Settembre 2021

Caterina Sambin- La “trappola” delle PMI familiari

Nonostante quanto affermato anche con convinzione, è difficile incontrare imprenditori che vogliano effettivamente vendere la propria azienda familiare o che siano effettivamente in grado di attuare e condividere percorsi di crescita dimensionale, stringendo partnership con altri imprenditori.

Perché? L’esperienza che sto vivendo mi porta a dare le seguenti interpretazioni.

Molte aziende familiari sono appositamente pensate e strutturate per mantenere consuetudini confortevoli a servizio della famiglia stessa dell’imprenditore e per il raggiungimento di obiettivi personali dell’imprenditore. Spesso ciò accade a scapito della ricerca degli obiettivi veri dell’azienda, ovvero il profitto generato da logiche di efficienza nei processi e nei fattori della produzione. Dimenticando che, se a casa propria ciascuno è libero di fare ciò che vuole, in azienda l’impostazione dovrebbe essere diversa: nelle aziende sono coinvolti molti portatori di interessi che pur non avendo nulla in comune con le famiglie degli imprenditori, talvolta sono coinvolti, ed ahimè travolti, dalle “logiche” che regolano i rapporti familiari. In tale impostazione l’unico in grado di reggere e condurre l’impresa è ovviamente il fondatore: in ipotesi di vendita separarsi dalla propria creatura o in ipotesi di partnership condividere strategie alla ricerca dell’efficienza diventa difficile se non impossibile. Se il timore dichiarato è “come posso garantire che l’azienda possa vivere senza la mia presenza?” il timore reale è “come posso garantirmi di vivere senza la mia azienda?”

L’imprenditore difficilmente è in grado di attribuire un valore equo alla propria azienda, ha scarsa oggettività di giudizio; niente al mondo potrà ripagare tutto il tempo, il sacrificio e la dedizione che quotidianamente e per decenni lo hanno vincolato alla sua creatura; e in funzione delle variabili più incontrollabili e disparate questo valore ha inoltre oscillazioni continue. In ultimo, l’imprenditore aspetta sempre il momento giusto per vendere …e questo momento non arriva mai, a maggior ragione in periodo di pandemia.

E allora rimane saldo in sella alla sua creatura finché non ci sarà l’occasione buona nel momento più propizio…Tuttavia, annebbiato dalla sua visione, rischia di non capire che l’occasione gli sfugge a causa della sua stessa convinzione. L’azienda virtuosa deve crescere costantemente ed essere costantemente alimentata da nuova linfa: l’imprenditore che invecchia in azienda e che se la tiene stretta senza lasciare spazi ai giovani o alle nuove collaborazioni fa il male della sua stessa azienda. Per poter essere definito “innovatore”, l’imprenditore deve far sì che l’azienda gli sopravviva e lasciare da parte la presunzione di essere l’unico che possa fare il bene della propria azienda.

Le imprese familiari, se animate da uno spirito di condivisione di strategie di crescita e da obiettivi di diversificazione, possono consolidarsi e raggiungere dimensioni tali da costituire una barriera protettiva contro le oscillazioni dei mercati e gli andamenti altalenanti dei diversi settori. In caso contrario e purtroppo molto frequente, di gelosie, presunzione e spirito da prime donne, l’enorme rischio è assistere impotenti ad una veloce ed inarrestabile involuzione dell’attività costruita in una vita di lavoro e sacrifici: si rimane intrappolati nella propria gabbia, realizzata con le proprie mani.

