Maggio 2020

Riccardo Motta – I riflessi del Covid sul sistema Bancario

Il COVID-19 rappresenta nel mondo dell’economia il così detto  “cigno nero”, ovvero, un evento raro ad elevato impatto economico-sociale. Questi eventi fuori standard trovano spesso gli operatori stessi impreparati e costretti a ricorrere ad espedienti tattici (i più reattivi) o misure graduali wait and see (i più attendisti).

Le Banche di tutti i Paesi colpiti dalla pandemia stanno sostenendo i propri clienti con iniezioni di liquidità e agevolazioni sul credito, favorite dall’attività delle Banche Centrali e dei Governi, nonché da una base di capitale regolamentare in media più elevata rispetto alle precedenti crisi. Gli Istituti si sono trovati a dover garantire la continuità del business, seppur dovendo ridurre l’operatività delle filiali, e spostandola su canali self e call center, ricorrendo allo smart working dei dipendenti e la messa in opera di nuovi processi per contrastare le frodi informatiche. La gestione dell’emergenza è solo un aspetto che non può tuttavia trascurare le conseguenze, e anche le opportunità, degli impatti del COVID-19 nel medio e lungo periodo. Nonostante i cigni neri” costituiscano infatti eventi rari, le maggiori crisi del XXI secolo scorso hanno comportato una generale accelerazione nell’adozione di nuove tecnologie e diffusione di trend digitali, ( quella dell’11.09 con la diffusione massiva di Internet e del Mobile, quella del 2007/08 con l’affermarsi dei Social Media quali strumenti di informazione e interessi della collettività). Ad ogni frattura, il mondo economico e sociale ha risposto trovando una forma nuova per ricostruire un’identità, anche attraverso l’uso della tecnologia. In un’Italia con una maturità digitale ancora in ritardo, stiamo assistendo ad un forte incremento nel commercio elettronico e gli effetti di questa pandemia sui comportamenti di consumo si estenderanno anche al contesto bancario. La pandemia sta agendo da catalizzatore ed acceleratore dei progetti di trasformazione digitale e tecnologica. In uno scenario più ostile agli assembramenti e al contatto ravvicinato, le Banche dovranno  riconfigurare il modello distributivo fisico, incentivando la clientela ad un utilizzo più esteso dei canali digitali, potenziati e, in alcuni casi anche ripensati, al fine di garantire stessi livelli di servizio anche per i neo-utenti meno digitali.  Ma la rivoluzione non escluderà nemmeno i Wealth Manager, che più di altri basano il modello di business su relazione con i propri clienti. La sfida sarà quella di trovare risposte credibili in grado di trasformare le paure e le incertezze dei clienti in occasioni di investimento e protezione. Ne beneficeranno gli operatori che sapranno riconquistare la fiducia degli investitori con soluzioni rivolte al benessere (non solo finanziario) della famiglia e dell’attività economica. La trasformazione dei modelli di servizio dovrà muoversi congiuntamente all’evoluzione dell’organizzazione del lavoro, proseguendo il percorso di digitalizzazione già in atto. Lo “smart working” è un’opportunità concreta per tutti (maggiore flessibilità per i dipendenti, efficientamento degli spazi, impatto positivo su mobilità e inquinamento), se accompagnato a un cambiamento culturale : la necessità di convertire il profilo dei dipendenti e agevolarli nella acquisizione delle competenze digitali.

Servirà trasformare l’assetto organizzativo tradizionale verso modelli di collaborazione agile e meccanismi di coordinamento meno gerarchici e più funzionali, in un contesto in cui le connessioni digitali superano i confini delle mura degli uffici. Gli investimenti in innovazione e tecnologia saranno al centro delle strategie aziendali dei prossimi 3-5 anni, integrando nuove professionalità digitali ai più alti livelli aziendali. Le situazioni di crisi estrema, pur nella loro drammaticità, devono anche essere viste come momenti di riflessione manageriale e come opportunità per creare organizzazioni bancarie ancora più flessibili, più resilienti, più veloci nel realizzare i cambiamenti in atto. Mettendo sempre al centro la fiducia e i bisogni dei clienti. Che, alla fine, rappresentano il maggior valore per le banche.


