Ottobre 2024

Oh my Gold! (1 di 2)

Nel 1980 il Time, celebre per le sue copertine iconiche, inseriva un lingotto d’oro nella sua prima pagina, con il titolo “Ingot we trust”, giocando sulla paronomasia tra “God” (Dio) e “Ingot” (lingotto d’oro). Sono passati 44 anni e la corsa del metallo giallo prosegue spedita segnando nuovi massimi e consacrandosi come bene rifugio per eccellenza. L’oro è qualcosa che si può toccare ed è conosciuto da tutti: diventa particolarmente interessante quando le altre asset class sono in crisi.

È solitamente de-correlato dai mercati finanziari, ma c’è sempre l’eccezione che conferma la regola: il 2023 è stato un anno molto positivo per entrambi.

L’anno appena concluso si è portato in eredità questioni irrisolte dall’anno precedente (conflitto in Ucraina)e generandone di nuove (conflitto in Israele). Situazioni così complesse che hanno portato l’oro ancora più al centro dell’attenzione, confermando la regola aurea (per l’appunto…) di essere particolarmente richiesto in situazioni storiche critiche.

Del resto, dalle maschere micenee al culto dei faraoni, dall’antico testamento, alla Bibbia, dall’esser uno dei doni dei re Magi, al rappresentare uno dei sette tesori nel Buddismo, l’oro non ha mai conosciuto né limiti territoriali, né storici, né religiosi che potessero limitare il suo mito.

Ma è stata la sua storica capacità di rappresentare la base per le valute di molti stati a consacrarne il valore. Dalle prime monete d’oro, coniate nell’Asia Minore nel 560 a.C. fino alla fine degli accordi di Bretton Woods (1971, con la fine della piena convertibilità dollaro in oro), la politica monetaria internazionale ha trovato nel metallo giallo il punto di equilibrio, da cui stabilire i rapporti di forza e valutari tra i singoli stati.

Fior fior di economisti sostennero che l’avvento della carta moneta, scollegata quindi dalle riserve auree, avrebbe ridotto il suo valore drasticamente, limitando il suo uso a quella porzione necessaria per realizzare monili di indubbio valore estetico. E in effetti all’inizio fu proprio così: negli anni ’70 il prezzo dell’oro collassò dagli 800 dollari per oncia ai 252 dollari nel 2001. Come ha fatto poi a risalire allora ai 2.650 dollari e passa per oncia attuali? Gli economisti non avevano (probabilmente) fatto i conti con la paura che agita gli animi dell’uomo. Ogni volta che l’uomo teme gli effetti di una crisi economica, o peggio, una perdita di valore dei soldi che ha in tasca si rifugia in qualcosa di fisico che resista alla volatilità dei mercati. Ma questo può spiegare la prima parte del rally cominciato nell’era Covid nel 2020 e poi accelerato con la guerra ucraina nel 2022. Ma cosa giustifica questa folle corsa dell’ultimo biennio?

Ne parleremo bene la prossima volta, collegandola anche alla crescita con gli altri metalli preziosi e metalli industriali, ma analizzando solo la performance dell’oro va detto che buona parte della recente crescita (2023 e 2024) sia da collegare al fenomeno della de-dollarizzazione in atto (a cui sono stati già dedicati ben due approfondimenti in questa rubrica lo scorso anno),  al coinvolgimento di molte banche centrali, di cui una in particolare modo ( People Bank of China)  e da ultimo, da una sostenuta domanda retail, proprio per la sua natura di diversificazione.

Quanto durerà questa crescita?

Mai come ora gli analisti delle grandi banche d’affari si dividono tra chi vede per il 2025 una rottura della barriera dei 3.000 dollari per oncia e chi invece più cautamente prevede una correzione, se non un cambio di inversione, dovuta proprio al venire meno di uno dei grandi protagonisti di questa “corsa all’oro”: la Cina.