 

Il profumo del mare della Liguria l’ha richiamata a casa dopo gli studi in economia aziendale alla Bocconi. Si è occupata per molti anni di finanza agevolata, entrando in contatto con il mondo delle imprese che da sempre l’affascina, per la storia che ognuna di esse ha da raccontare. Discendente di una famiglia da generazioni attiva nel settore metalmeccanico, da circa 20 anni svolge attività imprenditoriale autonoma nell’ambito metalmeccanico impiantistico e medicale con il ruolo di CFO e direttore risorse umane. Sposata con il suo migliore amico (e dura da 13 anni), ha la ferma intenzione di proseguire insieme a lui il cammino di diversificazione aziendale, oltre che quello matrimoniale, ça va sans dire…

Ombre Cinesi

Nella scorsa settimana la volatilità dei mercati internazionali è aumentata in maniera consistente, certificata dall’indice Vix (o indice della paura) e amplificata dall’origine geografica della preoccupazione: la Cina.

Già. Ancora la Cina. “Ancora tu”, per dirla alla Battisti. E un altro N&M ( “Una patrimoniale in salsa cinese”) era stato appena dedicato sulle recenti riforme avviate in Cina e i loro effetti sui mercati globali.

Ma cosa sta succedendo? Brevemente: la seconda maggiore società immobiliari cinese (Evergrande) sta fallendo e la banca centrale cinese, è già intervenuta immettendo liquidità per circa 110 miliardi di $, per impedire che l’intero settore immobiliare cinese possa cadere nel marasma. (Curiosità: il nome scelto dal fondatore fu mezzo italiano e mezzo inglese perché fosse di buon auspicio.: “Grande per sempre”… non è andata esattamente così).

Una crisi come tante altre? Non proprio, perché la crisi della società è deflagrata anche per l’atteggiamento più severo delle autorità cinesi in tema di regolamentazione dell’attività economica: è stato dato un giro di vite sui debiti societari e sull’utilizzo della leva finanziaria da parte delle imprese. Non potendo più facilmente finanziarsi sul mercato domestico, la società in questione è dovuta andare a cercare soldi fuori, con condizioni molto più impegnative e questi debiti sono i primi ad essere “saltati”. Stiamo assistendo a una crisi tipo Lehman Brothers?

Probabilmente (e per fortuna) no e per una serie di motivi. Primo perché il governo cinese ha da poco avviato un sistema di regole molto più severe in termini di indebitamento societario, mettendo già in conto anche qualche problema di tenuta finanziaria. Si ballerà di certo, ma la turbolenza di mercato dovrebbe rientrare e in ogni modo il sistema bancario cinese ha spalle grosse per assorbire la perdita senza eccessivi traumi e permettere al partito comunista di rispettare gli obiettivi strategici e di crescita di lungo periodo (raddoppio PIL al 2035). Secondo, perché l’indebitamento di Lehman Brothers era stato comprato dalle maggiori economie mondiali, mentre per Evergrande (almeno per i dati ad oggi noti) i creditori sono in grandissima parte domestici (banche cinesi e altre istituzioni) e il debito sembra essere molto parcellizzato.

Di certo, bisognerà però capire se questo sia un caso isolato, o la recente svolta attuata dal governo centrale per raggiungere quella “prosperità sociale” tanto ricercata, non comporti, per paradosso, una diffusa instabilità finanziaria e/o una distruzione permanente di ricchezza.

“Con la ricchezza aumentano le preoccupazioni, con la povertà non diminuiscono”. Lo diceva Socrate, ma forse sarebbe stato meglio se fosse diventato anche un proverbio cinese.

Claudio Gargiullo-Tra impresa e istituzioni: il mondo della consulenza lobbystica.

Negli ultimi tempi abbiamo assistito ad un progressivo interesse da parte di privati ed Istituzioni su temi quali la digitalizzazione, la cyber security, il climate change, solo per fare alcuni esempi.

Su questi argomenti sono ancora in corso, non senza ovvie problematiche e accesi dibattiti politici, tutte le necessarie iniziative legislative per raggiungere in tempi quanto piu’ veloci una adeguata regolamentazione normativa.

La conoscenza tempestiva trasparente e neutrale di tali processi, la possibilità di rappresentare in adeguata sede le esigenze del proprio settore e di approfondire e ricostruire il percorso normativo di argomenti specifici, rappresenta un importante sostegno alle decisioni aziendali per indirizzare le proprie strategie in coerenza con l’evoluzione normativa.