Riccardo Motta, Senior Partner Deloitte
Email: rmotta@deloitte.it

Biografia
Financial Market Industry Leader di Deloitte Central Mediterranean.

È partner audit dal 1998, Dottore Commercialista e Revisore Legale dei Conti in Italia.
Ha assunto il ruolo di revisore per numerosi istituti bancari in Italia ed è attualmente revisore del Gruppo UniCredit e del Gruppo Cassa Depositi e Presiti
Esperto di IFRS/IAS, ha una solida esperienza in incarichi di due diligence nell’ambito delle acquisizioni, in particolare per l’Europa Centro-Orientale.
É spesso chiamato come esperto da numerosi tribunali italiani per stilare pareri, fairness opinions e valutazioni su molte operazioni di finanza straordinaria.
Vive e lavora a Milano.

MES: quali vantaggi?

Dove eravamo rimasti? Ah già. Si era vista la convenienza (economica) di aderire al MES.

Ma sul MES si sa, girano brutte storie. Si dice ad esempio che se lo chiediamo, finiremo come la Grecia.

Ma cosa è successo realmente? Premessa importante: il MES sanitario ha una struttura diversa e soprattutto condizionalità del tutto diverse dal Fondo salva Stati attivo dal 2012, che prevedeva l’accettazione di un piano di riforme sotto il controllo della “Troika”, (Commissione Europea, BCE e FMI). Seconda premessa: ad accedere al MES (per ora) sono stati: Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro, tra il 2010 e il 2013, quando erano vicino al default e andare sul mercato era per loro diventato impraticabile. Come si valuta l’efficacia di un strumento? Ad esempio cercando di analizzare gli andamenti dei principali indicatori sociali ed economici. E qui il verdetto è abbastanza unanime: tutti i Paesi  (post Fondo salva Stati) hanno aumentato il PIL, diminuito la disoccupazione e hanno avuto mercati finanziari in grande spolvero. Tutti, almeno, meglio dell’Italia, che non l’ha mai utilizzato, ma la cui economia è rimasta “mediamente immobile”. Qualche numero, può essere d’aiuto (intervallo 2012-2019). Il PIL dell’eurozona è cresciuto del 22% circa (dati cumulati) in Spagna del 21% circa, in Portogallo del 26% e in Italia del 10%. La Grecia invece è calata del -2% (ma nell’ultimo triennio è stato positivo). E la disoccupazione? Dopo un iniziale sbandamento, la Spagna, il Portogallo, la Grecia sono passati rispettivamente dal (circa) 25%, 16% e 25% al 14%, 7% e 17% di fine 2019. L’Italia nello stesso intervallo dall’11% al 10%, mentre l’eurozona dall’11% al 8%. I dati sul rapporto debito/Pil mostrano una crescita per tutti e minore per l’Italia: Spagna da 53% a 96%, Grecia da 127% a 177%, Portogallo da 88% a 118% e Italia da 117% a 135%, (area Euro da 80% a 84%). Anche lo spread (sul bund) è calato: quello greco è passato dai 3600 bps del 2012 a 164 bps di fine 2019, quello spagnolo dai 635 bps ai 65 bps, in Italia dai 500 bps del 2012 ai 161 di fine 2019. Riassumendo e nella difficoltà di una analisi causa-effetti più precisa: generalmente chi ha aderito al MES ha beneficiato in termini economici, L’Italia invece, ha voluto/dovuto contenere di più il debito pubblico e non è cresciuta. In Grecia tuttavia, i benefici del MES hanno avuto un prezzo sociale: la politica di austerità ha colpito duramente e sono aumentate le diseguaglianze sociali. Ora i dati sono però in miglioramento. Faremo allora la fine della Grecia? Dipende. La Grecia ha pagato lo scotto perché i dati greci erano palesemente falsati. (per anni) Inoltre, la sua economia è caratterizzata da alta evasione fiscale e da un sistema di pubblica amministrazione inefficiente. Il debito è pur sempre un debito. L’Europa e IL FMI l’hanno aiutata, ma hanno preteso delle riforme. Sicuramente dolorose. Negli altri 4 paesi non abbiamo invece questa situazione. Dipende quindi da noi. Cosa decidiamo di fare e chi prendere come modello. Stare fermi e aspettare, può essere una soluzione «di mezzo», ma non è una scelta. Soprattutto, temo, non sia una soluzione sostenibile nel tempo. Il mio (ormai famoso) capo (che cito sempre) diceva di diffidare dalle scelte di mezzo: “Un uomo con la testa nel forno e i piedi nel freezer sta mediamente bene”.

