e dunque una recessione economica, in un contesto internazionale già provato da due anni di pandemia mondiale. La Russia, ad oggi, ha saputo compensare le minori esportazioni di gas, con l’aumento dei loro prezzi, ma il fattore tempo rischia di esserle fatale. Infatti, al di là della propaganda, le sanzioni occidentali hanno sempre più isolato la Russia, che soprattutto in ambito tecnologico è fortemente carente. Inoltre, le spese militari continuano incessanti (nel passato le furono fatali) e non da ultimo, se l’economia globale dovesse entrare in recessione, i prezzi dell’energia diminuirebbero al pari della sua domanda, strozzando, per contrappasso, chi la crisi l’ha determinata per arricchirsi. La Russia si gioca il tutto per tutto questo inverno: se l’Europa non cederà al suo ricatto energetico, a costo di subire gli effetti di una dolorosa recessione, non avrà più risorse per finanziare la guerra, con le conseguenze sulla catena di comando del Paese, che ne deriverebbero. Nel 1972, in piena guerra fredda, ci fu la cosiddetta “sfida del secolo” per l’aggiudicazione del titolo mondiale, tra i due scacchisti più talentuosi di allora (Spasskij e Fisher), il primo russo (che difendeva il titolo) e il secondo americano. Vinse il secondo e la vittoria travalicò l’interesse della sola comunità scacchistica, ma anzi assunse clamore mediatico a livello internazionale. Oggi rivisitiamo drammaticamente le modalità di una finale di scacchi, questa volta tra Russia e Europa, ma con Usa e Cina interessati spettatori. Chi sbaglierà la prima mossa, sa che perderà la partita. E purtroppo questa volta non si assegna un titolo mondiale, ma il nostro diritto all’esistenza.