Ho citato, a titolo di esempio, l’interesse diffuso per gli impatti derivanti dai cambiamenti ambientali e climatici, ma a nessuno sfugge che avere informazioni tempestive sull’indirizzo che le funzioni normative e legislative stanno prendendo può costituire un vantaggio competitivo di assoluto rilievo.

Conoscere la genesi e l’evoluzione della normativa comunitaria su specifici argomenti (si pensi solo alla focalizzazione sui rischi nel settore finanziario, in particolare nel suo iter formativo), soprattutto negli ultimi tempi in cui l’attività normativa è stata molto ricca e complessa, significa un supporto particolarmente utile per districarsi e per cogliere le nuove opportunità.

Ma se la conoscenza è la condizione necessaria, poter “intervenire” in maniera efficace per indirizzare in modo trasparente e neutrale nella formazione del processo normativo è lo scopo di una corretta attività di lobbying, che si realizza attraverso varie iniziative, quali l’affiancamento nei procedimenti amministrativi presso le pubbliche amministrazioni centrali, locali, statali e comunitarie e l’organizzazione di iniziative di accreditamento (incontri, tavoli e presentazioni) presso referenti istituzionali e stakeholders rilevanti nei settori di interesse.

Quindi conoscenza delle iniziative normative che possono impattare sul business aziendale, possibilità di essere rappresentati nelle diverse fasi del processo, e infine essere supportati attraverso l’affiancamento al management aziendale nella implementazione delle necessarie iniziative (predisposizione business plan, ristrutturazioni, corsi di formazione ecc.) diventano strumenti gestionali sempre più indispensabili in un mondo in rapida trasformazione.

 

Consigliere di Amministrazione di ISPRO Istituzioni e Progetti, societa’ operante sin dal 1994 e costituita inizialmente per fornire a soggetti pubblici e privati tutti i servizi necessari alla conoscenza e al monitoraggio dell’attivita’ parlamentare e governativa, e che ha poi via via ampliato la propria offerta a tutte le attivita’ consulenziali, informative e di supporto decisionale che consentano alle aziende clienti di sviluppare e rendere piu’ efficace il proprio business.

E’ stato Direttore Generale di Banca Carige Italia, Amministratore Delegato della collegata Banca Private Cesare Ponti, e ha ricoperto ruoli in diverse Commissioni Abi e Sedi regionali di Confindustria.

Rimmel italiano

Prologo. Se l’Italia confermasse la crescita sperimentata nel primo semestre 2021, a fine anno il PIL si assesterebbe a circa il +6% rispetto all’anno prima, in altre parole, l’economia del Paese tornerebbe quasi ai livelli (in termini di produzione e occupazione) pre Covid, con buona speranza di poterli finalmente toccare e anzi superare nel 2022. Fine del prologo.

Se avessimo esordito così in qualunque teatro italiano fino a due anni fa, ci sarebbe stato il silenzio generale, o peggio, qualche risatina di sottofondo.

Abituati a una crescita del “zero e qualcosina” da ormai anni, un enunciato di tale portata sarebbe stato poco credibile. Certo, di mezzo c’è stato il Covid, ma a confermare l’incredibile dato, per ora si sono già espressi numerosi istituti di ricerca, sia nazionali che internazionali, in attesa della ufficialità di fine mese con la Nota di aggiornamento al PNRR del governo.

Sul dato hanno inciso (e non poco) i 25 miliardi incassati dall’Europa sui quasi 49 miliardi erogati in totale (non possiamo di certo lamentarci), ma è ora che dobbiam giocare “bene ancora i quattro assi, bada bene, di un colore solo” (cit.) per aggiudicarci l’altra tranche da 25 miliardi.