riccardo puglisi

Riccardo Puglisi – Le parole dell’economia durante la crisi del Coronavirus

Per il Manzoni si trattava di “fare di necessità virtù”, mentre per Horace Walpole era questione di serendipity: in che modo possiamo capire meglio i concetti economici a motivo delle privazioni connesse al contenimento dell’epidemia del COVID 19? Come consumatori ci viene subito spontaneo focalizzarsi sul lato della domanda, cioè sul fatto che -per forza di cose- non acquistiamo più quello che normalmente acquistiamo: dal caffè al bar alla casa affittate su piattaforme social.

Ma la storia non finisce qui. Chi produce –cioè chi sta sul lato dell’offerta- se ne accorge subito, ma dopo un po’ tutti gli altri se ne accorgono (o dovrebbero farlo): conviene produrre di meno perché 1) c’è molta meno domanda e 2) –(come nel caso di divieti estesi anche al lato della produzione)- le disposizioni coercitive del governo impediscono di farlo. Se la domanda si prosciuga o non è possibile produrre, una percentuale importante di lavoratori viene lasciata a casa: in un paese civile è il welfare state che deve occuparsi di ciò tramite strumenti come il sussidio di disoccupazione universale o la cassa integrazione

Qui entrano in gioco contemporaneamente la politica fiscale e la politica monetaria: uno stato (o l’intera Unione Europea) ha la possibilità di fare politiche di spesa in deficit, cioè di aumentare la spesa e abbassare la tassazione facendosi finanziare da chi ha risorse monetarie disponibili. In un mondo in cui non si usa più la cosiddetta moneta-merce (cioè una moneta che ha un valore intrinseco come nel caso di monete d’oro e argento) la banca centrale ha sempre risorse monetarie disponibili in quanto può emettere tutta la base monetaria che desidera, tenendo conto del solo rischio dell’inflazione, che al momento appare molto basso (per usare un eufemismo). Queste risorse aggiuntive create dalla banca centrale finanziano le banche, e finanziano gli stati attraverso l’acquisto dei titoli di debito.

Tuttavia, il sacrosanto utilizzo della politica economica nello stile di Keynes, cioè per espandere la domanda aggregata in una situazione di grave crisi non deve far dimenticare l’altro concetto economico fondamentale in economia, cioè l’offerta di beni e servizi.

Se ci pensiamo bene la questione è persino banale: noi consumiamo beni e servizi, non banconote o depositi bancari. Qui dovremmo ricordarci di un concetto che la versione caricaturale italica del pensiero keynesiano purtroppo ci ha fatto dimenticare: la domanda si crea dal lato dell’offerta, ovvero i fattori produttivi (lavoratori e capitalisti) ottengono potere d’acquisto utilizzabile per comprare altri beni a motivo del fatto che sono attivi in imprese che producono e vendono beni e servizi “di successo”, cioè beni e servizi il cui prezzo è inferiore alla disponibilità a pagarli da parte di chi è coinvolto nell’attività produttiva generale. Infinite quantità di moneta, cioè una politica keynesiana sontuosamente generosa nell’espansione della domanda nulla o quasi nulla può di fronte a un’assenza di produzione, o –in termini più generali che ci riguardano molto da vicino – una scarsa e stagnante produttività del paese.

