Il Made in Italy (forse) da non imitare
Con un annuncio sobrio ma efficace, nel telegiornale nazionale del 23 novembre, la Cina ha annunciato di aver sconfitto la povertà. Per carità, niente di paragonabile rispetto a quanto siano riusciti a fare i nostri amministratori, niente balconi e pugni roteanti in aria, ma apprezziamo lo sforzo cinese di copiare le nostre gesta.
La Cina aveva promesso nel 2012 di sradicare la miseria entro la fine del 2020. Nel 2019, 52 contee del Paese figuravano ancora nella lista delle aree indigenti, oggi, un mese prima della scadenza anche la ultima provincia del Guizhou è uscita dalla lista nera, con un tasso di soddisfazione tra i residenti locali superiore al 99% e un reddito medio pro capite medio di 1700 dollari circa.Ma questa è propaganda, sui cui è legittimo avere qualche dubbio. Vediamo qualche dato più realistico. Esistono tante Cine, che vanno dalle sterminate e poverissime zone rurali, fino a quelle hi-tech ed abbaglianti delle metropoli della “fascia costiera”: è ovvio che esistano due economie che marciano a velocità e con risultati totalmente in contrasto l’una rispetto all’altra.
È però vero che ci sia una riduzione sostanziale, anno per anno, del numero di persone che vivono in miseria, inoltre, la situazione dell’economia cinese, in generale, è decisamente positiva. Anche in questo anno drammatico, le previsioni di PIL cinese sono date da tutte le organizzazioni mondiali (e da tutte le banche d’affari internazionali) positive (in media +2% circa sul 2019) e in controtendenza assoluta con il baratro nel quale sono fiondate le principali economie del mondo occidentale.
Rimangono tuttavia dei fattori di base, soprattutto sulla disponibilità di materie prime, che, personalmente, mi fanno sorgere il dubbio che il miracolo economico cinese e il loro modello sociale delle “3 rappresentanze” non possano rimanere eterni. Infatti, la Cina ha solo il 6% delle risorse idriche mondiali e il 9% delle terre coltivabili, ma deve alimentare il 21% della popolazione mondiale, come pure non ha petrolio e gas naturale per sostenere la produzione delle sue industrie e li deve importare (soprattutto dall’Africa). E la lunga guerra commerciale del 2019 con gli USA ha determinato soluzioni autarchiche che hanno solo maggiormente affamato chi aveva già fame. Insomma, ho la sensazione che presto le reazioni di una quota di popolazione sempre più esasperata travalicheranno di colpo le severe maglie della censura governativa. Solo allora capiremo cosa riuscirà ad essere realmente il dragone cinese: il ruolo di leader internazionale che vorrebbe ricoprire, per essere duraturo, prevede il sostegno di economie meno sviluppate (o più rallentate), ma soprattutto l’ascolto prima e la dotazione poi, di valide soluzioni di welfare per la propria popolazione. Tutta. Chissà se (per allora) vorranno affidarsi ancora a slogan di italica memoria o decideranno che forse, per una volta, il Made in Italy non è da copiare..