Come fare allora per incassare l’intero jackpot?  Solo una cosa, che è poi quella più difficile: attuare le riforme promesse e consegnate nel PNRR, ovvero giustizia, concorrenza, pubblica amministrazione e fisco. In un Paese abituato alla stagnazione e a una decrescita (in)felice negli ultimi vent’anni, scommettere tutto sull’aumento della produttività grazie all’effettiva capacità di realizzazione delle misure programmate, potrebbe sembrare un azzardo.

Ma non abbiamo altre carte da giocare. E per un Paese che sta per toccare il picco massimo del suo debito pubblico (160% nel rapporto tra debito e Pil), dovrebbe essere a tutti chiaro che l’esito della partita dipenderà dalle capacità di intervenire sul “denominatore” e non più su “soluzioni fantasiose” del numeratore, come fatto in passato.

O forseChi (ci) ha fatto le carte, (ci) ha chiamato vincenti, ma uno zingaro è un trucco e un futuro invadente, fossi stato un po’ più giovane, l’avremmo distrutto con la fantasia”? (semi cit.)

Gianluca Caffaratti- Il vero significato del Welfare Aziendale

Quando mi domandano quale sia il core business della mia azienda, di fronte alla risposta “Welfare aziendale” le persone si suddividono in tre categorie, in base alle parole o alle espressioni che appaiono sui loro volti. Il primo nucleo di persone è caratterizzato da “gli esperti”.

Sono coloro che conoscono il Welfare, i vantaggi che porta alle aziende, e non solo.

Sono persone attente, informate ed aggiornate, con le quali spesso e volentieri si riescono a creare momenti di scambio e di confronto. Sono quelli che ne hanno capito il significato a 360° e che ne condividono i valori, e non soltanto la praticità o la sua convenienza economica.

Il secondo gruppo è composto da “coloro che non ne hanno la minima idea” e questa categoria, per quanto inizialmente mi faccia sorridere, è la più semplice su cui lavorare.

Rappresentano un terreno su cui si deve ancora piantare il primo seme, e di conseguenza mi dà modo di raccontare il concetto di “welfare aziendale”, che non è solo una parola in inglese che ormai fa parte del nostro vocabolario, ma è una vera e propria forza, un valore che può essere condiviso, uno strumento che gioca a favore della realtà in cui si opera sotto diversi aspetti.

Poi ci sono quelli che mi smorzano l’entusiasmo, che mi tirano una coltellata nello stomaco e mi rispondono “Ah sì, le Gift Cards!”. No, il Welfare non sono solo le Gift Cards!

Questo gruppo è forse il più complesso in quanto, nelle persone che lo costituiscono, si sia consolidata un’idea che, per scarsa conoscenza, non distrugge, ma sicuramente limita le opportunità legate a questo mondo. Il Welfare è un universo ampio, che si rispecchia nelle nostre vite ed in quelle delle altre realtà con cui decidiamo di rapportarci e di interagire, e che si discosta di gran lunga, a mio avviso, dal mero concetto di Gift Card.

Il Welfare è molto più di un buono benzina, di una carta per fare la spesa al supermercato, o di un codice che ti permette di acquistare l’ultima versione di ferro da stiro su Amazon. Si, si traduce anche in questo, ma penso sia doveroso metterne in risalto i valori e non soltanto la sua praticità.

Il Welfare quando vive e quando si muove nelle nostre vite, non opera soltanto a favore dei collaboratori o delle aziende, ma ha un impatto notevole sul territorio su cui agisce, sulle strade, sulle piazze, sulle attività e sugli angoli nascosti su cui ha modo di esistere. Si concretizza nella cartoleria all’angolo ed in tutte quelle realtà che abitano il nostro quartiere e che incontriamo mentre torniamo a casa, perché è territoriale, e di conseguenza sostenibile, perché agisce con forza e con risultato su tutti quei piccoli mondi che con la pandemia hanno vissuto sulla propria pelle il rischio di non esistere più. Il welfare è sociale, è solidale, è comunitario: incentiva, motiva, sostiene ed aiuta concretamente il proprio territorio, e non soltanto le grandi aziende di fast fashion o i colossi del mondo online. Il welfare significa creare dinamismo e dare vita ed opportunità a coloro che ci circondano, significa aiutare la cartoleria del quartiere, andando lì, attraverso una piattaforma, ad acquistare i libri scolastici per i propri figli, dando così un’opportunità, ricreando rapporti e valore sul nostro territorio.