 


Riccardo Puglisi, Docente di economia politica
Email: riccardo.puglisi@unipv.it

Professore associato di Economia Politica all’Università degli Studi di Pavia. Alunno del Collegio Ghislieri (con buona pace dell’amico borromaico Pietro Ripa), ha studiato a Pavia (laurea in economia e dottorato in finanza pubblica) e alla London School of Economics (Master e PhD in economia). Si occupa principalmente del ruolo politico dei mass media, di finanza pubblica, e del ruolo economico delle istituzioni politiche. Insegna corsi di economia politica, scienza delle finanze e political economy a Pavia e all’Università Bocconi. Redattore de lavoce.info, nel 2013-14 ha fatto parte del gruppo di lavoro sui costi della politica nell’ambito della spending review condotta da Carlo Cottarelli. Ama fare divulgazione sui social network e in particolare su Twitter. Cerca di non essere troppo noioso a patto che gli si permetta di leggere molti PDF.

abaco

MES tua, vita mea

Ahia.. so benissimo che si entra in un tema spinoso e fonte di continue polemiche di carattere politico.

Ma proviamo a rappresentare la situazione, scollegandola dai colori politici. L’Europa ci ha fatto una offerta: tutti i paesi che intendono aderire al “MES sanitario” possono ricevere fino al  2% del proprio PIL ad un tasso dello 0,105% più una commissione iniziale dello 0,25%. Con l’unica condizionalità che i soldi vengano spesi nel settore sanitario, sia per costi diretti che per costi indiretti. Facciamo un attimo di conto per capire meglio. Il 2% del PIL italiano è circa 36 miliardi di euro.

Oggi un BTP decennale costa (per chi lo emette, cioè lo Stato Italiano) 1,83%. Facciamo finta di emettere 10 miliardi. Il costo complessivo per l’Italia è di 183 milioni di euro ogni anno. Ovvero, in 10 anni (durata del titolo), lo Stato spende (di interessi) 1 miliardo e 830 milioni di euro.

Sempre lo stato italiano decide invece di aderire al MES per lo stesso importo e per la stessa durata (10 anni). Il costo complessivo, nei 10 anni,  sarebbe di 10,5 milioni (all’anno)+ la commissione iniziale di 25 milioni, ovvero 130 milioni nei 10 anni.

Dunque il risparmio che ne deriverebbe, sarebbe di 1,7 miliardi di euro (sui 10 anni e per una emissione di 10 miliardi).

Ammettiamo che l’Italia ingolosita da cotanta opportunità, decida allora di collocare tutti i 36 miliardi a disposizione. In questo caso il risparmio diventerebbe di 1,7 *3,6= 6 miliardi circa, o se si preferisce 600 milioni all’anno. Tutti i calcoli sono fatti sull’ attuale livello di spread,  se poi lo spread dovesse salire il vantaggio aumenterebbe ulteriormente.

Tanti? Pochi?

Ognuno ha ovviamente la sua scala di riferimento. Però 6 miliardi di euro di risparmio, su 10 anni, significano minor tasse, ad esempio. O maggiori inserimenti di personale medico e sanitario.  E in tempi di crisi (sanitaria o meno) non fa male. O servizi migliori (si spera).

«Eh, ma Il MES ha fatto disastri in Grecia!».. Vero? Non vero? Per ora fermiamoci qui. Nella prossima puntata vediamo se è così vero che il MES abbia portato danni… mica posso raccontare tutti i pro e i contro del MES proprio oggi…

Paolo Macrì – 2020: crisi e opportunità da Covid-19

Sostenibilità ambientale, big data, intelligenza artificiale, telemedicina e robotica: sono davvero tante le opportunità e le innovazioni che avrebbero dovuto caratterizzare l’anno 2020. Le aspettative positive sono state deluse (in rari casi potenziate) dall’impatto imprevisto del Covid-19. Nessuno (o quasi) avrebbe previsto le drammatiche conseguenze che stiamo vivendo oggi, in primis per la salute delle persone e poi per tutto il mondo di imprese e istituzioni. È azzardato e imprudente fare previsioni a medio o lungo termine su quelle che saranno le ricadute sociali, economiche e politiche. Forse solo dopo la concreta possibilità di avere un vaccino collaudato e disponibile, si potranno fare ipotesi stabili e credibili, ma in ogni caso, la società globale si sarà nel frattempo modificata, delineando nuove abitudini, assetti ed equilibri (o squilibri). Guardando al mondo del lavoro, il lock-down ha imposto una condizione di paralisi a una percentuale elevatissima di aziende, (soprattutto Micro PMI), con effetti devastanti su quelli che saranno i conti economici dell’anno, cui seguirà una crisi occupazionale. Alcune nicchie di mercato sono in crescita: alimentari e GDO, ICT e telecomunicazioni e in parte mondo farmaceutico. Ma è un “segno più” ampiamente insufficiente rispetto a turismo e ristorazione, automotive e trasporti, moda, commercio al dettaglio, servizi e consulenza, edilizia e artigianato, che hanno subito un profondo rosso di almeno tre mesi.