Pechino da maggio ha interrotto l’accumulo di riserve auree. Non solo: la forte ripresa dei listini azionari cinesi di questi giorni, in reazione agli stimoli appena varati dal Partito Popolare potrebbe anzi ancora di più drenare liquidità dal lingotto (che fino a poco tempo fa era invece l’unico asset a dare qualche soddisfazione).

Un proverbio dice: “L’oro adora le brutte notizie”. Sarà vero anche nel 2025? Ah, saperlo…

Ernesto Lanzillo-Imprese e giovani crescono sostenibilmente

L’attuale scenario competitivo impone alle imprese di continuare ad investire nell’ambito della sostenibilità.

I leader aziendali sono ben consapevoli che devono consolidare il proprio approccio green ed elevarlo a punto cardine su cui basare le proprie strategie di crescita. Infatti, come emerge da un recente studio di Deloitte condotto a livello globale su oltre 2.100 top manager (Deloitte, CxO Sustainability Report 2024), gli sforzi legati alla sostenibilità da parte delle imprese stanno diventando centrali e c’è una forte attenzione alla trasformazione dei modelli di business e all’integrazione di considerazioni sulla sostenibilità in tutte le operation. Circa la metà delle aziende intervistate (45%) sta trasformando i propri modelli di business per affrontare il cambiamento climatico e pone la sostenibilità come punto cruciale della propria strategia, dimostrando un forte impegno nell’integrarla nelle principali funzioni aziendali. Inoltre, per oltre una azienda su tre (35%) le considerazioni sulla sostenibilità sono state incorporate in tutta l’organizzazione e, sebbene questi sforzi non abbiano ancora un impatto sul modello di business principale, ciò indica comunque un riconoscimento diffuso dell’importanza della sostenibilità all’interno di tali contesti aziendali. Tutte le organizzazioni, a prescindere dalla propria dimensione, si stanno muovendo in questa direzione, cercando di rispondere dell’impatto della propria attività su ambiente e clima e di convergere verso scelte di consumo e investimento orientate alla responsabilità ambientale, sociale e di governo.

Questa traiettoria è importante, soprattutto in ottica prospettica, se si pensa a quanto le fasce più giovani della popolazione diano importanza al tema della sostenibilità.

Infatti, come emerge dalla Millennial Survey Deloitte, indagine condotta su oltre 14 mila GenZ e più di 8 mila Millennial in 44 Paesi del mondo, guardando al nostro Paese, c’è una sensibilità elevata rispetto al cambiamento climatico: il 68% della GenZ italiana e il 64% dei Millennial italiani dichiara di essersi sentito “preoccupato o ansioso” su tale tematica. I giovani, inoltre, vogliono avere un ruolo attivo in questo percorso di sostenibilità e pensano di poter influire sulla società nella sfida della “protezione dell’ambiente” (62% GenZ e 53% Millennial).

Rispetto ai comportamenti di consumo, oltre 7 su dieci (72% GenZ e 77% Millennial) hanno cercato di ridurre il proprio impatto ambientale tramite una serie di azioni e scelte concrete; ad esempio, già oggi rinunciando al fast fashion, eliminando o limitando i voli aerei, oppure adottando una dieta vegetariana o vegana.

Assumere comportamenti consapevoli rispetto alla sostenibilità è un percorso su cui le imprese devono continuare a misurarsi, considerando che il 23% della GenZ e il 25% dei Millennial dice di informarsi sull’impatto ambientale di un’impresa prima di acquistarne i prodotti o servizi.