Questo per me è il vero Welfare, non quello che si limita nella definizione di fringe che rimane intrappolato in uno schema freddo e ristretto, ma quello flexible, quello territoriale, vivo, che si muove nelle nostre strade e che rende il concetto di scambio e valorizzazione i suoi capisaldi.

 

Gianluca Caffaratti è un imprenditore genovese con un background manageriale all’interno delle risorse umane di grandi multinazionali. Nel 2017 fonda Happily, Società Benefit, che si occupa di sviluppare Piani di Welfare Aziendale e progetti di Benessere Organizzativo, di cui è proprietario ed amministratore delegato. Da sempre attento ai temi della sostenibilità e attivo sul territorio, ad oggi è il neoeletto presidente dell’associazione AIDP Liguria e scrittore del libro “La Favola del lavoro”.

Una patrimoniale in salsa cinese

Il presidente cinese Xi Jinping approfittando della scarsa attenzione internazionale incentrata sulla crisi afgana o più semplicemente dalla pausa agostana, ha deciso di aprire una stagione di riforme epocali, volta a riequilibrare le differenze tra i super ricchi e l’ancora enorme massa di poveri del suo Paese. “E’ giunto il momento che i ricchi restituiscano parte della propria fortuna” ha detto tranchant alle tv nazionali, nel suo primo discorso dopo le vacanze.

Un cambio di rotta sostanziale dopo quaranta anni, almeno, di riforme incentrate sulla ricerca del successo personale. Un ciclo di riforme che ha colpito prima i grandi gruppi tecnologici, poi l’afflusso di nuovi capitali esteri, poi il settore dell’istruzione privata e da ultimo i redditi più elevati. Due sono i nuovi obiettivi dichiarati: “benessere collettivo” e “prosperità condivisa”.

Una nuova era in cui si sente la necessità di “ragionevolmente regolamentare i redditi eccessivamente alti” e “incoraggiare le imprese più ricche a restituire di più alla società”. Il benessere collettivo è “un requisito essenziale per una economia di mercato socialista, con caratteristiche cinesi”, ha ribadito il Presidente.

E per i super ricchi locali e (i mercati finanziari cinesi) è stata davvero una doccia fredda: la patrimoniale “alla cinese” ha pesantemente impattato sui corsi azionari delle maggiori società quotate in loco, ma anche sulle maggiori aziende internazionali del lusso.

In effetti le disparità sociali presenti in Cina sono ancora enormi rispetto a qualsiasi altra nazione di comparabile importanza economica: il 10% più ricco della popolazione pesa circa il 41% del reddito nazionale e la differenza di tenore di vita assume sproporzioni colossali tra città/campagna e tra province costiere/province periferiche. E questo potrebbe spiegare il crollo dei corsi azionari cinesi e il malumore locale per i più abbienti.

Ma perché la patrimoniale cinese ha impattato anche il mercato del lusso interazionale? (per dare una idea, il colosso francese LVMH ha bruciato circa 40 miliardi di euro nei giorni immediatamente dopo l’annuncio di Xi Jinping).

Perché il mercato dei consumi è unico: il rischio che le nuove riforme limitino i livelli di spesa dei ricchi cinesi (tra i maggiori consumatori mondiali del prodotto lusso) nell’acquisto compulsivo della (ennesima) borsetta griffata francese o del piumino esclusivo Made in Italy è altissimo. E qui le lacrime non solo cinesi, ma anche francesi, italiane e di molti altri Paesi che esportano il lusso nel mondo. C’est la vie o per citare il titolo di una vecchia telenovela: anche i ricchi piangono