La Fase 2, anche definita di “convivenza con il virus”, per alcune aziende o settori continuerà a essere proibitiva, per altri sarà occasione di ripresa verso una nuova normalità, sempre che un possibile effetto yo-yo non riporti al blocco totale. Come in borsa potranno esserci rimbalzi e opportunità, sfruttando i vuoti rimasti in questi mesi e creando prodotti o modelli di servizio che sono nati durante la crisi. La situazione di emergenza ha obbligato una moltitudine di persone a imparare cose nuove, (nelle relazioni sociali, nei consumi, nel modo di informarsi e intrattenersi) e anche a lavorare diversamente. Un’automatica necessità di formazione e alfabetizzazione informatica ha pervaso le famiglie italiane, che in poche settimane hanno introdotto l’uso quotidiano della videoconferenza, dell’e-commerce, dell’intrattenimento online e di tecnologie e piattaforme che saranno certamente utili per l’immediato futuro. L’auspicio è che la rinnovata competenza nella fruizione di strumenti IT riesca a colmare almeno parzialmente il gap tecnologico che caratterizzava gran parte della popolazione e della società produttiva. L’utilizzo consapevole e diffuso delle ICT potrebbe poi consentire un nuovo inizio: il realizzarsi della società dell’informazione o società della conoscenza, un’occasione di democrazia culturale, in grado di trasformare la nostra economia verso sane forme di globalizzazione, equità sociale e sostenibilità.

Forse, l’automobile non è più il bene simbolo della civiltà occidentale, la sensibilità e il rispetto verso l’ambiente sono cresciuti, il desiderio di un’informazione imparziale e oggettiva si è diffuso, la classe politica potrebbe imparare nuovi modi di porsi verso i cittadini, perfino le istituzioni hanno dimostrato che l’impossibile era possibile, a Genova, con la ricostruzione del Ponte. Forse, il Coronavirus ci ha fatto scoprire “La Civiltà dell’Empatia”. “La corsa verso la coscienza globale nel mondo in crisi”: è il titolo di un saggio scritto da Jeremy Rifkin, poco più di dieci anni orsono.


Paolo Macrì, Imprenditore
Email: paolo@gallerygroup.it

Laureato in Giurisprudenza, si occupa da oltre vent’anni di editoria elettronica e di nuovi media per l’apprendimento e la comunicazione, ha ideato e coordinato decine di piattaforme e-learning, web-tv e progetti multimediali integrati per web e social media.

Presidente del gruppo GGallery www.gallerygroup.it , che opera nel settore dell’editoria, dell’e-learning e della comunicazione web. Consigliere di amministrazione del Consorzio SI4Life, Polo Regionale Ricerca e Innovazione – Area Scienze della Vita. E’ stato membro delle Commissioni dei Piani formativi presso Fondazione Fondirigenti “G. Taliercio”, promossa da Confindustria e Federmanager.

Professore a contratto dal 2004 al 2018 all’Università di Genova – Scuola di Scienze Umanistiche.

Tu quoque Bundesverfassungsgericht!

Bundesverfassungsgericht. No, non è una parolaccia, anche se l’onomatopea lo farebbe supporre. Letteralmente significa Corte costituzionale in tedesco, ma in pratica si usa anche per “grosso problema all’orizzonte”. Andiamo al sodo. La corte costituzionale tedesca ha “richiamato “ la Bce, sostenendo che l’acquisto massiccio di titoli di stato è di per sé legale, ma non è stato fatto in maniera appropriata.