Inoltre, va considerato che i giovani non sono solo consumatori, ma anche bacino di potenziali talenti da attrarre nella propria impresa. Da questo punto di vista, un elemento di riflessione per aziende e leader è relativo al farsi portavoce di valori positivi che siano in armonia con i target più giovani. Questi, oggi, nel guardare alle scelte del proprio mondo del lavoro, ritengono rilevanti aspetti che vanno oltre il reward economico: avere un “purpose aziendale è importante per la loro soddisfazione e benessere lavorativi e per la maggior parte di loro il lavoro dà uno “scopo” e l’azienda lo deve comunicare in modo chiaro in modo che esista condivisione con il giovane dipendente. L’allineamento tra i valori personali e quelli dell’impresa e della leadership è un aspetto da non trascurare, anche in ottica di attraction e retention dei talenti.

Oltre alla reputazione sostenibile dell’azienda e all’allineamento valoriale tra azienda e dipendenti, c’è anche la valorizzazione del merito da considerare come fattore di successo nella gestione aziendale delle nuove generazioni. Essere sostenibili oggi passa anche dalla capacità di un’impresa di valorizzare il merito, inteso come aspettativa di poter contribuire con le proprie competenze e grado di esperienza, incidendo in maniera positiva e proattiva sulle scelte strategiche dell’azienda.

Tra gli elementi che determinano la scelta o la permanenza dei giovani in un’organizzazione risultano l’equilibrio tra lavoro e vita privata, l’opportunità di apprendimento e di sviluppo delle proprie competenze e carriera, la presenza di benefit finanziari e di orari flessibili, così come il vivere dentro una cultura aziendale positiva e trarre un “senso” dal proprio lavoro.

Le aziende per assicurarsi una reputazione di sostenibilità elevata devono investire nei processi di valutazione per far sì che il merito, ove presente, venga riconosciuto e adeguatamente premiato, così da indirizzarsi verso uno sviluppo sostenibile del business.

L’attenzione alla sostenibilità non si riflette però solo sui giovani in quanto talenti da assumere e far crescere, ma anche sui nuovi leader del futuro, che guideranno le imprese in un contesto sempre più orientato al green. E questo vale anche per imprese di piccole e medie dimensioni dove, in prospettiva, a guidare le aziende saranno sempre più le nuove generazioni di Millennial e GenZ, maggiormente sensibili ad adottare strategie ed azioni sostenibili.

Questi sicuramente potranno incrementare le performance sostenibili e allinearle a quanto fatto dalle imprese più strutturate che, ad oggi, hanno un ingaggio maggiore in tal senso: secondo la rilevazione Istat (Istat, Pratiche sostenibili nelle imprese nel 2022 e le prospettive 2023-2025) le piccole imprese manifatturiere che hanno intrapreso azioni di sostenibilità nel 2022 risultano la metà (43,6%) rispetto a quelle di maggiori dimensioni (86,9%).

In prospettiva, ci si attende che le PMI migliorino il proprio approccio generale alla sostenibilità, assicurando elevata priorità su processi e prodotti, facendo attenzione agli aspetti sociali e sviluppando una governance e una cultura imprenditoriale sempre più solide e più responsabili.

 

 

Dal 2002 è partner di Deloitte e membro della divisione Audit & Assurance di cui è stato il re­sponsabile mercato sino al 2023.

Dal 2018 è leader di Deloitte Private dell’area Centro Mediterranea (Italia, Grecia e Malta) ed è componente del Comitato Esecutivo del network Deloitte Centro Mediterraneo.

Laureato in economia all’Università di Genova, è dottore commercialista e revisore contabile.

Nel corso degli anni, ha maturato ampia espe­rienza nella revisione di gruppi quotati e non quotati delle aree retail, trasporti ed entertain­ment. Con riferimento al ruolo di Leader in Deloitte Private, si occupa del co­ordinamento di tutte le offering che il network multidisciplinare Deloitte offre ai clienti del seg­mento, rappresentato da impre­se familiari, famiglie e loro consulenti (family office, wealth manager, private banker), Hnwi e Uhnwi, startup e PMI.

Con Deloitte Private ha lanciato nel 2020 il ma­ster in gestione innovativa dell’arte e dal 2018 il premio Best Managed Companies.