Sarò ancora più diretto, traducendo e un po’ interpretando il pensiero dei 7 giudici tedeschi (su 8 sigh): “Cari europei che avete beneficiato negli anni dei piani della BCE, noi non ce l’abbiamo con voi, anzi crediamo in una Europa unita e solidale, dove il forte aiuta il debole, il grande aiuta il piccolo, ma non è colpa nostra se siamo noi quelli grandi e forti e la BCE ha esagerato nell’aiutarvi, (spendendo 2.600 miliardi tra il 2015 e il 2018, ndr), per cui la Banca di Germania non ci metterà più un quattrino”.

Da “aiutamoli a casa loro”, ad aiutatevi a casa vostra”.. in fondo tutto il mondo è paese.

Un dubbio sorge spontaneo: può un organo nazionale giudicare la presunta illegittimità di una autorità monetaria sovranazionale? I tedeschi non si sono posti il problema, anche se la sfumatura (giuridica) è capziosa: alla BCE  vengono contestate le operazioni svolte al di fuori della semplice politica monetaria,(cui essa è delegata). Per essere più chiari: cara BCE ti sto mettendo un paletto, o meglio, mando un messaggio a tutti i beneficiari del PEPP (750 miliardi di euro che fanno gola a Italia, Spagna e Francia), che se vogliono essere aiutati, poi dovranno seguire delle regole, che tu (BCE) avrai fissato e io (Germania) avrò deciso. Insomma.. Sgrido Francoforte (Bce) perché Roma e Parigi intendano..

È una reazione legittima quella tedesca? Dipende dai punti di vista. Se ragioniamo con la sola logica dei numeri, si. La Bundesbank è il maggior contribuente della BCE e prima del virus la BCE comprava titoli nella proporzione di 27% titoli tedeschi, 19 %titoli francesi e 14% titoli italiani e poi tutti gli altri. Solo a marzo la Bce ha comprato sei volte tanto titoli italiani rispetto a quelli tedeschi.

Se invece ragioniamo con un minimo di visione strategica, la posizione oltranzista tedesca è pericolosa: se l’Italia dovesse collassare, tutta la grande industria tedesca sarebbe parimenti travolta.

Come diceva un mio vecchio capo: “ e poi, quando mezza Europa sarà in crisi, i tedeschi cosa faranno delle loro auto? Se le mangiano?”..

Ernesto Lanzillo – La reazione delle PMI italiane al Covid

Deloitte Private ha pubblicato “COVID-19 – Il cambio di paradigma per le aziende Private”, con l’obiettivo di condividere le competenze e l’esperienza del proprio network a servizio delle aziende italiane che si trovano a rispondere all’emergenza globale, per favorire una reazione resiliente, rapida ed efficace. L’analisi considera sei ambiti chiave per la risposta alla crisi, desunti dalla esperienza internazionale di Deloitte, che saranno approfonditi ulteriormente con specifiche contestualizzazioni sulla dinamica italiana: remote working, supply chain revolution, e-commerce, IT infrastructure, cyber risk, valore di impatto sociale, sono solo alcuni dei temi che rappresentano i pilastri e i paradigmi del “next new normal”, che si sta ineluttabilmente e rapidamente configurando.
In un periodo di grandi cambiamenti e incertezze, occorre far leva sulle migliori conoscenze e professionalità, consapevoli del fatto che le fasi di crescita generano contesti trascinanti e le fasi di crisi fanno emergere i più abili interpreti del cambiamento.
Le PMI hanno strutture organizzative snelle, non hanno spesso catene decisionali articolate che interagiscono con protocolli di comportamento prestabiliti e codificati in caso di eventi di “disruption”. Nel pieno della fase pandemica, avendo trovato alterati tutti i riferimenti a strategie ed azioni usualmente applicate nel quotidiano, le PMI sono risultate spiazzate e sono state prese in contropiede.
I modelli di gestione dei rischi aziendali, che prevedono le situazioni di emergenza, spesso si limitano alla prospettiva del “quando” capiteranno, non al “se” dovessero capitare.
La efficacia con cui una azienda gestisce la crisi non dipende però solo dalla predisposizione della sua organizzazione alla gestione dei rischi, ma dalla capacità dei propri leader di essere resilienti. I leader delle PMI sono abituati a superare difficoltà e imprevisti, adottano l’esperienza acquisita dall’aver già superato avversità passate. Da questo punto di vista, i leader delle PMI hanno mantenuto un approccio razionale e fattivo, pur comprendendo l’importanza della tempestività, compiendo scelte importanti con coraggio, basandosi su informazioni parziali e scenari in continua evoluzione, esaltando le doti di empatia con i dipendenti e con i clienti, tipiche delle organizzazioni semplici ma “genuine”. Impostando una comunicazione trasparente e onesta ed evitando di nascondere i punti critici. Sono riusciti molto spesso a raccontare ciò che si attendono dalla propria azienda, ispirando gli altri a perseverare, in modo spesso più efficace di come processi e procedure codificati permettono di trasmettere alla “periferia” della azienda le strategie definite dal centro di comando. Ecco perché, grazie a queste doti, le PMI, pur subendo forti contraccolpi nelle prime settimane di crisi, l’hanno saputa affrontare alla pari delle grandi aziende, riorganizzandosi, resistendo e riadattandosi al mutato contesto sociale.


Ernesto Lanzillo
Manager
elanzillo@deloitte.it

Senior Partner di Deloitte & Touche servizi revisione, basato a Milano
Responsabile per Deloitte Centro Mediterraneo dei servizi Deloitte Private, brand dedicato alle aziende familiari, PMI quotate e non quotate, imprenditori e loro famiglia, family offices ed investitori. Nel contesto delle attività Deloitte Private coordina le iniziative Elite Lounge Deloitte e il Best Managed Companies Award Italia.
E’ membro del Comitato Operativo di Deloitte in Italia ed Membro del Leadership Team Private Worldwide.
Entrato a far parte dell’Organizzazione Andersen nel 1989 presso l’ufficio di Genova, dal settembre 2000 ha spostato l’operatività presso l’ufficio di Milano.
Nell’ambito della revisione opera prevalentemente nel settore retail.
E’ Dottore Commercialista e Revisore Contabile.

 

Se Roma piange, Parigi non ride

Mi spiace per i sovranisti (da una parte) ed europeisti (dall’altra parte) locali, ma gli echi delle loro disfide arrivano deboli e sfumati in Europa, rispetto ai bisbigli francesi e tedeschi che
decideranno (probabilmente) le sorti del nostro Paese. Sarò più diretto. Il Covid ha lasciato una pesante eredità di distruzione economica. E siamo solo all’inizio. Il prossimo trimestre sarà peggio. L’Istat e gli omologhi Istituti di statistica nazionale europei l’hanno già certificano nei primi numeri: PIL trimestrale italiano (sui 3 trimestri precedenti) -4,7%, quello francese -5,8%, quello spagnolo -5,2% e in attesa di quello tedesco…
Mal comune mezzo gaudio? Mica tanto. Perché per uscire dalla crisi bisognerà allora investire tanto (politica fiscale) e sostenere contemporaneamente il debito pubblico già esistente (politica monetaria). E qui la Lagarde, malcapitata Presidente della BCE nell’ora più buia dell’Europa, nel suo ruolo istituzionale di dover sostenere il debito pubblico italiano (ricordate il whathever it takes?.. che bei ricordi..) si trova come il conduttore dei tanti talk shows tv a cui la quarantena ci ha confinato, a cercare di dirimere (senza successo) la lite in diretta dei due ospiti. Da una parte l’ospite tedesco, che vuole rigore e applicazione come da statuto del MES, dall’altra parte quello francese, che invoca uno spirito comunitario di intervento, commovente quanto sospetto: basta vedere il livello che ha raggiunto (e raggiungerà) il suo debito pubblico per capire che è una battaglia di barricata, per non essere poi costretto a cedere il suo avamposto appena dopo.
In mezzo c’è il virus, ovvero il nostro debito pubblico. Speriamo che nella Babele di voci, ne arrivi presto una autorevole ed italiana a tranquillizzare i bisbigli foresti…

20200503